Il volto nascosto di parco Scherrer, scoperto un po' per caso

E se il Parco Scherrer di Morcote avesse un altro significato rispetto a quello che tutti pensano abbia? Che non sia insomma solo un parco-giardino tutto sommato eccentrico nel quale camminare tra copie in scala di templi, statue e palazzi esotici in un contesto naturale e paesaggistico incantevole? A questa domanda, che a prima vista può apparire peregrina, perché sono decenni che il Parco Scherrer di Morcote è vissuto e conosciuto per queste caratteristiche peculiari e in un certo modo bizzarre (a chi può venire in mente di replicare un tempio egiziano con la copia del busto di Nefertiti nel suo giardino?) c’è in realtà una risposta che sorprende e lascia quasi senza parole. Di più. Incanta, incuriosisce e come una lama squarcia un velo che nessuno pensava esserci. Una verità altra, dunque, rimasta sepolta insieme al suo ex proprietario per troppo tempo. Almeno fino alla scoperta fatta dagli architetti paesaggisti di Officina del paesaggio di Sophie Agata Ambroise incaricati in un primo momento dal Comune di Morcote di perfezionare gli elementi di illuminazione e di irrigazione del parco e solo successivament e «scopritori» di una nuova narrazione, a suo modo sensazionale e spiazzante, accolta generosamente dallo stesso Comune. Una scoperta inedita e a tratti clamorosa. Nata quasi per caso osservando un gradino…
Un errore che non è tale
Questa è la storia del vero significato del parco Scherrer di Morcote. Allacciatevi le cinture. Perché sarà un viaggio che attraverserà il Novecento, si incuneerà tra mitologie nordiche e pagane, abbraccerà religioni orientali e occidentali e allaccerà insospettabili legami con la spiritualità e anche la filosofia.
Il gradino in questione quasi non si vede. Chi l’ha costruito l’ha attaccato a prima vista troppo (quindi sbagliando) alla cosiddetta fontana romana del parco. «A un primo sguardo sembra essere un errore aver attaccato un gradino a una fontana - spiega Ambroise -. A un’osservazione più attenta ci si accorge invece che il suo scopo era quello di facilitare la discesa nella fontana, che a questo punto non è più una fontana, ma una vasca. Una vasca nella quale immergersi per rigenerarsi e recuperare la giovinezza perduta come si evocava nelle iconografie nordiche. Pensiamo a Cranach il Vecchio e Dürer che celavano significati cari a quelle cerchie di persone benestanti e intellettuali nella prima parte del Novecento di cui faceva parte anche Scherrer».

Giramondo, collezionista e...
Mercante, sarto e venditore, Arthur Scherrer nacque nel 1881 a San Gallo e morì nel 1956 a Morcote. Suo papà Hermann Scherrer è a sua volta commerciante e al figlio fa fare la sua stessa carriera. A 26 anni, nel 1907, Arthur si trasferisce a Monaco di Baviera dopo aver seguito un percorso scolastico molto «influenzato» dalla famiglia. Dopo la scuola arti e mestieri ad Aquisgrana, passa un anno a Siena, va a studiare a Losanna per imparare la lingua francese e trascorre un anno anche negli Stati Uniti. A Monaco il padre ha aperto un negozio di sartoria e vendita di vestiti. Arthur ne assume la gestione. Trascorre quasi vent’anni nel capoluogo bavarese, girando l’Europa alla ricerca di stili, tendenze e mode da implementare nel negozio di Monaco. «Da quello che abbiamo scoperto è a Monaco che Arthur si forma dal punto di vista intellettuale e spirituale - riprende Ambroise - perché è là che viene sicuramente a contatto con il fervido ambiente della città, caratterizzato da tendenze e movimenti di profonda ricerca spirituale».

