L'intervista

«Io l’unica di sinistra? Anche Evi e Eva lo sono»

Elisabeth Baume-Schneider Consigliera agli Stati giurassiana (PS), è candidata al Consiglio federale – «Ho lavorato sul terreno poi ho fatto 13 anni di Consiglio di Stato e ora sono pronta per quel posto»
© KEYSTONE / JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Andrea Stern
Andrea Stern
20.11.2022 19:54

Da studente militava nei movimenti trotzkisti, da giovane mamma è stata eletta nel governo giurassiano, ora è tra le tre finaliste del PS per un posto in Consiglio federale. Ma non le piace essere definita la candidata marxista. «Non rinnego il mio impegno giovanile afferma la senatrice Elisabeth Baume-Schneider -. Però oggi sono una donna di quasi 59 anni, che ha la sua esperienza di vita. Sono una persona concreta, capace di dialogare con tutti».

Signora Baume-Schneider, le rimproverano di essere poco conosciuta fuori dalla Romandia.

«Non è un rimprovero, è la realtà».

Eppure non ha iniziato ieri a fare politica.

«Prima di essere eletta al Consiglio degli Stati sono stata per 13 anni nel governo giurassiano, come ministro dell’educazione».

Com’è cambiata la scuola giurassiana sotto la sua direzione?

«Io non l’ho cambiata, l’ho accompagnata cercando di proteggerla e di darle i mezzi per svilupparsi in termini inclusivi. Abbiamo lavorato molto anche con la conferenza latina per migliorare i mezzi di insegnamento».

Quindi ha avuto a che fare con Manuele Bertoli?

«Sì, ero seduta al suo fianco. In precedenza ho lavorato bene anche con Gabriele Gendotti. E poi c’era quel segretario dai modi affabili, molto ascoltato e rispettato all’interno della conferenza latina... Mi sfugge il nome».

Un ticinese?

«Sì, veniva con Bertoli e a volte lo sostituiva. Alto, con i capelli grigi, ora è in pensione».

Diego Erba?

«Sì, è lui. Lo apprezzavo molto, si è speso parecchio a favore delle minoranze linguistiche».

Conosce anche Matteo Pronzini?

«No, chi è?».

È il trotzkista più conosciuto, qui in Ticino.

«Ma io non ho più legami con i trotzkisti. Quando ho finito l’università a Neuchâtel ho interrotto la mia militanza, poi ho ripreso dieci anni dopo, ma nel Partito socialista».

A Berna che rapporti ha con i ticinesi?

«Sono in ottimi rapporti con Marina Carobbio, apprezzo molto la sua disponibilità a condividere la sua lunga esperienza come parlamentare e madre».

Ci sono altri punti che legano il Giura e il Ticino?

«Non siamo cantoni ricchi, siamo sulla frontiera, abbiamo un’industria interessante ma non molto riconosciuta. E soprattutto dobbiamo sempre difenderci e fare autopromozione affinché ci si ascolti e ci si prenda sul serio ».

Il Giura sta per perdere la sua più grande industria, la fabbrica di sigarette di Boncourt. Lei che si batte contro il tabacco, è felice di questa chiusura?

«No, non posso rallegrarmi. È vero che mi sono impegnata per vietare la pubblicità del tabacco, ma io guardo sempre gli effetti sulle persone. Questa chiusura mette in difficoltà 220 dipendenti e le loro famiglie. Mentre nessuno smetterà di fumare solo perché la fabbrica di Boncourt non c’è più».

È un duro colpo per il Giura.

« Questa vicenda dimostra l’importanza di un’economia diversificata. E che i dirigenti delle aziende siano legati al territorio. È facile decidere di chiudere una fabbrica nel Giura se ci si trova a Londra, non c’è nemmeno bisogno di guardare gli operai negli occhi...».

Jean-François Roth, già candidato PPD al Consiglio federale e suo ex collega di governo, sostiene che lei ha 8 chance su 10 di essere eletta.

«È decisamente troppo ottimista. Ma chiaramente mi fa piacere sentire il suo sostegno. Roth mi ha insegnato a pensare in grande, a guardare il Giura in modo aperto e creativo».

