La storia

La sfida (vinta) dell'orto inclusivo

Un campo «incoltivabile» è diventato una storia di successo a Locarno: il racconto del protagonista Pierluigi Zanchi
Pierluigi Zanchi. © CdT
Andrée-Marie Dussault
11.02.2024 10:35

Sembra un piccolo miracolo. Un orto coltivato su un terreno non idoneo all’agricoltura, senza usare acqua di rete né elettricità, nemmeno concime, diserbo o pesticidi. E in più, senza lavorare la terra o estirpare le erbacce. Ed è stato un gran successo: un campetto ritenuto «incoltivabile» di poco più di cento metri quadrati ha permesso la produzione di cibo per una persona adulta per circa centoquindici giorni l’anno; cioè un grado di autosufficienza stimato al 30%. (Per chi non se ne intende, rappresenta una produttività altissima.) Ce lo racconta il protagonista di quest’avventura, Pierluigi «Pierre» Zanchi, fondatore del laboratorio di artigianato alimentare biologico Tigusto SA, in un libro che ha appena scritto L’Orto inclusivo: un’esperienza di agricoltura estrema facilmente replicabile (Editore Dadò, 2023). Adesso sta facendo un giro di conferenze in tutto il cantone per presentarlo, e magari ispirare la gente. «Ci sono già qualche nuovo gruppo, a Bellinzona, a Tesserete e Mendrisio che si sono fatti avanti e desiderano creare un orto inclusivo», afferma Pierre, entusiasta.

Cibo sano e sostenibile

Certo, perché la sua iniziativa rappresenta una rivoluzione dell’economia domestica a costo zero. Cuoco in dietetica e in gastronomia, e tecnico in nutrizione umana, Pierre ha condotto, assieme ad allievi e docenti della scuola speciale di Locarno, un’esperienza urbana che ha restituito la fertilità a una striscia di terra sterile. Con questa, sono riusciti a produrre cibo sano e etico in modo sostenibile, senza inquinare, a chilometro zero, utilizzando scarti vegetali e attrezzi semplici, risparmiando acqua e corrente elettrica, creando legami e coesione sociale. La superficie di 102 m2 che ha accolto l’orto sperimentale si trovava in Via alla Morettina, a Locarno, fra un muro di cemento vicino alla strada e un parcheggio. L’erba cresceva a malapena su questo terreno di tipo golenale; conteneva materiale roccioso proveniente dal fiume Maggia, e anche scarti edili di cantiere. Si trattava di un terreno soggetto alla proliferazione dell’invasivo poligono del Giappone. Pierre preferisce però parlare di «spontanee» piuttosto che di «infestanti o erbacce», perché «alcune parole danno origine ad emozioni negative e così rende più facile giustificare azioni violente nel loro confronti».

Un composto per concimare

La sperimentazione è iniziata nel novembre 2017 e si è conclusa nel gennaio 2022. Ora continua ma si è spostata al vicino Parco Robinson. All’inizio, per preparare il terreno, visto la sua aridità e la scarsità del materiale organico, resti di ramaglie e rami che la Città di Locarno doveva smaltire sono stati utilizzati per coprire il terreno. Nel primo mese dell’esperienza, circa tre tonnellate di questo composto per uno spessore di 30-40 cm sono state stese sui 102 m2. Ha reso il suolo ricco di vermi e gli autunni seguenti i giardinieri hanno ripetuto l’operazione. Però, il terzo anno, il Comune ha smesso di dargli gli scarti vegetali perché si è reso conto che poteva usarlo per curare i parchi. «Se la Città può ridurre in questo modo gli scarti da smaltire è una buona notizia, commenta Pierre, sorridendo. «Perché Locarno smaltisce più o meno 1090 tonnellate di residuo verde all’anno, ciò che costa circa 150 mila franchi alla comunità, a cui si aggiungono costi - economici e ambientali - per la raccolta, il trasporto fino al centro di compostaggio, la manutenzione dei camion...»

Dopo questa giravolta del Comune, all’orto sperimentale è stato deciso di implementare la pacciamatura con scarti crudi provenienti dalle cucine dei volontari e di residenti del quartiere. Ma evitando ossa, lische di pesce, croste di formaggio, cibi cotti o gusci d’uovo per motivi igienici e per non attirare topi, tassi e martore.

Un grande valore organico

L’orto si è per lo più accontentato dell’acqua piovana. L’importante massa organica a base di scarti vegetali domestici ha fatto da spugna, permettendo una lenta filtrazione e il suo immagazzinamento. In tale modo che quando sono caduti 340 litri al m2 in un giorno nel fine agosto 2020, il parcheggio accanto era allagato, ma l’orto no. Rinunciando alla vangatura, alla zappatura, all’annaffiatura e al diserbo, il tempo destinato alla coltivazione a Via alla Morettina è stato ridotto di metà rispetto a un orto convenzionale. Pierre ha poi fatto fare delle analisi del terreno che hanno confermato quello ch’era ovvio ad occhio, dimostrando agli scettici - tra cui molti professionisti, sottolinea - che ogni anno, il suo valore organico era sempre più elevato. Infatti, il risultato del seminare collettivamente è stato la raccolta di un’abbondanza di verdure, ma anche di gioia, di senso di appartenenza, e di maggiore rispetto e cura per il territorio.

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