«L'Europa rischia seriamente di scomparire»

Si è ritirato dalla vita politica da quasi 14 anni, eppure secondo l’ultimo barometro Ifop-Fiducial trasmesso da Paris Match e Sud Radio il 25 febbraio, Dominique de Villepin con il 53% di gradimento è la figura politica più popolare tra i francesi. Sarà perché parla con l’eloquenza tipica dell’avvocato, con la prudenza del diplomatico e l’acutezza del politico che ha vissuto fasi importanti della storia della Francia. «La cultura e la storia sono le basi e gli elementi concreti che mi aiutano a resistere in un mondo difficile pieno di sfide dove è arduo trovare la direzione e mantenere il livello di credibilità necessario», racconta Villepin che a gennaio ha vinto il premio Nonino 2025.
La sua carta d’identità?
«Sono nato a Rabat, in Marocco, nel 1953. Ho portato avanti tante battaglie in nome del mio Paese come ambasciatore a Washington e a Nuova Delhi, in India; sono stato capo di gabinetto del Ministero degli affari esteri (1993-1995), capo del gabinetto del presidente della Repubblica e nel 2002 Ministro degli Affari esteri e rappresentante alla Convenzione Europea sul futuro dell’Europa. Nel mio ruolo di responsabile della politica estera, sono stato il capofila del dissenso contro gli Usa e la guerra all’Iraq, e tuttora non risparmio critiche alla politica e ai politici americani».
Si sente più poeta, scrittore o politico?
«Complesso dilemma, che ci impone di chiederci che cosa siamo di fronte alla cultura che è l’identità dell’Europa. Dobbiamo prendere lezioni dalla storia. Pensiamo alle grandi sfide e tragedie che l’Europa ha affrontato come le rivoluzioni, le guerre mondiali, la shoah: lezioni che dovrebbero impedirci di rifare gli stessi errori. La storia inoltre dà la giusta importanza a quelli che io ritengo elementi molto importanti: il rispetto, il dialogo, la diversità, il valore del ruolo della legge. Dobbiamo essere fedeli al nostro multilateralismo e ad essere tolleranti. Se non teniamo viva l’identità dell’Europa e i nostri valori, verremo inghiottiti dalle altre grandi potenze e rischiamo di sparire».
Che cosa la rende così sfiduciato?
«Il capire che stiamo fronteggiando un’emergenza, una grande sfida il cui esito potrebbe essere il rischio che l’Europa possa sparire. Non dobbiamo allinearci con gli Stati Uniti che in questo momento stanno cambiando totalmente il corso dei loro intenti. Con Trump e con i tecnologi che gli stanno vicini, l’America sta cambiando completamente direzione. In questo momento stanno andando verso una democrazia illiberale anziché liberale come quella che noi abbiamo sempre propugnato; vanno verso il protezionismo anziché verso il liberalismo economico».
Che cosa dovremmo fare come europei?
«Allinearsi a loro significherebbe far diventare l’Europa una colonia digitale in questo momento in cui la tecnologia è così importante. La battaglia nel futuro sarà tecnologica e gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa, dei suoi dati e dei suoi mercati. Noi non abbiamo gli strumenti tecnologi per far fronte e difenderci da questa sudditanza. I dati strategici dell’Europa vanno a finire negli Stati Uniti e diventano loro proprietà».
Ma l’America ha sempre dato garanzie di stabilità all’Europa?
«Se pensa che si viva meglio con le garanzie degli Stati Uniti pensi a Trump che a queste garanzie impone delle condizioni. E se ci sono delle condizioni non sono più garanzie. Dobbiamo evitare che i Paesi europei facciano accordi solo per salvaguardare i propri prodotti. Se andiamo avanti divisi saremo inghiottiti dagli Stati Uniti che cancelleranno l’identità europea».
Chi può opporsi veramente?
«Per lottare contro questo pericolo non conto sui governi che sono inclini a farsi sottomettere, ma sul popolo, i cittadini e i giovani. Perché l’Europa si metta sul binario giusto, sfoderi le sue capacità (ne ha tante) e continui a credere nei propri valori, per essere indipendenti e non assimilati ad altre potenze e alle loro culture, dobbiamo resistere e alzare barricate se necessario».
Ha ragione il Papa che parla continuamente di terza guerra mondiale combattuta a pezzi?
«Corriamo un forte rischio di escalation in Ucraina e nel Medio Oriente, e la guerra minaccia di estendersi in Libano e in Iran. Il rischio è pesante, e anche il contrasto che potrebbe esserci tra gli Stati Uniti e la Cina che ha delle mire in sospeso e aspetta il momento buono per agguantare la sua preda come un falco. L’idea di uno che vince e un altro che perde è il passaporto per la guerra. Il protezionismo, la forza e le sanzioni portano solo al confronto più grande. L’Europa dovrebbe proporre delle soluzioni politiche e immaginative, avere la capacità di unire, riformare le istituzioni che oggi si sono rivelate deboli e inefficienti».
Che effetto avrà in futuro la politica di Trump?
«Trump esce dagli accordi internazionali e va per un’altra strada. Bisogna puntare su una forza bilanciatrice contro il protezionismo, il dominio tecnologico e l’uso della forza che fanno gli Stati Uniti. I Paesi europei devono difendere la loro sovranità da un punto di vista economico e militare e ricrearla anche da un punto di vista geopolitico e petrologico altrimenti saremo sottomessi agli Stati Uniti e ad altri Paesi globali, e sarebbe un vassallaggio».
Fra i presidenti della triade, Trump, Putin e Xi Jinping chi è per lei il più pericoloso dal quale l’Europa dovrebbe guardarsi senza distrarsi?
«Ognuno dei capi della triade ha i suoi interessi, e sono tutti pericolosi. Vladimir Putin è in linea con la tradizione autocratica e zarista-sovietica e rappresenta i leader che la Russia, e prima l’Unione sovietica, hanno avuto. Putin vuole imporre la sua influenza ed essere riconosciuto come il capo di una super potenza. Lo stesso discorso vale per la Cina che tende a creare una propria zona d’influenza e a controllare una propria area geografica. E anche Donald Trump quando parla di cambiare nome al Golfo del Messico, di estendere la sua influenza sino alla Groenlandia e al Canada e riprendersi il canale di Panama agisce allo stesso modo. Noto che attualmente è in atto una forte tentazione di ritornare all’impero e ai regimi autoritari e autocratici».