Salute

La prevenzione per il tumore alla prostata

I tabù frenano i test – «Un po’ come fanno le donne che periodicamente eseguono regolari controlli come la mammografia o la visita ginecologica»
Mauro Spignesi
21.05.2023 17:24

A quasi 17 svizzeri, in media, ogni giorno viene diagnosticato un tumore alla prostata. Complessivamente ogni anno circa 7.100 persone finiscono in cura per questa neoplasia; in Ticino sono quasi trecento i casi riscontrati. Ma oltre la statistica c’è un mondo fatto di ricerche mediche, di faticose conquiste della scienza, di lavoro, di interventi chirurgici e terapie, di sofferenze e speranze. «Ma soprattutto di prevenzione. Perché è la cultura della prevenzione la prima cura contro questo tipo di cancro. È grazie alla prevenzione che si possono salvare tante vite umane», spiega il professor Andrea Gallina, primario del Servizio di Urologia dell’Ospedale Regionale di Lugano e docente di urologia nella Facoltà di scienze biomediche dell’USI, Istituto di medicina umana. Gallina fa parte del team multidisciplinare del Centro Prostata della Svizzera Italiana che due anni fa ha ottenuto il «Certified European Prostate Cancer Centre», rilasciato da Oncozert della Deutschen Krebsgesellschaft (DKG).  

Il certificato una garanzia

«Il certificato, che viene confermato ogni anno attraverso la verifica di precisi standard, è una garanzia per il paziente, perché attesta che all’Ente Ospedaliero Cantonale in Ticino si può essere assistiti secondo protocolli internazionali, offerte terapeutiche e una presa a carico di alto livello riconosciuta a livello internazionale. I ticinesi, dunque, non hanno bisogno di andare in cliniche o ospedali in altri Cantoni o in altri Paesi. Inoltre, qui da noi i medici parlano italiano e questo è un vantaggio. Tanto è vero che arrivano pazienti di lingua madre italiana anche da Zurigo. Evidentemente si sentono rassicurati anche quando devono affrontare situazioni psicologicamente delicate e clinicamente complesse», sottolinea la dottoressa Ursula Vogl, caposervizio oncologia medica EOC e responsabile clinico del Centro Prostata della Svizzera Italiana.

Un po’ come fanno le donne che periodicamente eseguono regolari controlli come la mammografia o la visita ginecologica

La qualità delle cure e della diagnosi in Ticino è dunque una realtà. Non da oggi, tuttavia. «Ma - aggiunge Gallina - deve cadere ancora un tabù sull’altare della ragionevolezza. Perché chi ha 50 anni o anche meno deve capire che un controllo nelle nostre strutture è importante. Noi dobbiamo capire se la malattia è presente in quanto spesso non esistono sintomi specifici. Inoltre, una volta accertata la sua presenza, dobbiamo sapere se troveremo un piccolo felino, un gattino, oppure se troveremo una tigre aggressiva. Molti uomini invece non si sottopongono agli esami, che partono da un test del sangue, il PSA, per una questione culturale. Invece per scoprire neoplasie nella loro prima fase, in dimensioni ridotte e senza una diffusione metastatica, cioè quando ancora è possibile curarle, occorre sottoporsi ai nostri test. Un po’ come fanno le donne che periodicamente eseguono regolari controlli come la mammografia o la visita ginecologica». Gallina sottolinea un altro aspetto: «A disposizione dei pazienti mettiamo anche un team di psicologi clinici, sono figure professionali fondamentali perché apprendere di avere un tumore è uno shock difficile da elaborare, ma occorre comunque trovare energie mentali per andare avanti, per reagire e affrontare il percorso di cure».  

