L'analisi

La guerra dell'intelligence

Dietro la tregua e il rilascio degli ostaggi il lavoro «sporco» di CIA e Qatar
© ATEF SAFADI
Guido Olimpio
03.12.2023 06:00

La guerra in Medio Oriente è l’Inferno in terra. Migliaia di vittime, il ricatto sugli ostaggi, il dramma umanitario, il rischio di un allargamento l’hanno trasformata in una crisi senza precedenti dove la diplomazia tradizionale non è sufficiente. E per questo, come in Ucraina, ci si è affidati alle intelligence. Da un lato partecipano, in forme diverse, alla sfida militare, dall’altra provano a cercare risposte parziali. In quest’ultima settimana c’è stata una prima breccia, con una prima pausa delle armi, la liberazione di numerosi israeliani rapiti dalle fazioni palestinesi il 7 ottobre e il conseguente rilascio di decine di prigionieri detenuti dallo Stato ebraico. Ad aprire il varco nel muro dell’odio alcune figure abituate ad agire nella riservatezza, lontano da luci e telecamere: il capo del Mossad israeliano David Barnea e quello dello Shin Bet Ronen Bar; il direttore della CIA William Burns e il suo omologo egiziano Abbas Kamal; il premier del Qatar e Mohammed Abdurahman al Thani affiancato dal responsabile del Mukhabarat. Un lavoro interrotto ieri, sabato, dall’ordine di Benyamin Netanyahu, che ha richiamato Barnea e il suo staff da Doha.

Al decollo piccoli jet

Ma nei giorni scorsi le «ombre» si sono incontrate più volte, con una spola frenetica di piccoli jet, un pendolo che ha ricordato la navetta diplomatica condotta da Henry Kissinger una vita fa. Colloqui, telefonate, viaggi, faccia a faccia. Molti i colloqui nella capitale qatarina, a Doha, poi al Cairo e a Tel Aviv dove la delegazione del piccolo quanto influente stato arabo ha compiuto una missione per certi versi storica, legata alla necessità di trovare un filo di dialogo.

Il ruolo degli Emirati

La monarchia è la partner obbligata, anche se in Israele non tutti la gradiscono. Non c’è però scelta. Sono gli emiri ad ospitare la leadership esterna di Hamas, sono sempre loro ad aver pompato milioni di dollari a Gaza in accordo con gli israeliani per tenere in piedi un sistema fragile, sono ancora loro ad avere un’influenza politica e mediatica attraverso l’ascoltata tv satellitare al Jazeera. E dunque è nato il meccanismo per mettere in collegamento i due nemici senza che sia necessario il dialogo diretto.

Il Qatar ascolta, valuta e riferisce, quindi ottiene la risposta e la trasmette. In mezzo gli americani, con il numero uno della CIA, Burns, personaggio stimato per la sua lunga esperienza in giro per il mondo come ambasciatore e negoziatore. Fa da garante ma anche ha la possibilità di ammorbidire il governo Netanyahu. Ha visto molti «incendi» durante la sua professione, ha alle spalle un apparato poderoso che può controbattere trucchi, scoprire manovre, giocare di forza.

Le leve di Abbas Kamal

In questa partita complessa svolge un ruolo indispensabile il Cairo. Abbas Kamal può usare diverse leve: Gaza confina l’Egitto, la porta per i rifornimenti; i suoi agenti segreti hanno costruito legami con una parte della gerarchia di Hamas e sono da sempre sul campo; se vogliono sono in grado di esercitare pressioni e, al tempo stesso, hanno tutto l’interesse ad evitare che il «rogo» si estenda al territorio nazionale. L’aspetto interessante è poi che gli egiziani si trovano a lavorare attorno allo stesso tavolo con il Qatar, grande finanziatore della Fratellanza musulmana - vista come il diavolo dal regime di al Sisi - e alleata della Turchia. Le divisioni non sono scomparse, le hanno solo messe da parte o «trascurate» in nome di un obiettivo più pressante. Infatti, c’è spazio - minore - anche per i turchi. L’attuale ministro degli Esteri Hakan Fidan ha guidato per un lungo periodo i servizi di Ankara ed è stato molto attivo nei contatti.

Fuori dai canoni normali

I dirigenti dello spionaggio non sono tenuti a rilasciare dichiarazioni, rispondono solo al potere politico, hanno strumenti di «persuasione», discutono in termini pragmatici per arrivare alla meta, usano un linguaggio diretto, agiscono al di fuori di canoni normali. L’insieme dei fattori concede loro una maggiore flessibilità, scorciatoie, rapidità. Se un summit va male, riprendono da dove si erano lasciati portando nuove proposte senza che debbano aspettare un dibattito.

Naturalmente parliamo di condizioni eccezionali. Questo metodo non può diventare la regola ma se è utile per trovare una soluzione ad un nodo specifico è giusto concedergli spazio. Specie quando le tregue sono fragili e prevale l’uso della forza.

In questo articolo: