Il fenomeno

L’abbraccio (gratis) migliora la vita

L'inusuale terapia di Vanita Albergoni che da quasi vent’anni porta gli abbracci gratuiti in piazza: «Incontro le persone e le accolgo dentro me, nella società c’è bisogno di contatto umano»
Gli abbracci fanno bene alla salute.
Andrée-Marie Dussault
02.03.2025 15:30

Siamo sulla passeggiata lungo il lago Maggiore a Tenero, è passato oltre un mese dalla giornata mondiale dell’abbraccio: il 21 di gennaio. Una donna minuta ed elegante, con una acconciatura impressionante, spiega come procedere alle cinque donne e ai due uomini che l’ascoltano, e che indossano una t-shirt con scritto sopra «abbracci gratis». «Ispirando, accolgo l’altra persona dentro di me; espirando, mi offro a lei. Non bisogna forzare l’abbraccio, aprite le braccia e regalate un sorriso». Poi: «Attenzione, se fate il broncio, non funziona!». Lei è Vanita (all’anagrafe Monica) Albergoni e da quasi vent’anni porta gli abbracci gratuiti in piazza. Era il 2006. «Ho fatto fare 15 t-shirt e uno striscione «Abbracci gratis» che ho appeso fuori del mio atelier», racconta.

Le reazioni della gente

La comitiva si incammina sul lungolago. Il tempo è bruttino, non c’è tanta gente. Una donna, che sprizza gioia, prende volentieri un abbraccio, anche due. Una coppia invece fa finta di non avere sentito né visto niente. Di solito, quali sono le reazioni? C’è di tutto, assicura Vanita: «Alcuni ti abbracciano pensando di farti un piacere! C’è chi fugge, chi si gira per evitare l’incontro. C’è chi va su e giù dal viale per ricevere un massimo di abbracci. C’è chi ha paura e chi ci guarda male».

Vanita dice che ci sono persone anziane, ma pure adolescenti, che piangono, ringraziando; ci sono anche donne provenienti da paesi caldi, per chi è normale abbracciarsi, e a chi manca il calore umano. Ci sono anche i «no» secchi «che devono essere accettati con serenità». Ci sono più «sì» di «no», ma ci sono diversi «sni»; persone che si lasciano abbracciare per cortesia, ma che non sono convinte. «Una volta ogni due anni, c’è anche chi ci insulta!» Ci sono tante tipologie differenti, quanto sono diversi gli abbracci. «Ci sono quelli frettolosi, staccati; quelli lunghi, calorosi…».

«Ho più ricevuto che dato»

Nel gruppetto c’è Christian, un omone, molto timido, «abbracciatore» alle prime armi. Ha letto del movimento che promuove gli abbracci sui social, poi ha incontrato Vanita e la sua truppa al mercatino di Natale di Bellinzona. «Ho deciso di buttarmi. Prima pensavo che sarebbe stato strano abbracciare un uomo. Invece è andato bene e ho avuto più l’impressione di ricevere che di dare», dichiara dopo due ore di abbracci offerti.

Elisa, una simpatica giovane cinquantenne, è invece una veterana; partecipa a questi eventi da una decina di anni. «So quali benefici porta l’abbraccio sia a chi dà che a chi riceve, permette il rilascio di ossitocina, l’ormone dell’amore; ci fa bene. Dai e ricevi amore incondizionato. E nutrimento allo stato puro!», confida gli occhi luccicanti.

Vanita incoraggia la gente a osare - «perché ci vuole un certo coraggio per aprire le braccia a sconosciuti. Si fa un salto quantico in apertura. Diverse persone che l’hanno sperimentato sono state profondamente toccate. Può essere molto commovente. Si sente chiaramente che c’è un gigantesco bisogno di contatto umano nella nostra società».

