L'arte di Bosco Gurin scende a Lugano

C’è una comunità, originaria dell’Alto Vallese, arrivata in Ticino attorno al 1200. Una comunità, un popolo un tempo formato da pastori nomadi dell’Arco Alpino, che vivendo nel villaggio più alto del cantone (1.506 m) come in un’isola distante dalla costa ha mantenuto intatto per secoli stile di vita, cultura, lingua (Ggurijnartitsch), valori, simboli e identità. E oggi può testimoniare una lunga, affascinante storia tutta da raccontare. Ed è quello che fa il Museo delle culture (Musec) di Lugano che giovedì 6 novembre inaugura l’esposizione Arte Walser, dedicata alla «tradizione di Bosco Gurin». La mostra, allestita nello Spazio Cielo di Villa Malpensata, è la prima iniziativa a dare voce con un disegno articolato e complessivo all’identità walser fuori da Bosco Gurin, cioè dall’unica realtà alloglotta del Ticino che custodisce una forma d’arte popolare sorprendente. Tutto questo è stato possibile, ha raccontato il direttore del Musec Paolo Campione, perché la piccola comunità di Bosco Gurin ha custodito gelosamente oggetti, opere d’arte e documenti che ripercorrono il cammino walser.
Una ricerca durata diversi anni
La mostra, che è anche un’occasione per i ticinesi di conoscere un popolo «altro» che vive nel territorio da sempre, è frutto di una ricerca iniziata nel 2021 e condotta dal Musec in stretta collaborazione con il Comune e il Museo Walsherhaus Gurin di Bosco Gurin, e con il coinvolgimento di tutta la piccola comunità walser. L’esposizione - che resterà aperta sino al primo marzo - è curata da Francesca Pedrocchi, appassionata storica e collaboratrice del Museo Walserhaus Gurin di Bosco Gurin, e da Nora Segreto, ricercatrice del Musec.
La Madonna della neve non ci sarà
Nel catalogo a corredo della rassegna proprio Campione racconta la storia, significativa, di una scultura lignea ottocentesca raffigurante la Vergine con il Bambino, «i Ggurijnar chiamano la scultura Müatargottus zum Schnee, ovvero Madonna della neve», spiega Campione. La statuetta, custodita in un oratorio del Seicento, viene portata in processione ogni 5 agosto, una forma di ringraziamento contro le ostilità della natura, dalle frane alle abbondanti nevicate. La Madonna doveva essere a Villa Malpensata ma alla fine, ha avvertito Campione, la comunità non ha voluto spostarla neppure per un periodo limitato, un attaccamento - «che merita rispetto» - non solo ai valori dell’arte popolare e della religione ma alla storia walser. E tuttavia se non si può vedere la Madonna della neve (magari dopo la mostra si può fare un salto in paese), a Villa Malpensata si possono ammirare altri straordinari simboli religiosi, oltre prodotti frutto di tecniche condivise che sono diventate memoria collettiva e vengono conservati gelosamente e tramandati generazione dopo generazione. Prodotti del lavoro e della vita quotidiana, abiti o mobili, raffinati pizzi e singolari indumenti in lino, lana o seta, immagini sacre e oggetti devozionali. È lo specchio dei walser che parlano - come scrive Francesca Pedrocchi - «una molteplicità di parlate alto-alemanne formatesi nel corso dei secoli nelle varie comunità». Ricordiamo, infatti, che oltre Bosco Gurin il movimento migratorio ha interessato altre aree geografiche dove sono sorte fattorie «di origine germanica a conduzione familiare», come Formazza, Macugnaga, Ayas, per citare alcuni luoghi. In Ticino la presenza di questo popolo è segnalata attorno al 1200. Da lì è partita una lunga storia che arriva sino ai giorni nostri, dove il villaggio si vede confrontato con lo spopolamento e «un continuo esodo di giovani» anche se bisogna registrare diversi tentativi di rivitalizzare con la nascita di ristoranti, hotel, il caseificio comunitario e l’impianto di risalita, oltre il museo inaugurato nell’ormai lontano 1938.
Le straordinarie attività artigianali
Un museo che racconta come i walser siano sì contadini di montagna ma «dotati di molteplici attività artigianali». Erano, racconta ancora Pedrocchi nel catalogo, «da sempre abili muratori, carpentieri, falegnami, tornitori...». E diedero vita a botteghe che produssero anche opere d’arte con materiali come il basalto o l’ardesia, oppure il marmo artificiale, ma soprattutto con il legno. Ci sono edifici in tutto il mondo, dalla Russia sino al Marocco, che portano i segni dell’abilità walser. E ci sono artisti come Antonio Bronz, Martino Elzi, Johannes Anton della Pietra e suo fratello Abraham che hanno lasciato opere davvero interessanti. Particolari anche le sculture in legno, firmate da artisti come Fran Elzi, che «indorava» gli oggetti religiosi.
Il ricordo di una donna
«Nella memoria di Bosco Gurin - spiega sempre Pedrocchi - si ricorda anche di una donna, Regina Bronz (chiamata Regena, 1890-1972) che per esempio aveva dorato le stelline della statua della Madonna della Chiesa parrocchiale». Poi c’è il capitolo dei tornitori, in tempi recenti i più noti, emerge dalla ricerca, erano Elvezio Sartori e il figli Olindo e Luigi mentre i cestai più celebri erano i Bronz e Angelo Tomamichel.
Tutti elementi che testimoniamo come la presenza dei walser sia riuscita a trasformare un territorio aspro in un luogo ricco di storia, arte, tradizione e bellezza. E dove il senso della comunità, una comunità «altra» ma comunque strettamente legata al Ticino, convive con la natura. Ed è quello che emerge nella mostra al Musec.
