La domenica

La vendetta pornografica

Revenge porn: sono molte, anche in Ticino, le vittime di questo fenomeno - Ne abbiamo parlato con due sessuologi
Giorgia Cimma Sommaruga
06.02.2022 06:00

«Attacchi di panico, depressione, sensi di colpa, vergogna. Mi sento così dopo i video durante un rapporto sessuale in un festino universitario», racconta Elena, vittima ticinese di «revenge porn» (condivisione di video e foto intimi senza il consenso dell’interessato). Secondo Walter Beolchi, medico clinico e sessuologo, «spesso tutto nasce dallo scambio di immagini erotiche, il sexting, e la ripresa consensuale di video durante un rapporto sessuale». Entrambi gesti pericolosissimi, poiché una volta terminata la relazione quelle immagini rischiano di diventare arma di ricatto. La vendetta riguarda sempre più spesso l’ex partner che lasciato - o tradito - sceglie la strada più subdola. «C’è anche da dire però - afferma Kathya Bonatti, sessuologa e saggista - che il carnefice, nella maggior parte dei casi l’uomo, ottiene le immagini manipolando la vittima: se mi ami davvero mi puoi inviare una tua foto erotica, è una delle frasi più frequenti».

Schizzano i casi

L’impressione è che, complice la pandemia, le quarantene e lo smart working, i casi di vendetta pornografica siano più frequenti. «La tendenza è chiaramente in aumento visto il crescere della sessualità su internet - precisa Bonatti - a causa della paura dei contagi». Tra le cause, soprattutto tra i giovani, la polizia cantonale rileva il sexting: «Una pratica sempre più diffusa con il pericolo che il materiale scambiato possa diventare virale».

Certo, alla base vi è spesso inconsapevolezza e ingenuità ma «dobbiamo chiederci se la pandemia abbia fatto nascere questi atteggiamenti di sadismo e vendetta, oppure lo stare soli e isolati abbia in qualche modo fatto emergere patologie sotto traccia», riflette Neva Suardi, medico capo clinica presso l’unità di psichiatria legale dell’Ospedale universitario di Ginevra. «Ci sono casi nati su siti di incontri, dove la vittima non ha denunciato, o lo ha fatto dopo alcuni mesi, forse per la vergogna pensando di essersi messa da sola in pericolo», continua la psichiatra forense. «Non è da escludere anche un fattore culturale: in una città come Ginevra la commistione è forte, e spesso subentra una logica di potere propria di alcune culture, dove sminuire la donna permette l’affermazione del potere maschile».

Graffi dell’anima

Nella maggior parte dei casi il carnefice «è un individuo affetto da narcisismo, un disturbo della personalità, che manifesta un aspetto sadico nel godere della sofferenza altrui», spiega Beolchi. Nel revenge porn dobbiamo distinguere due tipi di carnefici: «Il partner tradito o lasciato che minaccia o pubblica foto scattate nell’intimità di coppia, oppure il partner occasionale, che esibisce gli scatti come un trofeo sessuale - puntualizza Kathya Bonatti - tra questi anche chi ricatta per avere in cambio prestazioni sessuali: tutte azioni da punire».

Denunciare è la risposta

«A livello ticinese non vi è praticamente casistica in relazione al revenge porn», sostiene la polizia cantonale. «Io non sono così ottimista - afferma Beolchi - registro continue richieste di consultazione». Beolchi ha deciso addirittura di introdurre la terapia di gruppo, affiancato da una esperta psicosessuologa. Questo perché è indubbiamente difficile trovare il coraggio di denunciare.

«Hanno iniziato a ricattarmi: «se non partecipi al festino pubblichiamo i video», mi scrivevano», racconta Elena, che ad oggi, dopo tre mesi dai fatti, non ha denunciato. «Temo vendette, so chi mi ha fatto quei video, li incontro tutti i giorni in università», continua la Elena, ora in terapia dal dottor Beolchi.

Il lavoro sulle vittime di vendetta pornografica «prevede in genere una decina di sedute -spiega Beolchi - ma spesso non sono abbastanza per scardinare quei meccanismi mentali per cui la denuncia sarebbe un gesto «esagerato» rispetto al sopruso subito». Ma la polizia cantonale ribadisce l’importanza della denuncia «poiché punire il colpevole dissuaderebbe altri dall’agire». È inoltre fondamentale che le vittime siano consapevoli di «non essere sole, questi fatti sono graffi dell’anima, ma tutti possiamo superarle e ricominciare, denunciando e chiedendo aiuto», dice Bonatti. «Quello subito dalla mia paziente è un ricatto morale che fa leva sul suo senso di colpa e di vergogna unito alla paura del giudizio degli altri, un meccanismo mentale che - assieme - stiamo cercando di superare», spiega Beolchi.

Iniziative di tutela

Dal 2012 la Svizzera è iscritta alla convenzione internazionale per la lotta alla cyber criminalità, per cui società come Instagram sono obbligate ad avere una rappresentanza legale nel nostro Paese. «Così è più semplice lo scambio dei dati visto che in Svizzera non abbiamo una legge ad hoc », afferma Beolchi. Nel Canton Vaud i socialisti hanno chiesto al governo di farsi portavoce a Berna di una norma più decisa.