L'ultimo armeno

È stato lui a spegnere la luce. Padre Derenik - ospite giovedì 9 novembre a Lugano - è l’ultimo uomo ad aver lasciato il Nagorno Karabakh. Fino a inizio ottobre viveva nel monastero di Dadivank, un edificio religioso particolarmente significativo poiché già nel primo secolo Dadi, un discepolo di San Giuda Taddeo, l’evangelizzatore dell’Armenia, fu ucciso in questo luogo per la sua fede.
Dal 2020 padre Derenik non ha più ricevuto visite, poiché gli azeri avevano circondato il monastero e consentivano l’entrata di soli generi alimentari e solo tramite i soldati russi. La situazione non era facile, ma per padre Derenik l’importante era poter continuare a pregare in quel luogo sacro ai cristiani armeni.
«In quel momento così difficile, attraverso il Signore trovi la tua vera libertà - racconta padre Derenik - realizzi che la libertà dell’anima è molto superiore alla libertà semplicemente umana. A volte abbiamo vissuto per settimane senza pane, perché gli azeri non lasciavano passare il cibo, ma la preghiera era il più grande cibo, quello spirituale. In tutto il periodo trascorso a Dadivank, nulla ha deluso le nostre anime».
Lo scorso 19 settembre, però, l’Azerbaigian ha scatenato una guerra lampo che ha definitivamente posto fine alla presenza armena nel Nagorno Karabakh. In pochi giorni, tutti i 120.000 abitanti dell’enclave hanno dovuto fuggire.
«Cos’hanno visto i miei occhi!»
«Questa guerra è stata un colpo durissimo - afferma padre Derenik -. Ho visto con i miei occhi che uccidevano donne e bambini, distruggevano le case degli armeni, profanavano le chiese armene. Cosa non hanno visto i miei occhi! E mi chiedevo come fosse possibile che accadessero queste cose nel XXI secolo».
Alla fine, a malincuore, anche padre Derenik ha dovuto accettare di farsi accompagnare al confine armeno. «Ci hanno portati fuori dal monastero le forze di pace russe perché era impossibile rimanerci più a lungo - spiega il religioso - ma la mia anima e il mio cuore sono rimasti nel mio Dadivank armeno. Sono sicuro che le porte della chiesa armena si apriranno di nuovo, che la giustizia deve vincere e tutto debba essere restituito. Credo anche che anche oggi, in questo mondo, ci siano persone della luce, per le quali la giustizia e la libertà sono più importanti di tutto, e noi, attorno a questi due valori riavremo ciò che per il momento è perduto, perché non c'è libertà senza giustizia e non c'è giustizia senza libertà. Questo lo dico per tutta l’umanità».
Una terra svuotata
Con la sua partenza, l’intero NagornoKarabakh si è completamente svuotato. In pochi giorni, l’Azerbaigian è riuscito a porre fine a millenni di storia senza che nessuno alzasse un dito, né in Occidente né in Oriente. Un capolavoro di strategia geopolitica e militare, per il dittatore azero Ilham Aliyev. Un’ennesima tragedia, per gli armeni, il popolo più solo al mondo.
«Nessuno ci ha aiutati durante i lunghi mesi dell’assedio azero - dice Teresa Mkhitaryan, armena residente in Svizzera, fondatrice dell’associazione Il Germoglio di Lugano - ed è chiaro a tutti che nessuno ci aiuterà nemmeno adesso che ci ritroviamo con 120.000 persone sfollate. Le organizzazioni internazionali sono assenti, l’ONU è arrivata quando erano rimasti solo 8 armeni e ormai il danno era fatto».
La reazione e gli aiuti
Una situazione difficile, che però gli armeni stanno affrontando con grande umanità. «Sono appena stata a Yerevan - racconta Mkhitaryan - e sono rimasta colpita dallo stato d’animo degli sfollati.Sebbene abbiano perso tutto, non si lasciano andare alla disperazione. Cercano tutti di darsi da fare per aiutarsi l’un l’altro, alcuni hanno già trovato un lavoro e gli altri fanno volontariato. Non stanno con le mani in mano ad aspettare un aiuto, hanno una dignità incredibile».
Mkhitaryan racconta per esempio di un giudice che oggi passa il tempo a trasportare materassi o di una famiglia che ha voluto ringraziarla condividendo un sacco di fagioli, l’unica cosa che sono riusciti a portare via dal Nagorno Karabakh.
Tornata in Svizzera, Teresa Mkhitaryan ha ripreso ad adoperarsi in mille modi per sostenere queste persone in difficoltà. E per sensibilizzare la popolazione svizzera su una tragedia passata quasi sotto silenzio. Un contributo lo darà la serata con padre Derenik - che probabilmente sarà presente a distanza viste le lunghe tempistiche per l’ottenimento di un visto - giovedì 9 novembre alle 19 al Liceo diocesano di Breganzona. I posti sono limitati, è possibile annunciarsi scrivendo a [email protected] o 079 200 71 10.