L'intervista

Léonore Porchet: «Vado a Taiwan ma non sono Nancy Pelosi»

A colloquio con la consigliera nazionale dei Verdi, che a inizio febbraio visiterà l'isola assieme ad altri quattro parlamentari svizzeri
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Andrea Stern
Andrea Stern
22.01.2023 10:00

Dopo Nancy Pelosi, nell’estate scorsa, anche Léonore Porchet, a inizio febbraio, si recherà a Taiwan, in compagnia di altri quattro parlamentari svizzeri. «Non è un attacco contro la Cina - premette la consigliera nazionale dei Verdi -. La nostra visita vuole esprimere amicizia e solidarietà a coloro che temono per i loro diritti democratici e i loro diritti umani».

Signora Porchet, la visita di Nancy Pelosi aveva scatenato l’ira cinese.

«Forse è un po’ esagerato paragonare la nostra visita a quella della ex speaker della Camera dei rappresentanti statunitense».

Questa volta la Cina non reagirà?

«Non so, devono vedere loro. In ogni caso la nostra non è una visita ufficiale della Svizzera. Alla peggio potrebbero prendere delle misure contro di noi come persone, per esempio disponendo un divieto di entrata».

Non le dispiacerebbe non poter più andare in Cina?

«Guardi, non ho nessuna voglia di andare in Russia e non ho nemmeno voglia di andare in Cina. È un Paese dove si registrano intollerabili violazioni dei diritti umani».

Un giorno la situazione potrebbe cambiare.

«È anche per questo, per sostenere gli sforzi democratici e per difendere i diritti umani, che si svolgono queste visite».

Quindi l’obiettivo della vostra visita è sostenere la democrazia?

«Sì, ma anche mostrare solidarietà ai taiwanesi costretti a vivere nella paura e attirare l’attenzione sulla particolare situazione dell’isola. È importante che la popolazione sia sensibilizzata nel caso, non impossibile, in cui la Cina dovesse attaccare Taiwan».

La Cina ha letteralmente invaso Hong Kong, imponendo un regime politico dittatoriale e lesivo dei diritti umani

Lei teme un attacco?

«La Cina ha letteralmente invaso Hong Kong, imponendo un regime politico dittatoriale e lesivo dei diritti umani. Non credo che avrebbero problemi a ripetersi altrove».

Anche il co-presidente del gruppo di amicizia Svizzera-Taiwan, Marco Chiesa, doveva partecipare al viaggio. Poi è subentrata la paura?

«Non so dirle il motivo per cui Chiesa ha rinunciato al viaggio».

Lui dice che il periodo non coincide con le vacanze scolastiche dei figli. Una motivazione curiosa.

«L’avesse detto una donna non sarebbe sembrato curioso. Significa che l’uguaglianza non è ancora stata raggiunta».

Fatico a immaginare Chiesa che rinuncia alla politica per andare a prendere i figli a scuola.

«(ride) Forse ha ragione lei».

Parliamo di Alain Berset. Secondo lei, che è specialista in comunicazione, cosa dovrebbe fare ora?

«Nulla di diverso da quello che sta facendo. Si è messo  a disposizione della commissione della gestione, è pronto a essere audizionato e a fornire tutte le informazioni necessarie. Lo fa in stile Berset, ma sta facendo il giusto».

Lo stile Berset? È quello di un uomo sicuro di sé, spumeggiante, che ha il senso dello humour

Qual è lo stile Berset?

«Quello di un uomo sicuro di sé, spumeggiante, che ha il senso dello humour».

Sono solo qualità.

«È vero, ma ci sono situazioni in cui le qualità possono diventare difetti».

In generale, non crede che ci sia troppa contiguità tra potere e stampa?

«In realtà da quando sono in Parlamento sento solo colleghi dire che una volta i rapporti con la stampa erano migliori, che adesso è diventato tutto più freddo».

Pare invece che tra Berset e il gruppo Ringier i rapporti fossero piuttosto caldi.

«Non sono in grado di giudicare.È normale che ci siano giornalisti con cui si è più vicini, altri meno. Sarà la giustizia a determinare se in questo caso ci sono state delle irregolarità. Ma bisogna anche considerare che in quel periodo il Consiglio federale aveva interesse a informare la popolazione nel modo più veloce ed efficace possibile».

