Gaza

L'ABC della «questione palestinese» ora

Dopo il cessate il fuoco, un'istantanea storica, sociale e politica del dramma di un popolo
©Jehad Alshrafi
Guido Olimpio
12.10.2025 06:00

L’accordo su Gaza è successo cruciale che deve però trovare concretezza nei tempi lunghi. Apre speranze, è tenuto in sospeso dai molti rischi, suscita - come è naturale che sia - domande sul domani. Tra queste il destino dei palestinesi. Ma chi sono, dove sono e perché non hanno uno Stato proprio?

Quanti sono?

Le fonti ufficiali stimano in circa 12 milioni di palestinesi suddivisi tra interno e diaspora. Di questi attorno ai 2 milioni sono a Gaza, 3,2 in Cisgiordania (nota anche come West Bank), 1,7 in Israele (cittadini arabo-israeliani). Il resto sparso per il mondo arabo, con un’alta concentrazione in Giordania, con quasi 2 milioni di persone d’origine palestinese. In Libano ne restano circa 500 mila, chiusi in campi profughi. Per quanto riguarda la religione oltre il 90 per cento è di fede musulmana, a questa maggioranza si aggiunge una minoranza cristiana.

Quali sono le tappe principali della Storia?

1948: nascita dello stato di Israele e il primo grande conflitto con un esodo palestinese massiccio, con parte della popolazione costretta a lasciare le proprie case.

1967: in seguito alla guerra dei Sei giorni nuovo trauma e altre migrazioni forzate; gli israeliani occupano la Cisgiordania e la parte est di Gerusalemme. I palestinesi usano l’arma del terrorismo a livello internazionale. Ecco i dirottamenti aerei, gli attentati in Europa - come la strage alle Olimpiadi di Monaco nell’estate del 1972 -, il patto d’azione con gruppi terroristici stranieri.

1987: esplode l’Intifada, rivolta popolare nelle aree palestinesi. È la prima grande scossa, nata dal basso.

1993: accordo di pace di Oslo, stabilisce la creazione dell’Autorità palestinese in Cisgiordania e Gaza, permette il ritorno di Yasser Arafat, storico leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. L’intesa apre scenari nuovi, fa sperare per un futuro con un reciproco e costante riconoscimento. Ci sarà però anche una stagione del terrore con Hamas e Jihad protagoniste di azioni suicide in Israele, una strategia - avallata dall’Iran e da regimi arabi estremisti - contraria a qualsiasi dialogo. Sull’altro versante si sviluppano le colonie ebraiche in Cisgiordania, simbolo di occupazione.

Luglio 2000: vertice a Camp David tra Bill Clinton, il premier israeliano Ehud Barak e Arafat, un tentativo di trovare una nuova intesa. Missione fallita per il no palestinese, le condizioni offerte vennero considerate insufficienti.

Settembre 2000: scoppia la seconda Intifada nei territori palestinesi, una conseguenza inevitabile della continua presenza delle colonie ebraiche, della mancanza di un cambio vero, dei tanti impegni disattesi. Arafat resta assediato a Ramallah e morirà nel novembre 2004.

2006: Hamas vince le elezioni a Gaza, è l’inizio di una progressiva crescita.

Come è composto il loro territorio?

La West Bank è sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. È un sistema politico che agisce come un governo ma dipende molto da supporto internazionale. Il controllo effettivo su quest’area è tuttavia ridotto dalla presenza degli insediamenti ebraici collegati da una rete di strade con scopi civili e militari, dalla presenza di posti di blocco, dallo schieramento dell’IDF lungo la riva del Giordano. La Striscia di Gaza è invece in mano ad Hamas, fazione cresciuta negli anni ’80 e diventata potere dominante, anche in seguito all’estromissione dei rivali dell’Autorità palestinese.

Quali sono le forze in campo?

L’Autorità palestinese, con leader Mohammed Abbas - detto anche Abu Mazen - incarna la tradizione, ha una sua polizia, è considerata l’interlocutore privilegiato della diplomazia occidentale, è sostenuta dall’Unione Europea, ha rappresentanze all’estero. Non sono poche le criticità, le accuse di corruzione, i problemi di efficienza che hanno finito per favorire l’avanzata di Hamas, tollerata all’inizio anche da Israele in chiave anti-Olp. Il movimento integralista appartiene all’area della Fratellanza musulmana, è finanziato principalmente dal Qatar, è alleato della Turchia e ha l’appoggio dell’Iran così come delle milizie sciite. A guidarlo un doppio vertice: i capi nella Striscia - oggi è Izzedine al Haddad - e un comitato in esilio composto da una mezza dozzina di elementi, tra cui Khalil al Hayya. Parliamo di una gerarchia fortemente debilitata dalla campagna di omicidi mirati attuata da Israele con l’uccisione di ufficiali, capi, quadri sia nei territori che all’estero.

Come combatte Hamas?

Ha un braccio militare: le Brigate al Kassam e un proprio servizio segreto che deve contrastare le spie e studiare con attenzione il nemico. Quest’ultimo aspetto è stato enfatizzato negli ultimi anni ed ha fatto da base per preparare l’attacco del 7 ottobre. Sono combattenti che sono stati assistiti da iraniani e Hezbollah libanese ma che hanno poi sviluppato un proprio network poggiato su tre pilastri: la rete dei tunnel, la realizzazione di armi in officine all’interno della Striscia, l’adeguamento continuo agli sviluppi.

Esistono altre fazioni?

Oltre ai vari «fronti» - anche questi legati alla tradizione del passato, ad esempio il Fronte democratico o il Fronte popolare - agiscono la Jihad Islamica (molto vicina agli iraniani), una serie di gruppi minori in West Bank mentre a Gaza sono operativi i Comitati popolari, i Mujaheddin, Jaysh al Islam, piccole cellule salafite jihadiste e clan armati. Parliamo di una realtà a macchia di leopardo, con confini territoriali e politici non sempre netti. In quest’ultimo periodo sono poi apparse nel sud di Gaza due milizie diventate uno strumento dell’IDF. Una è composta da membri di una «famiglia» beduina capitanata da Abi Shabab, la seconda è guidata da un ex poliziotto, Hussam al Astal. Gestiscono aree limitate, distribuiscono aiuti, contrastano gli avversari. Non possono rovesciare gli equilibri ma rappresentano pedine utili per le manovre del «dopo» nella Striscia.