La guerra di nervi nei luoghi della Terra Santa

Gli attivisti aspettano pronti sui tetti con le telecamere in mano, tre punti d’osservazione dai quali si copre tutto il panorama. Il villaggio di al-Twani, incastrato fra le colline brune di Masafer Yatta, a sud di Hebron, è silenzioso e illuminato come un presepe. Da qualche parte nel cielo oscuro arriva il brusio dei droni. Sono le cinque quando i blindati dell’esercito israeliano appaiono nella provinciale, entrano nel paese e occupano le vie d’accesso. Due camionette si dirigono verso la casa di Basel Adra, il giovane regista membro del collettivo che ha vinto l’Oscar per il miglior documentario con "No other land". Il cerchio di luce delle torce montate sui fucili fruga la costruzione fino a inquadrare i giovani palestinesi nella terrazza. Intimano loro di scendere, i ragazzi rifiutano, i soldati minacciano di lanciare lacrimogeni. Gli attivisti si arrendono, scendono al piano di sotto, dove resteranno chiusi a chiave dall’esterno per tutta l’operazione. Uscire significherebbe l’arresto. Albeggia quando i coloni ultraortodossi entrano nel villaggio, con le corriere o a piedi dagli insediamenti vicini.
Un sito dal valore sacro
Blindare al-Twani è necessario perché loro possano pregare in un sito ritenuto di valore sacro, una sinagoga d’età bizantina che nessuna archeologia ha riconosciuto. Passano due ore e i pellegrini risalgono sulle corriere, l’esercito sui blindati, gli abitanti del villaggio timidamente escono dalle case. «Tutto è cambiato con il 7 ottobre. Prima esercito e polizia cercavano di fare il loro dovere. Adesso siamo di fronte a un sistema di appropriazione coloniale che parte dal governo, passa per il sistema giuridico e arriva alle forze dell’ordine e alle milizie dei coloni», racconta Hafez Hureini, fondatore, quasi trent’anni fa, della resistenza non-violenta a Masafer Yatta, che aggiunge deciso, e sereno: «Noi continueremo a lottare con i mezzi della legge e della comunicazione. La resistenza è la nostra identità». Al-Twani si trova a poche centinaia di metri dalla vasta «Zona di tiro 918», un’area d’addestramento ritagliata nel 1981 dal governo israeliano, dove non possono esistere abitazioni civili. Le zone di tiro occupano il dieci percento della Cisgiordania. L’implementazione degli ordini di trasferimento e demolizione, fattisi pressanti negli ultimi mesi, significherebbe a Masafer Yatta la cancellazione delle dodici comunità pastorali presenti nella zona, circa 1.200 persone. Un crimine di guerra per l’ONU.
La minaccia all’ONU
Al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di una pattuglia di paesi guidati dalla Francia, che avverrà probabilmente a fine mese durante l’Assemblea generale dell’Onu, il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha risposto con la minaccia dell’annessione totale. Dopo anni di procrastinazione, anche grazie alle pressioni della comunità internazionale, ai primi di agosto è stato approvato il “Piano E1”, 12 chilometri quadrati dove le comunità beduine verranno evacuate per lasciare spazio a 3.400 nuovi insediamenti che taglieranno a metà la Cisgiordania, fra Ramallah e Betlemme, rendendo impossibile la continuità geografica di un futuro Stato palestinese. Le forze politiche, il popolo sprofondato nella crisi economica, continuano a subire con pazienza. Il pericolo, alla reazione, è quello di fare la stessa fine di Gaza.
I monaci non parlano
L’accelerazione della conquista non risparmia nemmeno i luoghi sacri. Il Monastero di San Gerasimo è un’oasi nel deserto di Gerico, a pochi chilometri dal sito di battesimo di Gesù e dal confine con la Giordania. La cupola d’oro scintilla toccata dal sole, la si vede da lontano spuntare dalla corolla d’alberi. I passaggi dalla splendida chiesa greco-ortodossa alla foresteria, dagli orti al laboratorio di mosaici sono accompagnati dalle piante in fiore, avvolti nel silenzio. Un luogo mistico, di lenta e laboriosa ricerca dello spirito. In un angolo del negozio di souvenir campeggia tuttavia uno schermo che ospita le inquadrature di tutte le telecamere di sorveglianza.
I monaci non parlano, perché il caso dei cinque nuovi avamposti dei di Mevo’ot Yericho è arrivato fino ad Atene, diventando un caso diplomatico. A mostrarci l’insediamento è Mohammad, giovane manutentore del monastero: «Esistono da molti anni, ma dopo il 7 ottobre hanno costruito altri caravan. È tutta terra della Chiesa. Siamo molto preoccupati», dice. La colonia è a poco più di 200 metri dagli ultimi palmizi del monastero, schiacciata dalla canicola, con le sue torrette d’avvistamento blindate, da prigione. Oltre, solo il deserto. Ricorda una fiera acquattata in attesa.