Un lungo percorso

Vanita Albergoni è la più grande di tre sorelle. Non ha frequentato l’asilo; «per ragioni politiche», suo padre non l’ha permesso. «Sono stata libera dai condizionamenti fino ai 6-7 anni», sorride. Ha fatto un apprendistato in commercio. Si è sempre sentita «diversa, una sensazione non facile da vivere nella società dell’epoca». Ha voluto lasciare il Ticino andando in Vallese a 17 anni, ma è dovuta tornare per aiutare suo padre con la ditta di famiglia quando sua madre si è ammalata.

Più tardi ha studiato la Gestalt (una scuola di psicologia che si concentra su come percepiamo il mondo e come la mente organizza le informazioni sensoriali), l’integrazione posturale e la psicologia umanista, a Strasburgo. Ha poi imparato tecniche corporee-energetiche e fatto formazioni di rebirthing, e di respirazione, «la base di tutto», sempre in Francia. Si è formata in olfattoterapia (un metodo psico-emozionale di guarigione che stimola l’olfatto portando a galla memorie) e al tantra, con i primissimi insegnanti in Italia, Michaela e Elmar Zadra, e altri pionieri, come il ginevrino Daniel Odier e la francese Margot Anand.

Ha aperto il suo primo studio, l’Atelier del respiro, nel 1996, offrendo un giorno alla settimana sedute individuali, per il resto ha curato l’amministrazione per una psichiatra e collaborato con una casa per donne maltrattate. Poi nel 2001, dopo un incidente in macchina e la diagnosi di una malattia autoimmune, ha deciso di cambiare radicalmente vita. Si è buttata, «con una fede incrollabile - il che non vuol dire non senza difficoltà», passando dalla sicurezza all’indipendenza, lavorando a tempo pieno nel suo atelier.

Negli anni ha organizzato corsi sulla sessualità femminile e maschile, corsi di tantra, ritiri per fare digiuni e detox, ha organizzato i primi workshop di danza del ventre nel Sopraceneri, ha creato cerchi delle lupe (incontri ispirati del libro «Donne che corrono coi lupi»). Nel 2003, con l’obiettivo di seminare gioia e benessere, ha fondato il Club della risata - di cui gli abbracci gratuiti fanno parte. Perché la signora è anche diventata «ridologa». Quando ha scoperto in una rivista il movimento creato nel 1995 dal medico indiano Madan Kataria, che pratica lo yoga della risata (che consiste in ridere senza motivo), «è stato innamoramento a prima vista!». Vanita Albergoni ha preso così contatto con la persona di riferimento segnalata nell’articolo, che tre settimane dopo è giunta a Tenero dalla Liguria per un seminario con trenta partecipanti. «La risata è innata, è dentro ognuno di noi. Crea legame, è contagiosa», afferma Vanita. Purtroppo, in tanti hanno il diaframma - il muscolo principale implicato nella respirazione - bloccato per via dei condizionamenti, dello stress, sottolinea, precisando che i benefici terapeutici, fisiologici e psichici, del ridere sono enormi. «E le endorfine, ormoni della felicità, si mettono in movimento anche se la risata è finta. Il cervello non fa la differenza», racconta.

Sempre con l’obiettivo di diffondere benessere, Vanita ha lavorato con persone tossicodipendenti, con anziani in centri di ricovero, con operatori sociali «che devono sempre sorridere e che sviluppano meccanismi dove non riescono più né a piangere né a ridere, perché le due cose sono legate». Continua a collaborare con associazioni e aziende, «per migliorare la produttività e l’atmosfera». «Per principio e coerenza», non ha mai lavorato con le casse malattia. «La salute è responsabilità di ognuno», sostiene, ammettendo che così, non si è facilitata la vita.

Nel suo accompagnamento, utilizza sempre le medicine naturali che sono il respiro, la risata, la voce, il gibberish (un linguaggio inventato senza senso) ed altri approcci corporei in funzione di chi ha davanti. «Si deve per forza prima passare dal corpo, se no, niente guarigione», considera, osservando che «la vera paura dell’essere umano non è di morire, ma vivere, e sentire, veramente». Un abbraccio?

In questo articolo: