L'analisi

L'equilibrio del terrore tra Israele e Iran

I due nemici combattono a distanza una guerra «dimostrativa» – Ma hanno gli arsenali per passare allo stadio successivo
©ABEDIN TAHERKENAREH
Guido Olimpio
Guido Olimpio
21.04.2024 06:00

Colpo e contro-colpo, attacco e rappresaglia. Poi ancora in un ciclo infinito iniziato da molto tempo ma con una differenza rispetto al passato: oggi Israele e l’Iran, con i rispettivi alleati, possono sfidarsi a distanza, usando armi a lungo raggio. Resta il fattore umano, il duello affidato a unità scelte, spie o sabotatori ma i sistemi in mano ai combattenti offrono alternative, opzioni, misure - almeno nelle intenzioni - calibrate. La conferma da quanto avvenuto nelle scorse ore con un blitz «simbolico» da parte degli israeliani. Gerusalemme e Teheran provano a mettere in discussione «l’equilibrio del terrore» aggiungendo ad ogni round qualcosa in più. Per cercare di essere avanti rispetto all’avversario, costringendolo «a inseguire». È un confronto-scontro con linee parallele che possono incrociarsi pericolosamente. La prima freccia è rappresentata dai droni esplosivi. 

Sono ovunque, in mano agli eserciti e alle milizie sponsorizzate dagli ayatollah. Possono percorrere migliaia di chilometri, non sono certo veloci e con cariche di potenza relativa. Tuttavia, hanno un vantaggio: economici rispetto ai missili, sono facilmente esportabili, esistono versioni militari e quelli civili modificate per impiego bellico. Oppositori interni iraniani li hanno utilizzati in precedenza nella zona di Isfahan, gesti probabilmente concepiti dal Mossad. Parliamo dei piccoli quadrocopter, «oggetti volanti» con cariche detonanti.

A loro volta le formazioni appoggiate dalla Repubblica islamica schierano centinaia di mezzi di vario tipo che si aggiungono a quelli dei pasdaran. Servono non solo per fare danni: se lanciati in massa, con la tecnica detta «a sciame» hanno il «compito» di saturare le difese, per obbligare l’avversario ad estendere il proprio scudo. Una tecnica adottata da Mosca per bombardare le città in Ucraina, appaiando i velivoli senza pilota acquistati in Iran ai vettori tradizionali.

Gli israeliani, con l’aiuto occidentale, ne hanno intercettati a dozzine durante la prima rappresaglia dell’Iran, anche perché avevano tempo per farlo ed erano informati sulla minaccia. Al conto va aggiunta la spesa per l’abbattimento degli intrusi: i missili costano molto di più degli obiettivi e le scorte sono contese tra molti fronti. Esiste una successiva opzione, con i velivoli a fare da esca, a creare diversivi in modo da lasciare «spazio» ai missili. Con ulteriore dettaglio sfruttato dagli «attori»: in alcune situazioni possono persino negare di averli lanciati, specie se dovessero mettere in campo velivoli di origine civile. Sono perfetti per il conflitto delle ombre.

I droni, poi, hanno un’applicazione marittima. Con una doppia chiave. Nell’Oceano Indiano e in Mar Rosso sono diventati una minaccia costante per il naviglio civile. Li tirano gli Houthi dello Yemen e prima di loro gli iraniani. Il passo successivo, però, è la versione marina, già a disposizione dei due schieramenti. Filano sopra e sotto la superficie, controllati in remoto, un pericolo destinato a crescere a magari riservare sorprese, visto che non tutto è noto. L’esempio lo abbiamo di nuovo dalla crisi ucraina: Kiev, senza avere una Marina, ha affondato diverse unità di Putin guidando i battelli-esplosivi.

La terza componente è classica e diffusa: i missili, dai cruise ai balistici, più ostici da parare. Questi apparati esistono da decenni e sono stati concepiti per conflitti a tutto campo. La differenza sta nel loro uso per operazioni limitate. Israele ha eliminato diversi alti ufficiali dei pasdaran sbriciolando un edificio legato al consolato iraniano a Damasco. L’Iran ha replicato con lo strike sulle basi nel sud dello Stato ebraico, missione riuscita a metà perché molti ordigni sono stati distrutti ed altri sono caduti per guai tecnici. Ma prima di questa mossa aveva preso di mira un movimento separatista in Pakistan, postazione degli insorti siriani e persino una presunta «rappresentanza» nascosta del Mossad nel Kurdistan iracheno. Gli israeliani, invece, hanno un’altra possibilità, spesso dimenticata: i cruise lanciabili dai sottomarini, unità in grado di avvicinarsi maggiormente al teatro iraniano.

L’insieme dei tasselli ci trasmette un messaggio chiaro. Se i due contendenti vogliono andare oltre l’atto dimostrativo hanno tutto ciò che gli serve e i danni sarebbero devastanti. Per ora aspettano, sondano gli apparati, gonfiano i muscoli e limitano la potenza dello schiaffo.

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