Il vino dell'avvocato, dal Ticino alle Ande

«Qui è un altro mondo, ma le radici non si dimenticano». Mauro von Siebenthal parla davanti a una telecamera collegato dal Cile. Qui 20 anni fa ha deciso di stabilirsi lasciando il Ticino per fare vino. E che vino. «A parte l’Africa, esportiamo in tutti i Continenti e non dovrei dirlo io, ma lo dico, siamo una delle vigne più prestigiose a livello sudamericano per i risultati e critiche».
Ma come è potuto succedere? Come è potuto accadere che un ticinese partito 20 anni fa da Locarno sia diventato oggi uno dei viticoltori più apprezzati in America latina? Von Siebenthal sorride. Dietro di lui si staglia una parete dipinta di rosso acceso. Sta parlando da un salone della sua azienda. Vent’anni fa in quello stesso luogo c’era solo un terreno. Niente vigna, niente azienda, niente riconoscimenti internazionali. Niente. «In realtà per spiegarlo, per dare una risposta non si può parlare solo di vino, perché quando si parla di vino si parla in realtà dell’essere umano, di natura, di Paesi, territori, di cultura».
Le prime bottiglie
Ecco perché l’avventura di von Siebenthal parte in realtà quando «all’età di 17 anni ho iniziato a collezionare bottiglie, probabilmente anche per via di mia madre, che era italiana, dalla quale ho ereditato la passione per la gastronomia e per la cucina italiana, che è allegra e affascinante, oltre che ricca di vini». Inoltre, «avevo dei cugini che abitavano a Como e la domenica venivano a pranzo da noi e ci portavano ogni volta delle bottiglie piemontesi, toscane, venete». Von Siebenthal rimane affascinato dalla scoperta, dal confronto e dalla storia di ogni etichetta, si documenta, studia, scopre che interessarsi di vino significa in realtà immergersi in un oceano di saperi, tecniche, strumenti, storie.
Tutto questo lo porterà ad avere «una passione quasi scientifica» che non lascerà mai da parte, neppure quando, dopo gli studi a Lugano, continua a formarsi in diritto e «insieme a due amici, anche loro avvocati», nel 1984 apre uno studio a Locarno. «Fare l’avvocato mi piaceva e dunque si può dire che la mia non è stata una fuga dal Ticino, ma piuttosto una metamorfosi, un passaggio da una vita a un’altra».
Poi, come spesso succede accade qualcosa. Qualcuno lo chiama destino, qualcun altro fato. «Nel 1998 vado in Cile a trovare un linotipista, Ireneo Nicora, che avevo conosciuto negli anni ’90 quando collaboravo con la stampa locale, che si era trasferito laggiù per fare l’artista». Von Siebenthal mette piede nella valle dell’Aconcagua e se ne innamora. Un vero e proprio colpo di fulmine. Tant’è vero che «prima di prendere l’aereo e tornare in Svizzera, che doveva partire alle 11.30, alle 8.30 decido di comprare un terreno. Lo trovo e lo compro così, su due piedi».
Una qualità svizzera
In quel pezzo di terra non c’è ancora niente. Solo erba. Eppure von Siebenthal ci vede qualcosa. Un futuro. «Conoscevo già i vini cileni che arrivavano in Svizzera, vini straordinari, e dopo varie vicende politiche travagliate, negli anni ‘90 il Cile era diventato un Paese esportatore, un Paese con ancora enormi potenzialità inespresse, anche perché quasi tutto era orientato verso una produzione industriale».
Nel suo futuro von Siebenthal vede invece una produzione di qualità e di nicchia. Per l’epoca una visione pionieristica. Così si dà da fare. Anche se c’era chi in Cile all’inizio lo guardava senza capirlo. Quasi con ironia. «Oggi ho 30 ettari di terreno, che equivalgono grosso modo a 30 campi da calcio, e all’inizio, quando ho iniziato, ne avevo 10. Comunque un’inezia in confronto ai 10mila ettari di vigna che hanno certe aziende».
Partire o rimanere
Von Siebenthal intuisce che competere con chi fa «900 milioni di bottiglie all’anno», ovvero le tre più grandi aziende del Paese non ha senso. Allora cambia approccio, concetto e opta per un metodo «svizzero». Un metodo che «fa leva sulla cura del dettaglio, sul modo di curare e piantare la vite. Da svizzero quale sono, ecco perché ho detto che le radici non si dimenticano, per fare il mio vino ho introdotto un approccio ad alto valore aggiunto, minor resa ma più di qualità». L’idea funziona e porta i successi sperati. Non subito, però.
Prima l’ex avvocato deve arrivare a un punto decisivo. «Nel 2008 ho dovuto decidere. Avevo vissuto i primi 50 anni della mia vita in Svizzera, dove ho fatto politica, ho lavorato per il Festival del film di Locarno, sono stato l’ombudsman della RSI. Insomma tantissime cose. Ma ho dovuto decidere, perché non era più possibile fare avanti e indietro, non era più possibile avere due vite così intense in contemporanea». La scelta ovviamente è stata trasferirsi, «emigrare no, non parlarei di emigrazione, perché mi sembrerebbe irrispettoso nei confronti di chi dal Ticino è emigrato per fame e necessità». Una scelta felice. Che von Siebenthal definisce interessante per più ragione, ma soprattutto perché «non si conosce un Paese fino a quando non ci si vive davvero così da capire ad esempio anche le differenze tra questo mondo e quello svizzero, che sono molto potenti».
Un clima da sogno
Una di queste è il clima della valle dell’Aconcagua, «un posto ideale per fare vino. Qui c’è un clima meditteraneo secco, non piove quasi mai e l’agricoltura beneficia dei canali del fiume che erano stati costruiti dagli Inca e sono arrivati fino ai giorni nostri». Pochissime precipitazioni per la vigna significa non avere ad esempio problemi con malattie e muffe. Un bel vantaggio. Ma non solo. Perché il clima caldo e secco, unito alla possibilità di irrigare i campi, porta benefici anche alle coltivazioni di tantissime varietà di frutta e per il vino significa soprattutto avere una produzione molto più alta che altrove.
Per capire di cosa si sta parlando, von Siebenthal snocciola alcuni dati. «L’intero vigneto cileno misura 140mila ettari, che è grosso modo la superficie della zona di Bordeaux, eppure il Cile è il quarto Paese esportatore nel mondo, dopo Italia, Francia e Spagna». Sembra incredibile, eppure è così.
L’eredità storica e la democrazia
Certo non tutto nel Paese funziona come dovrebbe. Ma c’è una spiegazione. «Gli spagnoli e i portoghesi che sono arrivati in Cile nel 1500 hanno distrutto tutto quello che c’era da distruggere e hanno rovinato definitivamente la relazione tra l’autorità e i cittadini. Perché quando l’autorità è repressiva e vuole solo succhiare risorse è normale che il cittadino non ha fiducia nelle istituzioni. Questo per dire che qui si fa fatica un po’ a fare tutto. In questo senso come svizzeri siamo molto fortunati ad avere completamente un altro sistema-Paese. Un sistema dove vige una democrazia sostanziale».