Ticino

Le sfuggenti regole del delitto perfetto

Emilio Scossa Baggi, storico capo della polizia scientifica ticinese ora in pensione, ripercorre tutti i casi di omicidio irrisolti della storia recente del cantone – «Ci sono decessi archiviati come suicidi, incidenti o morti naturali che in realtà sono omicidi»
Negli ultimi 40-50 anni sono 15 gli omicidi che non si sono risolti con l’arresto dell’autore.
Prisca Dindo
26.11.2023 11:30

La tabella di Emilio Scossa-Baggi è precisa. Date a sinistra, nomi al centro, località a destra. Sono i casi di omicidio irrisolti avvenuti nel nostro cantone dal 1969 al 2016. In tutto quindici fatti di sangue nei quali gli autori l’hanno fatta franca. Ma allora esiste il delitto perfetto?, domandiamo allo storico capo della polizia scientifica ticinese ormai in pensione mentre mostra il documento. «Dapprima una premessa: quindici omicidi che non si sono risolti con l’arresto dell’autore in quaranta/cinquant’anni non sono molti - annota Scossa-Baggi - ciò non toglie che è difficile ritenersi soddisfatti di fronte a questa lista, perché più scorre il tempo e più queste uccisioni rimarranno comunque senza autore, sospese in un limbo».

La direttrice del Kursaal di Lugano

Scorrendo i nomi della lista, tornano a galla i ricordi di giornalista. C’è Anita Uphoff, 40 anni, cittadina olandese direttrice del ristorante e del night Kursaal a Lugano, uccisa a scopo di rapina nella notte del 16 agosto del 1983; Leonardo Portaluri, benzinaio della Piodella, ammazzato nel suo distributore con quattordici coltellate, sempre a scopo di rapina il 17 agosto 1991; c’è Rita Pagnamenta, una pensionata di 84 anni legata e imbavagliata nel suo appartamento di via Madonnetta a Lugano il primo dicembre del 1992; Antonio Zaraca, l’impiegato di un ufficio cambi a Mendrisio freddato da alcuni rapinatori il 6 ottobre 1988; Emanuela Parra, l’entreneuse uccisa nel 1993 con un colpo di pistola alla tempia. Ritrovarono il suo corpo sul ciglio della strada che porta ai monti di Gorduno.

C’è pure il nome di Alessandro Troja, 54 anni, l’informatore della polizia italiana e ticinese ucciso con un colpo di pistola alla testa nel parcheggio dell’Hotel Losone il 17 ottobre 1990. Un regolamento di conti che fece venire i brividi all’intero Cantone.

Indagini che portano lontano

«Spesso le inchieste per questi morti ammazzati portavano in altri Paesi. Ma quelli erano gli anni 80-90 e, malgrado le ottime collaborazioni con le polizie internazionali, allora era difficile poter rintracciare e perseguire i sospetti all’estero», spiega Scossa-Baggi.

Poi è arrivata la prova del DNA e dalla fine degli anni novanta si è aperta una nuova opportunità nelle inchieste. L’impronta genetica è divenuta ormai un elemento fondamentale delle indagini scientifiche.

Anzi: Scossa-Baggi ricorda come le nuove tecnologie abbiano permesso la possibile identificazione di vecchi casi. Grazie alla ripresa di alcuni di questi «cold cases» analizzando reperti ancora perfettamente conservati dalla Scientifica in seguito all’avvento del DNA, si sono potuti ottenere nuovi riscontri e persino delle analogie nella banca dati di autori già conosciuti.

«Insomma, ci eravamo anche dati da fare in questo senso - ricorda Scossa-Baggi - tuttavia, il Codice penale del nostro Paese prevede una prescrizione dei reati: vent’anni per gli omicidi e trenta per gli assassinii. Perciò ci siamo ritrovati in certi casi un po' con le spalle al muro: pur avendo individuato dei possibili autori, purtroppo non potemmo più fare nulla, in quanto i reati erano ormai prossimi alla prescrizione. E questo contrariamente ad altre realtà giuridiche più severe: oggi abbiamo pertanto anche dei probabili omicida a piede libero».

Il collegamento tra vittima e killer

Al giorno d’oggi è sempre più difficile farla franca «perché oltre alle tracce lasciate sul luogo del crimine, c’è quasi sempre un collegamento tra vittima e autore».

Secondo l’ex capo della Polizia scientifica i delitti perfetti sono da cercare altrove. «Infatti ci sono decessi archiviati come suicidi, incidenti o morti naturali ma che in realtà sono omicidi. È qui che si possono annidare i delitti perfetti».

Nel 2014 tre specialisti della Svizzera interna firmarono un articolo che fece grande scalpore. Christian Jackowski, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’università di Berna, Roland Hausmann, primario dell’Istituto di medicina legale di San Gallo e Daniel Jositsch, professore di diritto penale all’università di Zurigo sostennero che la metà degli omicidi commessi in Svizzera passerebbero per morti naturali e altrettanto succederebbe per i suicidi e le morti da incidente. «Forse la percentuale indicata dagli specialisti è un po’ troppo elevata - precisa Scossa-Baggi - tuttavia di casi non chiariti ce ne sono in ogni contesto anche in Ticino».

Stando ai professori, questi clamorosi errori sono dovuti al fatto che a volte gli esami sui cadaveri vengono effettuati in modo superficiale.

Anche perché a prima vista numerose cause di decesso possono sembrare naturali: come ad esempio le morti causate da una caduta, da annegamento oppure da un avvelenamento.

La nascita della medicina legale

A volte succede che il medico chiamato a constatare il decesso non spogli (oppure non giri) il corpo del defunto, lasciandosi così sfuggire particolari importanti.

«Ricordo un paio di casi che contribuirono a far nascere la medicina legale in Ticino - afferma concludendo Emilio Scossa-Baggi - il ben noto «caso Mengoni» a Quartino nel 1981 o ancora quando venne trovato sempre negli stessi anni il corpo senza vita di un uomo sul quai di Locarno. Era febbraio, ma lui indossava soltanto un dolcevita. Il medico delegato chiamato per la constatazione del decesso dichiarò che era morto di freddo viste le temperature invernali. Invece noi della Scientifica trovammo un doppio elastico da bicicletta nascosto sotto il collo del dolcevita; era morto evidentemente a causa di uno strangolamento, non di un colpo di freddo».

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