L’intervista

«La Cina resta comunista, vuole dominare il mondo»

A tu per tu con Federico Rampini, giornalista e scrittore – «Noi non ci rendiamo conto quanto sia importante quell’isolotto attaccato alla Cina grande una volta e mezzo la Sicilia con 24 milioni di abitanti che vivono in un sistema perfettamente democratico»
© Illustrazione di René Bossi
Francesco Mannoni
03.10.2021 08:40

Già ne «Il secolo cinese» il giornalista e scrittore Federico Rampini avvertiva del pericolo dell’espansione economica e politica cinese. Allarme che ritorna nel suo ultimo saggio, «Fermare Pechino» (Mondadori). Rampini, a lungo corrispondente dalla Cina, è uno dei più importanti esperti del paese asiatico. In quest’intervista parte dalla recente operazione della Gran Bretagna che ha sottratto ai francesi il business di una fornitura miliardaria di sommergibili all’Australia, cosa che ha fatto infuriare il presidente Emmanuel Macron il quale ha tirato in ballo l’Europa.

Che c’entra l’Europa con i sommergibili?
«L’Occidente fa molta fatica a porsi in modo coeso di fronte a questo fatto, e direi che la reazione francese è uno degli aspetti più grotteschi di questa vicenda, ma molti commentatori sembrano essere caduti nella trappola di Macron. Si sono illusi che il presidente francese stia difendendo gli interessi dell’Europa: Macron sta difendendo il business dell’industria militare francese».

Cosa c’è dietro questa operazione?
«Molto importante invece è il retroscena dell’accordo tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia per una stretta cooperazione militare che guarda ai mari della Cina, al rischio e alla minaccia dell’invasione di Taiwan. Noi non ci rendiamo conto quanto sia importante quell’isolotto attaccato alla Cina grande una volta e mezzo la Sicilia con 24 milioni di abitanti che vivono in un sistema perfettamente democratico. E questa è una spina nel fianco delle autorità cinesi».

Che cosa impedisce al governo cinese la creazione di un minimo di democrazia nei suoi territori?
«Lo impedisce il partito comunista cinese. Quando il presidente Xi Jinping si definisce comunista, bisogna ascoltarlo, perché c’è una ragione. Da qualche decennio in Occidente è invalso il vezzo di credere che la Cina non sia più comunista, ma un paese capitalista pieno di miliardari. Ma se i suoi dirigenti si ostinano a dichiararsi comunisti forse una ragione c’è. Il primato del partito comunista per loro è un dogma».

Perché è tanto importante Taiwan per la Cina e per gli Occidentali?
«Tutti noi abbiamo in tasca un telefonino, un computer sulla scrivania e usiamo un’automobile: tutti questi strumenti per funzionare hanno bisogno di semiconduttori, microchip che sono l’anima e il cervello di qualunque apparecchio. Il 60% di tutti i semiconduttori mondiali vengono da Taiwan. Ecco cosa significa un’invasione di Taiwan da parte della Cina».

Basta guardare quello che è accaduto a Hong Kong per capire cosa rischia chi finisce sotto il tallone di Pechino

Gli interessi cinesi sono solo di tipo economico?

«Premetto che non ho mai voluto sottovalutare la dimensione positiva di un Paese che negli ultimi trent’anni ha sollevato dalla miseria almeno ottocento milioni di persone. Non demonizzo la Cina: ammetto che la classe dirigente ha realizzato un’organizzazione straordinaria. Ma ho vissuto in Cina, li ho visti da vicino quei governanti, non li sottovaluto, e non darei per scontato che il dominio della Cina sia esclusivamente di tipo economico».

Perché?
«Questo è un anno chiave perché per la prima volta nella storia la Cina ha superato gli Stati Uniti come numero di navi militari. Che la Cina sia una potenza esclusivamente pacifica è un mito che il presidente cinese alimenta, ma basta guardare la carta geografica per capire che il Paese è un impero coloniale».

Cosa intende?
« All’interno della Cina più del 30% dei territori sono colonie, paesi stranieri invasi e annessi: il Tibet, lo Xinjiang e la Mongolia non sono cinesi. Quest’idea che la Cina non abbia il DNA dell’imperialismo è pura propaganda».

Che cosa rischia l’Occidente?
«Basta guardare quello che è accaduto a Hong Kong per capire cosa rischia chi finisce sotto il tallone della Cina. Non è mai esistita una vera democrazia ad Hong Kong, e ormai persino lo stato di diritto viene soppresso».

Non ci sono segnali di un ammorbidimento nei confronti del resto del mondo?
«Con la crisi americana del 2008, i cinesi si sono convinti che l’Occidente è entrato in un declino irreversibile e non hanno alcuna ragione per ammorbidirsi. Trapela dai discorsi del presidente cinese che il loro sistema politico è superiore al nostro, che non hanno niente da imparare e nessuna concessione da fare».

È una potenza, può allinearsi anche con i talebani, ha un particolare interesse nei minerali rari che servono per le batterie

La triangolazione Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia saprà fronteggiare le mosse di Pechino?
«Intanto non credo che resteranno del tutto soli perché in quella parte del mondo gli Stati Uniti hanno altre alleanze: il Giappone, la Corea del Sud, altri paesi che si avvicinano alla sfera americana come il Vietnam e l’India. Inoltre il dispositivo militare americano è ancora piuttosto ragguardevole. Poi, a differenza degli USA che sono autosufficienti in fatto di energia, la Cina deve comprare petrolio dal Golfo Persico e le petroliere devono attraversare l’Oceano indiano, lo stretto di Malacca e il mare della Cina: e quasi dappertutto ci sono navi militari americane. L’America c’è, ma ha bisogno di aiuto perché da sola non ce la fa più».

Nei confronti della Cina, esiste una strategia comunitaria europea?
«L’Europa in quella parte del mondo ha solo una presenza marginale e soprattutto non ha alcuna presenza militare. L’Europa continua ad illudersi d’essere una potenza erbivora che può esercitare un’influenza positiva nel mondo. Purtroppo viviamo in un mondo pieno di belve feroci e le potenze erbivore di solito finiscono cannibalizzate».

C’è il rischio che la Cina possa diventare un protettorato dei Talebani?
«È uno scenario verosimile, perché la Cina ha un interesse economico in particolare nei minerali rari che servono per le batterie delle auto elettriche, e ha una leva per intervenire sull’Afghanistan molto potente che è il Pakistan. È possibile che dopo il ritiro degli americani possano insediarsi i cinesi con delle condizioni. Ma non è detto che abbiano più fortuna loro dei sovietici e degli americani».

Quali condizioni?
«La Cina ha subito forme di terrorismo islamista nello Xinjiang dove nella minoranza musulmana c’è una presenza di frange radicali violente. Gli attentati islamisti iniziarono quando io abitavo in Cina. Ci furono delle bombe e stragi, quindi la Cina sarà molto attenta ad esigere che i talebani non diano nessun appoggio a queste organizzazioni islamiste».