Quindi non è scioccata dalle rivelazioni?

«Nient’affatto. Nel canton Vaud ho visto cose più gravi, c’erano deputati che trasmettevano alla stampa informazioni coperte dal segreto istrutturio, c’erano violazioni di vario genere».

Siamo molto fortunati in Svizzera. La qualità del servizio pubblico è un regalo che difenderò per tutta la mia carriera politica

Ok, ma Berset avrebbe usato la stampa per influenzare le scelte del Consiglio federale.

«Penso che faccia parte del gioco, quando si è in un collegio con sette opinioni spesso divergenti. Ognuno cerca di influenzare le decisioni in vari modi».

Lei con quali media si informa?

«Sono abbonata al 24 Heures et a Le Courrier. Acquisto spesso Le Matin Dimanche, mi informo su Internet e sono costantemente sintonizzata sulla radio RTS».

Come giudica l’informazione in Svizzera?

«Eccellente. Siamo molto fortunati in Svizzera. La qualità del servizio pubblico è un regalo che difenderò per tutta la mia carriera politica».

E i Verdi come stanno? Hanno vissuto periodi migliori...

«Ecco, sento sempre ripetere questa teoria secondo cui i Verdi non sarebbero in un buon periodo... In realtà è il nostro miglior periodo di sempre. Non abbiamo mai avuto così tanti eletti nei comuni e nei cantoni».

Quindi è fiduciosa per le prossime elezioni?

«A preoccuparmi non sono i Verdi, bensì le sorti del pianeta. Purtroppo la meteo e il clima ci stanno dando ragione. La gente se ne rende conto».

È vero che i due attuali consiglieri federali socialisti non sono molto ecologisti. Ma per noi sarebbe molto più interessante sostituire qualcuno di dannoso per l’ambiente

Il Consiglio federale è ancora un obiettivo?

«Certo. Sarebbe utile poter influenzare la politica del Consiglio federale dal suo interno».

Il prossimo consigliere federale a lasciare dovrebbe essere Alain Berset.

«È vero che i due attuali consiglieri federali socialisti non sono molto ecologisti. Ma per noi sarebbe molto più interessante sostituire qualcuno di dannoso per l’ambiente».

Si riferisce ad Albert Rösti?

«Beh, sì.Ci preoccupa molto che a capo dell’ambiente ci sia un clima-scettico fondamentalista religioso. Ma più realisticamente possiamo puntare a sostituire uno dei due PLR, partito che già oggi è sovrarappresentato».

Entrando in governo non rischiereste di entrare in conflitto con gli attivisti, come accade in Germania?

«Quando ero presidente dei Verdi di Losanna mi sono più volte battuta con il sindaco verde Daniel Brélaz. È normale che chi siede in un Esecutivo debba a volte difendere la linea maggioritaria.Succede in tutti i partiti».

Lei quali risultati ritiene di aver ottenuto a Berna?

«Penso di aver contribuito ad accelerare un cambiamento di mentalità sulla medicina di genere, in un Paese dove ancora oggi in ospedale si trattano meglio gli uomini delle donne. Ho fatto in modo che i disoccupati con bassi salari potessero ricevere il 100% delle indennità nel periodo del COVID. E mi sono battuta per introdurre il principio «solo sì è sì».

Mi batto affinché anche la Svizzera romanda possa beneficiare di maggiori investimenti nell’infrastruttura ferroviaria

Quali altri temi le stanno a cuore?

«Mi batto affinché anche la Svizzera romanda possa beneficiare di maggiori investimenti nell’infrastruttura ferroviaria. Purtroppo siamo molto in ritardo rispetto al resto del Paese».

Intende dire che le FFSprivilegiano la Svizzera tedesca?

«Intendo dire che la Confederazione ha una visione incentrata sulla Svizzera tedesca».

Noi in Ticino non possiamo lamentarci, ci hanno costruito AlpTransit.

«Sono felice che sia stata realizzata quest’opera. Ma non creda che l’hanno costruita pensando a voi ticinesi. L’hanno costruita perché ci sono tanti svizzero tedeschi che vogliono andare in vacanza a sud delle Alpi».

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