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La vita dopo il carcere

Sbarca in Ticino un nuovo strumento di assistenza riabilitativa per gli ex detenuti che abbassa il tasso di recidiva
© CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
05.11.2023 18:45

Ad accomunarli è la pena. Sospesa, in esecuzione o già scontata e in periodo di prova in attesa della liberazione definitiva. Ma non solo. Perché chi è stato condannato per droga, truffa, reati contro la proprietà o per violazione della legge sulla circolazione stradale o ancora perché è stato un marito o un padre manesco o violento può improvvisamente trovarsi da solo, senza più un lavoro, un alloggio, degli amici o anche solo un amore. Allo scotto da pagare con la giustizia si aggiunge anche lo spettro di non riuscire più a trovare posto nella società. Di rimanerne fuori. Con il rischio di ricadere nel tunnel, di essere recidivo. Colpevoli per sempre ed etichettati come spacciatori, drogati, ladri, truffatori, pirati della strada, mariti violenti. «Ma non è sempre così, anzi quasi mai è così. Tutti possono cambiare, basta crederci. Gli atti non fanno una persona. Le persone sono altro e soprattutto piene di sfaccettature. Porre un’etichetta ci facilita, è semplice e anche rassicurante. Purtroppo, l’effetto che otteniamo è che la persona finisce di crederci, ne assume la postura e i comportamenti conseguenti». Luisella Demartini ha lavorato per una vita nella Giustizia, prima come operatrice sociale al carcere La Stampa, poi come direttrice dell’Ufficio dell’assistenza riabilitativa. Oggi è coordinatrice del Progetto Obiettivo Desistenza (www.desistenza.ch), un progetto che dopo 4 anni di sperimentazione - nel 2019 è stato promosso dai cantoni romandi e dal Ticino, riuniti nella Commissione latina di probazione, con il sostegno dell’Ufficio federale di giustizia - è diventato a tutti gli effetti un nuovo strumento nella presa in carico dei mandati di assistenza riabilitativa in Ticino e forse prossimamente in tutta la Svizzera.

Un percorso insieme agli altri

Un metodo sicuramente innovativo. Che in Svizzera mancava. E che sta dando i suoi frutti, secondo Demartini, ma anche secondo l’Università di Losanna che ne ha valutato gli effetti durante la fase sperimentale. Anche perché le persone che hanno partecipato alla fase pilota - oltre un migliaio - hanno ripreso in mano le proprie vite. «Nei giovani al primo reato, il cambiamento è risultato più evidente, negli adulti recidivi gli effetti sono visibili a 18 mesi dall’inizio del percorso», precisa Demartini. Una storia ha particolarmente colpito la responsabile del progetto. Ed è quella «di un uomo (vedi articolo in basso, ndr.)che nella sua vita ha cumulato 17 anni di carcere. Non vedeva alcun futuro possibile salvo riprodurre i medesimi comportamenti, imbroccare le medesime strade. Nessuno credeva più in lui, ma ancor meno lo faceva lui».

Tutti possono cambiare, basta crederci. È sulla base di questo assunto, che deve essere prima di tutto interiorizzato dalla persona, che si snoda l’accompagnamento riabilitativo degli operatori sociali che fanno parte del progetto. Un percorso che non si fa da soli. Ma insieme agli altri e nella comunità di origine. Per ricreare quelle relazioni sociali che il reato e la condanna hanno troncato. Non un’impresa facile. Che può però essere affrontata «mettendo al centro le risorse di ogni individuo e le sue capacità di rendersi responsabile delle proprie scelte e del proprio futuro e soprattutto autonomo», precisa Demartini. Di fatto l’operatore sociale non ha di fronte solo un «mandato giudiziario», ma una persona con un passato fatto di decisioni socialmente sbagliate e un futuro possibile se fondato sul suo potenziale e sulle capacità reali. «Si tratta di coinvolgere la persona attorno a un progetto che abbia senso e favorire e sviluppare il capitale sociale: la creazione di una rete di contatti prosociali», annota Demartini.

Banale solo in apparenza

A volte basta «riscoprire un hobby» che, a fronte dell’obbligo di un riorientamento lavorativo, apre la strada ad una nuova professione. Così fare il volontario nella «mensa per i poveri», in attesa dell’agognato impiego, diventa esperienza e quindi mestiere. Per altre persone, «da sempre rinchiuse in un isolamento sociale impensabile per noi tutti», che non lasciano il quartiere dove risiedono o i luoghi del margine, «fare una gita in montagna, visitare un museo, o andare a un concerto è la scoperta di un mondo e quindi di opportunità». Cose all’apparenza semplici. Banali. Scontate. Per chi non è mai stato condannato, forse. Non per chi ha subito il carcere e sente su di sé gli sguardi e il peso del passato. E quindi preferisce isolarsi, sfuggire, «con il rischio di cercare nel solo ambiente dei «simili» quello che non fa domande, ma anche quello che l’ha portato davanti al Procuratore e al Giudice».

Il compito dello Stato

Reinserirsi nella società insieme a chi ne ha fatto parte anche se a un certo punto ha deviato dalle norme e dai comportamenti sociali e legali ammessi. Tutto questo con l’accompagnamento di una nuova figura introdotta dal progetto pilota: il coordinatore-animatore. Un animatore socioculturale che affianca la persona condannata e costruisce ponti con la società civile e la comunità di origine di quest’ultima. Forse è riduttivo riassumere così il progetto Obiettivo Desistenza. O forse no. Perché in fondo si tratta di riallacciare legami che si sono persi. Ma che ci sono ancora. Basta riannodarli. «Allo Stato la società confida un compito di protezione e sicurezza dei suoi cittadini - riprende Demartini -. Così per chi infrange le leggi, i codici prevedono il perseguimento del reato e la sanzione. Ma la pena non è «vendetta». La pena ha come scopo la rieducazione prima ed il reinserimento poi. Così lo Stato, in materia di sanzioni penali utilizza pro tempore anche il carcere e la privazione di libertà. Lo fa però testando il comportamento e l’adeguatezza della persona condannata da reintegrare nella società civile con aperture progressive, dal congedo, al lavoro esterno fino alla liberazione condizionale. Sarebbe impensabile e anche incosciente «aprire il cancello» alla fine pena senza questa «messa alla prova», afferma la responsabile del progetto.

Che aggiunge ancora. «Ogni decisione di apertura corrisponde a una responsabilità gravosa, ma la sicurezza sociale passa anche dal sistema del regime progressivo. Obiettivo Desistenza è un tassello ulteriore che i cantoni romandi ed il Ticino hanno voluto aggiungere allo strumentario in ambito penale perché l’integrazione (o la reintegrazione sociale) delle persone «giudiziarizzate» diventi una realtà e sia accompagnata dall’abbandono durevole di comportamenti delinquenti».

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