L'intervista

La politologa (ex modella): «I populismi stanno cambiando l'Europa»

L'italo-svizzera Camille Chenaux ha scritto un libro sulle derive politiche in Italia e Germania - «È in corso una crisi e l'Europa risponde con difficoltà»
Camille Chenaux. © Facebook
23.11.2025 14:15

Camille Chenaux in passato è stata foto-modella e atleta di mezzofondo (tre medaglie ai Campionati svizzeri) ma ora corre su tutt’altro circuito. Politologa affermata, oggi la 34enne italo-svizzera è ricercatrice in relazioni internazionali all’Università Roma Tre e docente all’università americana di Roma. Nel suo ultimo libro, «Crisi dello Stato Nazione e populismi europei» (Carocci 2025) ripercorre la crisi delle democrazie nel Vecchio Continente e tratteggia i possibili sviluppi futuri.

In questo libro sembra un po’ preoccupata.
«Studiare il populismo europeo, e le quattro ipotetiche fratture (politica, culturale, economica e sociale che sarebbero oggi alla base del sistema partitico europeo), è importante per capire la società. Sia la globalizzazione sia il processo di costruzione europea hanno messo e continuano a mettere a dura prova gli Stati nazionali europei cosi come li abbiamo conosciuti sino al 1989, e questo ha creato degli scontenti. E l’idea che il populismo sia il frutto della crisi dello Stato nazionale, suscita allarmismi circa la possibile evoluzione delle democrazie continentali nel prossimo futuro».

Quando ha cominciato a pensare a questo saggio?
«Mi sono approcciata a questo argomento nel 2018, un anno clou per il populismo europeo. In Italia s’era formato il governo Cinque Stelle-Lega; da due anni la Gran Bretagna era uscita dall’Unione Europea e si discuteva ancora duramente della Brexit; negli Stati Uniti era iniziato il primo mandato di Trump e il populismo sembrava inarrestabile, un fermento in piena ebollizione: ho pensato che la nuova grammatica della guerra politica sarebbe stata quella del populismo».

In che ambito il populismo si esprime?
«Il populismo è la risposta alla crisi dello Stato nazione dopo la globalizzazione e l’integrazione europea. Coloro che hanno perso in questo nuovo sistema mondo, tendono a voler ritornare al modello del passato, a una solidità e a una prevalenza del potere e dell’identità nazionale. Il populismo «puro» lo fa in modo trasversale, e si porrà sempre dalla parte del nazionalismo contro l’idea dell’internazionalismo. Nella dimensione culturale sicuramente andrà per esclusione piuttosto che per inclusione, con l’idea di proteggere i confini nazionali. Sulla dimensione economica i vari populismi avranno una condotta più protezionistica negli affari nazionali, e sulla dimensione sociale: saranno la risposta alla nuova dimensione mondo e calcheranno meno l’idea d’una società divisa in classi».

Qual è la sua visione dello Stato-Nazione?
«I populisti vogliono più autonomia e sono contro l’Unione Europea. Prima della Brexit l’idea degli Stati nazionali era di uscire dall’unione europea e distruggere quanto era stato costruito dopo la seconda guerra mondiale. Ma con la Brexit si sono visti gli effetti negativi, soprattutto economici, che poteva comportare l’uscita dall’Unione Europea, e i populisti si sono un po’ calmati. Hanno fatto marcia indietro e deciso di restare per rafforzare lo Stato nazione all’interno dell’Europa e riformarla, dando maggior peso agli Stati nazione».

Il populismo è una deriva, o una posizione apprezzabile del confronto partitico?
«Il populismo è necessario nelle nostre democrazie perché dà voce a un malessere cittadino. Ed è utile alla politica altrimenti gli scontenti incrementerebbero l’astensionismo elettorale. Tuttavia il populismo è anche il campanello di allarme, da non trascurare, di una crisi delle nostre democrazie».

Ma cos’è veramente il populismo, e cosa genera secondo lei?
«Il populismo spesso è stato un termine abusato, e anche confuso. Nel libro cerco di dare una spiegazione del fenomeno affermando che il populismo è un misto tra ideologia debole, stile e strategia politica: è questo il nucleo del populismo. Ma siccome ha un carattere camaleontico, tende a trasformarsi in modo anche opportunistico in base alle tematiche più calde del momento come immigrazione e riarmo. Poi c’è una dimensione di semplificazione procedurale che pretende una democrazia diretta e una maggiore comunicazione».

Il populismo può danneggiare le istituzioni democratiche?
«Io vedo il populismo come segnale di un disagio nel nuovo sistema mondo, una diversità (pensiamo all’Ungheria di Orbán), ma quando arriva al governo, teorizza con slogan o politiche troppo semplici sui problemi complessi del mondo e tende a sgonfiarsi. Molti populismi non durano, sono delle meteore. È successo così anche in Italia ai Cinque Stelle e alla Lega dopo aver dato vita al governo giallo-verde».

Il populismo è di destra o di sinistra?
«In Europa spesso si fa l’errore di associarlo esclusivamente ai partiti di estrema destra, ma il populismo è qualcosa di diverso: è un’aspirazione vera, pura. Nel nuovo contesto geopolitico le nostre democrazie si stanno adattando con difficoltà e devono trovare un nuovo equilibrio, un nuovo assetto».

Italia e Germania, da lei presi come esempio, cos’hanno da spartire?
«L’Italia in qualche modo è stata un po’ un laboratorio del movimento populista e lo dimostra il fatto che ci siano due populismi: i Cinque Stelle che ora si stanno muovendo un po’ sulla sinistra e la Lega. Anche in Germania ci sono due populismi, uno di estrema destra che dagli ultimi sondaggi sta aumentando in modo preoccupante (è quasi pari alla CDU). E mentre in Italia il populismo si affievolisce, in Germania cresce in modo esponenziale. Questo deriva anche dalla politica interna della Germania, dove a livello costituzionale si tende a bloccare i partiti estremi, ma così facendo si rischia di ottenere l’effetto contrario».

Popolocrazia, democrazia difettosa o democrazia in diretta? Come orientarci?
«Con il populismo c’è una trasformazione delle democrazie, l’esigenza d’una democrazia sempre più diretta senza mediazioni. Si vuole qualcosa di immediato. Cosa suggerita anche dai mass media, dai social: una comunicazione immediata. E c’è crisi nella democrazia rappresentativa perché i cittadini tendono ad avere meno fiducia nei loro rappresentanti, e pretendono una democrazia diretta cosa, almeno al momento, improbabile».

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