Quindi lei ottiene sostegno anche in altri partiti.

«Me lo auguro, altrimenti non avrei alcuna chance di essere eletta. Se finirò sul ticket, dovrò poi mostrare la mia capacità di dialogare con tutti e convincere gli altri partiti. Ma prima devo finire sul ticket».

Dicono di lei che è l’unica candidata veramente di sinistra. È così?

«No, penso che se si è nel PS è perché si hanno valori di sinistra. Poi magari su certe questioni sociali io posso essere più a sinistra di altri socialisti. Ma anche Evi (Allemann, ndr) e Eva (Herzog, ndr) sono di sinistra».

Perché lei non fa parte della piattaforma riformista?

«Perché non ne condivido le idee».

Ecco. Quindi ci sono delle differenze tra lei e le altre due candidate.

«In un partito è normale che ci siano diverse correnti. Ma io non voglio usare il mio tempo per far parte di una piattaforma riformista, preferisco impiegarlo per lavorare sulle questioni sociali e ambientali. Trovo più utile affrontare i temi prioritari per la popolazione piuttosto che impegnarmi per una piattaforma dove non sono mai stata invitata».

A causa del suo passato marxista?

«Mi viene data questa etichetta sebbene io in realtà non abbia mai fatto parte della Lega marxista rivoluzionaria, visto che aveva già cambiato nome in Partito socialista dei lavoratori. L’attuale POP, per intenderci».

A parte il nome, lei si sentiva marxista?

«Sì, mi sentivo in certe logiche di solidarietà. È passato tanto tempo, ma ancora oggi non ho problemi con queste logiche di solidarietà. Per contro penso che ci siano stati danni da parte di molti regimi comunisti. Ma è un’altra cosa».

Nel suo partito c’è chi insiste per il profilo di «una donna con bambini piccoli», quindi Evi Allemann, per dimostrare che è possibile conciliare azione di governo e famiglia. Lei l’ha già dimostrato anni fa.

«Sì, quando venni eletta in Consiglio di Stato i miei figli avevano 3 e 9 anni».

Non le sembra che si stia dando troppa importanza all’aspetto familiare?

«Io penso che avere dei bambini sia un progetto di vita molto personale a livello di coppia. Ci sono persone che volevano bambini ma non ne hanno avuti, altri che scelgono di fare carriera pur avendo bambini. Trovo che sia qualcosa che riguarda solo la sfera personale».

I suoi figli la incoraggiano?

«Beh, oggi hanno 22 e 29 anni. Comunque sì, mi incoraggiano. A loro piace questa immagine di mamma coraggiosa, perché anche loro sono coraggiosi».

Cosa pensa del ticket di sole donne?

«Trovo che sia giusto. Abbiamo la fortuna di avere Alain Berset in Consiglio federale, in questo modo promuoviamo la parità. Daniel Jositsch ci ha provato ma poi ha saputo accettare la scelta con fair-play e serenità».

Alain Berset è in governo da 11 anni, prima o poi lascerà. Per sostituirlo proporrete solo uomini?

«Alain Berset ha molte qualità e tanta energia. Non c’è alcuna ragione di chiedersi cosa farà. Sarà lui a decidere. O a volte è la vita a decidere, come abbiamo visto nel caso di Simonetta Sommaruga, che non penso avesse previsto di fermarsi ma tutto a un tratto si è trovata in una situazioner personale che l’ha invitata a interrogarsi sulle sue priorità nella vita».

Se venisse eletta, non teme per la sua vita privata?

«Mi sembra così lontano che non mi pongo la questione. Ma non ho paura dello stress, né ho già affrontato parecchio in governo. E poi ho una famiglia solida, un marito da 32 anni, i miei figli. Ho i piedi ben piantati per terra».

Non le disturba che i media parlino della vita privata dei consliglieri federali, per esempio dell’amante di Berset?

«Sì, trovo sia spregevole. Soprattutto perché queste cose possono ferire la famiglia, i bambini. Ai media dovrebbe interessare ciò che le persone fanno in termini di attività politica, non nella loro vita privata».

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