L'intervista

«In fattoria si è sempre dans la merde, in Parlamento invece...»

Da questa legislatura Didier Calame siede in Consiglio Nazionale, ma non ha dimenticato la sua attività agricola
Andrea Stern
Andrea Stern
07.09.2025 06:00

Agricoltore biologico, titolare di una ditta di pulizia di canalizzazioni, sindaco di Les Planchettes (NE), da questa legislatura Didier Calame siede anche in Consiglio nazionale, dove è stato eletto a sorpresa al posto del popista Denis de la Reussille. Lui stesso è un parlamentare UDCche sorprende, tra parole di elogio per i suoi parenti di sinistra (tra cui l’ex consigliere federale Pierre Aubert) e la convinta difesa dei frontalieri. «Senza di loro la nostra economia si fermerebbe», dice.

Signor Calame, lo sa che in Ticino l’UDC fa campagna contro i frontalieri?
«Anche da noi a Neuchâtel. Ma io come imprenditore ho un doppio cappello. Devo guardare al bene dell’economia e delle imprese. Sono il primo a dire che bisogna favorire il reinserimento dei disoccupati. Ma non dobbiamo neanche nasconderci dietro a un dito. Se vogliamo mantenere il nostro tessuto economico abbiamo bisogno dei frontalieri».

Lei ha dipendenti frontalieri?
«Ho sempre dato la priorità alla manodopera locale, svizzeri o stranieri, ma residenti in Svizzera. L’anno scorso però ho dovuto assumere due frontalieri, uno in fattoria, l’altro in ditta. Queste sono professioni in cui ci si sporca le mani, si è sempre dans la merde, come si dice in francese. Non è così facile trovare in Svizzera qualcuno che sia disposto a farle».

Come mai lei è diventato contadino?
«In realtà pensavo di fare altro. Ma mio fratello si è ritrovato in difficoltà dopo aver ripreso l’azienda agricola di mio padre. Allora sono tornato a casa e l’ho ripresa in mano io».

Perché fa agricoltura biologica?
«La mia azienda era praticamente biologica già prima di ottenere il marchio bio, nel 2018. Ho circa 150 vacche nutrici e trovo tutto ciò che serve sul posto. Non ho dovuto cambiare granché. Il vantaggio è che con il marchio bio si ottiene di più a livello di pagamenti diretti».

E perché oltre all’azienda agricola ha aperto una ditta di pulizie di canalizzazioni?
«Mi è sempre piaciuto fare più cose. Non sono il tipo che vuole restare tutto il giorno dietro al sedere delle vacche. L’idea dell’impresa mi è venuta nel 2012, aiutando un cugino che aveva un’impresa di trasporti. Mi sono comprato un apposito veicolo e ho iniziato da solo. A poco a poco sono arrivate sempre più richieste e la ditta è cresciuta. Oggi ho una decina di dipendenti, io non vado quasi più sul terreno, mi limito a gestire l’azienda e a portare nuove idee».

Lavoro 14 ore al giorno, fine settimana compresi. Sono tutte attività che mi appassionano e che svolgo volentieri

Come fa a conciliare il tutto con la politica?
«Lavoro 14 ore al giorno, fine settimana compresi. Sono tutte attività che mi appassionano e che svolgo volentieri. Certo, a questi ritmi è forse più difficile seguire i dossier come altri parlamentari, non tanto nell’UDC ma in altri partiti, che fanno praticamente politica a tempo pieno. Ma quando vado a Berna mi getto a capofitto nella politica».

È più facile fare l’agricoltore, l’imprenditore o il politico?
«Forse l’agricoltore, perché si è più liberi, bisogna rendere conto solo alla banca e allo Stato. La gestione di un’impresa è più complessa, a partire già solo dai rapporti con il personale. E a Berna non è sempre facile farsi ascoltare, già solo all’interno del partito, dove ci sono personalità più pesanti. Ci vogliono pazienza e perseveranza e alla fine qualcosa si riesce a smuovere».

Lei è ottimista per il futuro dell’agricoltura?
«Sì, io non faccio parte di quegli agricoltori che si lamentano. Certo, sappiamo che senza i pagamenti diretti la nostra attività non sarebbe sostenibile. Sappiamo anche che non diventeremo mai milionari, a meno di vincere al lotto. Ma finché ci lasciano lavorare e non ci mettono troppo i bastoni tra le ruote, penso che possiamo andare avanti bene».

Non teme la concorrenza estera?
«Noi agricoltori dobbiamo continuare a batterci contro quegli accordi di libero scambio che potrebbero impattare sul nostro settore. Però penso che finché la popolazione sarà disposta a pagare per un prodotto svizzero e di qualità, allora andrà tutto bene. Il discorso cambierebbe se la popolazione non avesse più la possibilità di pagarsi la qualità».

A Berna voi agricoltori siete parecchi, da sinistra a destra. Andate d’accordo tra di voi?
«Di sinistra ne conosco solo uno, Kilian Baumann. È un bravo ragazzo ma non vota mai con noi. Mai e poi mai. Persino sui budget agricoli si allinea alla posizione dei Verdi invece di votare come noi».

Io dico che abbiamo bisogno di manodopera estera ma anche che non possiamo crescere all’infinito

Vota contro i propri interessi?
«Sicuramente a volte antepone la fedeltà al partito rispetto agli interessi degli agricoltori».

Però anche lei quando vota per limitare l’immigrazione va contro gli interessi degli imprenditori, no?
«No, non sono d’accordo. Io dico che abbiamo bisogno di manodopera estera ma anche che non possiamo crescere all’infinito. Abbiamo un territorio limitato, non possiamo ingrandirlo, dobbiamo mantenerlo vivibile».

Quindi sostiene l’iniziativa contro una Svizzera da 10 milioni di abitanti?
«Certo. Elisabeth Baume-Schneider dice che possiamo arrivare a 12 milioni ma la realtà è che non abbiamo lo spazio e le infrastrutture per accogliere tutta questa gente».

Non è un controsenso allora che il suo cantone, Neuchâtel, si batta per attrarre nuovi abitanti?
«Due anni fa nel canton Neuchâtel ci si è rallegrati perché la popolazione era aumentata di 2’000 abitanti. Ma chi erano questi 2’000 abitanti? In gran parte richiedenti l’asilo dall’Ucraina o dall’Africa che non lavorano, non pagano tasse e generano costi supplementari per la collettività. Il risultato è che lo Stato sociale si appesantisce ulteriormente e i buoni contribuenti fuggono verso i cantoni limitrofi perché a Neuchâtel la fiscalità è insostenibile. A chi serve questa crescità?».

Intanto nel suo comune, Les Planchettes, la scuola ha chiuso perché non ci sono più bambini.
«Siamo un piccolo comune, è successo già in passato che non ci fossero i numeri per formare una classe. Il nostro svantaggio è che non possiamo offrire servizi extrascolastici e questo ha provocato la partenza di due famiglie. È chiaro che ci dispiace. Ma se dobbiamo far venire richiedenti l’asilo solo per riempire la scuola, obbligando i contribuenti a pagare per loro, allora dico di no.Non vale la pena. Siamo aperti ad accogliere nuovi abitanti da qualsiasi parte del mondo, non siamo nazionalisti. Ma che siano persone che lavorano, che vogliono integrarsi e partecipare alla vita comunitaria».

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