Ed è proprio la narrazione di Scherrer come giramondo associata ai numerosi oggetti e i manufatti di diverse culture replicati a Morcote che a metà degli anni ‘60, da quando cioè la moglie Amalia cede il parco al Comune, che si inizia a pensare che con il parco Scherrer abbia voluto ricreare le atmosfere e i luoghi respirati in giro per il pianeta, come avrebbe del resto fatto un eccentrico collezionista un po’ nostalgico. Un pensiero legittimo.
Il ruolo del sole
Ma in realtà anche una mezza verità. Perché, studiando più a fondo e con occhi nuovi il parco che il team di architetti del paesaggio guidato da Ambroise ha fatto alcune scoperte che ribaltano tutto quello che fino a oggi si pensava. A fornire un’altra prospettiva questa volta non è stato un «gradino sbagliato», ma un software. Un software che gli architetti dell’Officina del paesaggio usano per capire come si comporta il sole in relazione a un luogo. Non solo durante le 24 ore, ma 365 giorni l’anno. «Abbiamo scoperto che ogni 21 dicembre, al crepuscolo, il tempio del Sole e i due obelischi posizionati nella zona del Belvedere sono perfettamente allineati tra di loro». Il 21 dicembre non è un giorno uguale agli altri. Ha anche un nome speciale. Solstizio d’inverno. È il giorno più corto dell’anno, dopo il quale le giornate tornano ad allungarsi di nuovo, come se rinascessero. Un’altra rinascita, dunque, dopo quella della fontana. O forse bisognerebbe dire insieme alla fontana. Perché gli architetti si sono accorti che vasca, tempio e obelischi formano un altro asse che si rianima il 21 giugno, giorno di solstizio d’estate. Un caso? Poco probabile. «Quando abbiamo fatto questa ulteriore scoperta io e il mio team ci siamo detti caspita qui c’è qualcosa che va al di là di un viaggio, qui c’è un qualcosa ci porta in una dimensione molto più profonda», sottolinea Ambroise.
I muraglioni a forma di ziggurat
La ricerca è quindi continuata. E ha portato a un’altra scoperta. Anch’essa sconvolgente. «Analizzando una foto scattata negli ’30-’40 da una barca sul lago in direzione del parco - riprende l’architetta paesaggista- ci siamo accorti che la successione di muraglioni verticali, che in quel tempo erano in costruzione, vanno a formare una vera e propria struttura architettonica a forma piramidale composta da 7 livelli che culminano in un punto sommitale. Ebbene, strutture di questo tipo erano diffuse durante la civiltà mesopotamica e si chiamavano ziggurat». Luoghi sacri dove potersi avvicinare al cielo e relazionarsi con le stelle. Erano queste le ziggurat mesopotamiche. Che per come erano costruite e ideate imponevano una salita, un’ascensione verso l’alto, un cammino magico, rituale e simbolico alla ricerca di un rapporto con il sacro.
Una vasca di rigenerazione, un Belvedere allineato ai solstizi, una struttura piramidale su cui inerpicarsi per compiere un cammino simbolico di rinascita ed espiazione. Cos’è davvero il parco Scherrer e chi è era davvero Arthur Scherrer? Era davvero solo un mercante? O invece era uno studioso e un amante delle connessioni spirituali così come altri contemporanei del suo tempo? Contemporanei come Olga Fröbe-Kapteyn che ad Ascona nel centro culturale Eranos animava conversazioni finalizzate allo studio delle immagini e delle forze archetipali nei loro rapporti con l’individuo, e più in generale all’esplorazione dei mondi interiori dell’uomo, condotta attraverso le metodologie scientifiche. Conversazioni a cui partecipavano molti tra gli specialisti più influenti nella cultura del XX secolo: psicologi, storici delle religioni, teologi, orientalisti, filosofi, antropologi, fisici, biologi, matematici, storici dell’arte, critici letterari, musicologi.
I richiami simbolici
Ambroise e la sua collega Cinzia Capalbo non sembrano avere dubbi. «Nel parco sono presenti archetipi legati alla connessione tra la Terra e il Cielo. Abbiamo la tartaruga il cui il carapace con la sua forma a cupola è simbolo del rapporto tra Cielo e Terra, abbiamo la Loggia delle Cariatidi con le Cariatidi che sostengono il tetto del tempio e simbolicamente il Cosmo, abbiamo la cupola del tempio del Sole, abbiamo l’elefante considerato in India un animale cosmico in quanto la forma del suo corpo sintetizza i quattro pilastri che reggono una sfera simbolo della volta celeste», specificano le esperte, che hanno raccolto indizi, prove, connessioni e le hanno messi uno in fila all’altro fino a ottenere l’insieme del puzzle. Un puzzle che aspetta ancora di prendere forma. Perché tutto è ancora in corso e il parco negli anni ha subito modifiche e interventi che in parte ne hanno tolto la forza simbolica. Come quei cipressi tagliati sullo sfondo del Belvedere, letto oramai come Tempio, che nell’immaginario del suo «creatore» avevano invece una funzione ben specifica. O come l’insieme della vegetazione che dovrebbe essere più copiosa per ricreare quelle nicchie, quelle tappe di crescita e risalita da percorrere in meditazione, che oggi sembrano diradate qua e là apparentemente senza un significato.
Certo, a venire fuori è una verità diversa. Altra, appunto. Più profonda e forse più connessa al contesto storico e individuale del protagonista di questa storia: Arthur Scherrer. Che sicuramente è stato un mercante, ma, lo si scopre finalmente oggi, anche un figlio di quei movimenti filosofici e spirituali che a inizio Novecento hanno pervaso una fetta di Europa e di Ticino, dando vita a esplorazioni e suggestioni che in alcuni casi, come a Morcote, si facevano materia e realtà così da comporre un tutt’uno o un grande tutto, capace di illuminare e condurre chiunque avesse desiderio o voglia di compiere un viaggio nelle profondità del mondo e di sé stessi.