Spesso la familiarità è un fattore

I controlli vanno fatti sempre, soprattutto se si ha un familiare che ha già avuto un tumore di questo genere. In questo caso è meglio anticiparli, partendo dall’età di 45 anni. In linea di massima, per i controlli regolari si dovrebbe cominciare a 50 anni, come dicono tutti gli studi europei «Non c’è nulla di complicato - insiste Gallina - si fa l’esame del sangue, il PSA, la visita urologica con la palpazione della prostata. Capisco, come dicevo, che spesso culturalmente c’è una certa avversione a questi esami ma le parti «fastidiose» durano 15 secondi e non sono una tortura medioevale. Questi controlli possono salvare delle vite con una diagnosi tempestiva. Noi offriamo anche una consulenza genetica, poiché il tumore alla prostata ha una componente ereditaria in circa il 12% dei casi». Su questo fronte il Centro dell’EOC può contare sull’apporto dello IOR (Istituto di ricerca dei tumori) di Bellinzona, dove ci sono diversi gruppi di studio e ricerca specifici.

Periodicamente, per far cadere la barriera dei timori, l’EOC lancia campagne di sensibilizzazione. Il tumore secondo l’impostazione del Centro deve essere combattuto con un approccio globale, in tutte le sue sfaccettature, fissando la diagnosi e programmando le cure, tenendo conto di come potrà svilupparsi e delle possibili varianti. Ma questo è possibile solo, come accade in Ticino, con una presa a carico integrata e personalizzata per ogni paziente. «Oggi è importante la multidisciplinarietà, che noi mettiamo in pratica con un team di specialisti: urologi, radioterapisti, infermieri specializzati, psicologi, patologi e radiologi tutti con particolare esperienza sul tumore prostatico. Poi c’è la chirurgia robotica che va a colpire al millimetro riducendo gli effetti collaterali e anche la radioterapia è sempre più precisa andando ad eliminare le cellule tumorali», spiega la dottoressa Vogl. Il Centro può contare su strumenti avanzati come, ad esempio, il robot Da Vinci Xi, apparecchi di risonanza magnetica di nuova generazione, una TAC-PET specifica per il carcinoma prostatico. Sul concetto di multidisciplinarietà insiste anche Gallina: «Nelle nostre riunioni settimanali - racconta -  sono spesso collegate almeno venti persone per discutere e confrontarsi dei casi in corso, c’è uno scambio di esperienze, di consigli, di stimoli che permette di offrire al paziente il percorso di cura più adatto alle sue caratteristiche e alle sue necessità, fornendo il parere di esperti di tumore prostatico riconosciuti a livello internazionale».

Il 90% dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi sopravvive e in generale non solo cronicizzando la malattia ma con una buona qualità della vita e questo è importante

Ultimamente ci sono stati casi anche di giovani ai quali è stato riscontrato un carcinoma prostatico. «Sono tuttavia casi davvero rari - spiega la dottoressa Vogl - che arrivano alla nostra attenzione solo grazie a controlli tempestivi. Per alcuni pazienti, il rischio aggiuntivo non è determinato solo dai parenti che hanno avuto un tumore alla prostata ma anche da una storia oncologica di tumore al seno in famiglia. Davanti a una “sindrome familiare” è quindi cresciuta una cultura della prevenzione che porta a sensibilizzare tutti, dal medico di famiglia, ai parenti e ai pazienti, verso un a diagnosi precoce. Noi lo vediamo dalla nostra casistica». 

La percentuale di guarigione

Fortunatamente, grazie anche a queste politiche di sensibilizzazione, la percentuale di guarigione da questa neoplasia è cresciuta. Recenti studi del National cancer institute affermano che il 90% dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi sopravvive e in generale non solo cronicizzando la malattia ma con una buona qualità della vita e questo è importante. «Ma soprattutto - spiega ancora la dottoressa Vogl - stiamo riuscendo a cucire addosso a ogni paziente un trattamento sempre più personalizzato. Oggi con la ricerca che è andata avanti, con la robotica che ti consente di effettuare interventi precisi e meno invasivi, con la medicina nucleare che ha portato nuove scoperte, abbiamo fatto buoni passi avanti. Inoltre, anche la radioterapia quando viene impiegata non reca più danni agli organi vicini a quello interessato dal tumore, possiamo davvero evitare trattamenti aggressivi».  

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