L'analisi

La campagna d'Africa, tra russi e qaedisti

La falange JNIM avanza in Mali e si scontra con la presenza silenziosa del Cremlino - Che però, per ora, incassa un insuccesso
In coda per il carburante in Mali, dove i combattimenti hanno creato una crisi dei rifornimenti ©HADAMA DIAKITE
Guido Olimpio
09.11.2025 10:30

La falange qaedista avanza in Mali e si avvicina pericolosamente alla capitale Bamako. Un quadro deteriorato rapidamente dopo i rovesci subiti dalla giunta al potere. Jamat at Nusrat ul-Islam wa al Muslimin (JNIM), il movimento che rappresenta l’ideologia di Osama nel Sahel, ha creato una serie di blocchi lungo gli assi stradali che da Senegal e Costa d’Avorio consentono l’importazione di carburante. I guerriglieri hanno distrutto molte autobotti provocando una penuria di benzina. Inoltre, hanno avvisato le compagnie di trasporto pubblico: le donne devono essere sempre velate a bordo dei bus e non possono stare sedute vicini agli uomini. Una condizione capestro che conferma in modo indiretto la pericolosità dei jihadisti sia sul piano bellico che sociale.

La fazione, presente anche in altre aree, ha guadagnato posizioni grazie ad una serie di fattori. Primo. Sono miliziani ben organizzati, altamente mobili, usano moto come fossero cavalli e in misura minore fuoristrada. Le due ruote – di solito di fabbricazione cinese, molto robuste ed economiche – sono state modificate per poter trasportare una mitragliatrice. Secondo. Agiscono su un territorio vasto, difficile da controllare per i governativi. Rispetto ad altre realtà cercano di reclutare senza badare troppo all’appartenenza etnica. Sono in sostanza trasversali. Terzo. Si finanziano con traffici, imposizioni di una tassa rivoluzionaria e sequestri. Pochi giorni fa avrebbero incassato 50 milioni di dollari, un riscatto versato dagli Emirati per ottenere il rilascio di un loro connazionale, un ex generale coinvolto nel mercato dell’oro. C’è poi sempre il sospetto di aiuti esterni non meglio definiti. Quarto. Sfruttano gli errori dei lealisti, spesso protagonisti di massacri ai danni della popolazione con la partecipazione dei soldati russi.

Mosca ha inviato da tempo un contingente nel territorio maliano, una strada aperta dalla compagnia Wagner di Prigozhin ed ora gestita dalla Difesa. Bamako ha espulso i francesi e li ha rimpiazzati con gli uomini mobilitati dal Cremlino, un nuovo patto con una serie di vantaggi soprattutto per Vladimir Putin. La Russia vuole sfruttare le miniere del Mali ed allargare la propria presenza in un quadrante che l’ha vista protagonista: i suoi militari (insieme ai consiglieri) sono attivi anche in Niger e Burkina Faso, altri due paesi alle prese con insurrezioni e Jihad. Il safari putiniano si collega poi all’avamposto nella Cirenaica libica dove regna il generale Khalifa Haftar: alcune basi sono utilizzate da Mosca proprio per le missioni nel cuore dell’Africa e diventano il terminale di flussi di materiale.

I generali dell’Armata hanno schierato dei reparti forse poco robusti per affrontare una minaccia crescente e probabilmente non c’era all’inizio l’esperienza necessaria. Il conflitto in Ucraina poi drena risorse e dunque Mosca deve valutare con attenzione le mosse. Di recente ha spedito nuovi equipaggiamenti, usando porti sulla costa occidentale africana, ed ha appaiato i soldati locali nella scorta alle colonne di mezzi. Intenso il lavoro di propaganda in tutta la regione con la formazione di giornalisti e associazioni chiamate a diffondere un messaggio di coesione.

Il piano ha messo a segno qualche punto ma è stato appesantito dalla repressione della giunta: ostracismo per i media occidentali, bavaglio a chi dissente, epurazioni di ufficiali che hanno pagato gli insuccessi sul terreno. Più dinamici gli insorti guidati dal tuareg Iyad Ag Ghali: secondo alcuni JNIM, nato nel 2017 dalla fusione di gruppi diversi, potrebbe imitare la ribellione siriana, prendendo in qualche modo le distanze dalla guerra santa ed essere più “potabile” agli occhi della comunità internazionale. Del resto, JNIM è in lotta con lo Stato Islamico, frequenti le battaglie. Intanto, però, l’attenzione resta su Bamako e i prossimi giorni potranno raccontare molto sulle sorti di un paese in bilico.

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