L'ufficiale russo che salvò il mondo

Chiudete gli occhi. È il 27 ottobre del 1962. I venti della guerra fredda soffiano più intensi che mai sulla Terra. Da circa dieci giorni, le due super potenze di allora, Unione sovietica e Stati Uniti d’America, si fronteggiano, tenendo il mondo con il fiato sospeso. Gli aerei spia del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy avevano appena scovato rampe per missili sovietici con testata nucleare sull’isola di Cuba.
L’Unione sovietica aveva appena scoperto altrettante testate nucleari americane in Italia e in Turchia e aveva risposto alla minaccia posizionando i suoi missili nucleari a un tiro di schioppo dalla Florida. Proprio quel giorno un aereo spia americano viene abbattuto da un missile sovietico.
L’aria la si può tagliare con un coltello quando una portaerei statunitense individua un sommergibile sovietico. Si aggira silenzioso nelle profondità delle acque internazionali, vicino all’isola fresca di rivoluzione castrista. Gli americani non lo sanno, ma tra i ventidue siluri che conserva in pancia, ce n’è uno a testata nucleare da usare in caso di pericolo estremo, anche senza l’approvazione del Cremlino.
A bordo l’equipaggio è composto da settantotto marinai militari guidati da tre ufficiali: il comandante Valentin Savitsky; l’ufficiale politico Ivan Semyonovich Maslennikov: e un uomo dal volto serio e composto: è Vasili Arkhipov, 34 anni, secondo in comando. Mentre i sovietici si aggirano tra i fondali marini caraibici, la tensione all’interno del loro sottomarino è alle stelle. Il sistema di ventilazione non funziona e l’aria all’interno del sottomarino è soffocante. Intanto gli americani decidono di lanciare bombe di profondità. Non sono letali: servono a costringere il sommergibile a tornare in superficie. Tuttavia i sovietici, isolati dal resto del mondo e con poco ossigeno, si convincono che la terza guerra mondiale sia ormai partita. Il momento è drammatico e il capitano Savitsky ordina di preparare la testata nucleare nascosta: un siluro che ha la stessa potenza della bomba sganciata su Hiroshima.
C’è però una regola che il comandante non può trascurare: ci vuole il consenso unanime dei tre ufficiali superiori a bordo prima del lancio. Maslennikov è d’accordo con lui, Arkhipov no. Malgrado il caos che regna nel sottomarino, l’ufficiale dal volto serio e composto mantiene il sangue freddo e si batte come un leone per far cambiare idea ai due graduati. Spiega che se gli americani avessero voluto affondarli lo avrebbero già fatto, «sanno che siamo qui, vogliono soltanto parlarci: non date l’ordine». Alla fine il sottomarino riemerge e gli americani gli intimano di andarsene senza effettuare ispezioni a bordo. Soltanto cinquant’anni dopo gli americani sapranno che quel sommergibile conteneva testate nucleari.
Senza l’intervento di Arkhipov, sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale. Eppure lui, terminate le tensioni tra le due super potenze, torna a Mosca e continua il suo tran tran, prestando servizio nella Marina sovietica. Il suo ruolo da eroe rimane sconosciuto al mondo fino a poco prima della sua morte, nel 1998, a 72 anni. Come scrive The Guardian, sua moglie Olga racconterà qualche anno più tardi: «Sono stata e sempre sarò fiera di mio marito. Lui è l’uomo che ha salvato il mondo». In effetti, averne di Vasili Arkhipov.
