Cultura

«Nelle mie storie, così come nella vita di tutti i giorni, cerco la semplicità»

A tu per tu con Noëmi Lerch, scrittrice e contadina della Valle di Blenio
Noëmi Lerch è scrittrice e contadina della Valle di Blenio. (KEYSTONE/Roland Schmid)
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
07.07.2024 17:00

Noëmi Lerch scrive in tedesco ma parla anche italiano. Tra l’altro benissimo. «Io mi impegno a essere semplice, anche nella vita di tutti giorni, poi come tutti gli esseri umani non sempre ci riesco», dice, traendo spunto dalle sue storie e dai suoi libri che apparentemente, ma solo apparentemente, non contengono trame forti o percorsi lineari, come spesso si è abituati in letteratura. Ma mirano all’essenziale. Al soffio del vento, allo scorrere di un riale, a un cane, a un pastore e al suo gregge. Ma anche a una relazione familiare tra una madre e le sue figlie. Dove più delle parole sono i silenzi a parlare. Semplicità, dunque. Ma solo in apparenza, appunto. Perché non è detto che semplice sia facile. O che semplice non voglia dire qualcos’altro. Anche perché il più delle volte è così.

Gesti, sguardi. Sono anche questi gli strumenti usati da Lerch, scrittrice contadina che vive ad Aquila e in questi giorni è sull’alpeggio. «A fare la pastora, sì», sottolinea sorridendo. Quasi in imbarazzo. Come quando precisa di essere contadina solo da qualche giorno, giacché solo da qualche giorno è diplomata tale. Ma Lerch è così. Modesta, umile e anche intraprendente. Perché dopo essersi diplomata all’Istituto svizzero di letteratura di Bienne e all’Università di Losanna un giorno ha deciso di fare la scrittrice, frequentando come detto l’Istituto svizzero di letteratura, l’unica scuola in Svizzera che sforna scrittori, appunto. «È stato in quel momento che ho deciso che ne avrei fatta una professione, diciamo così - spiega Lerch - anche se a dire la verità non avevo un piano preciso in mente, non avevo uno sbocco già programmato come tanti altri miei compagni di scuola».

Un percorso pluripremiato

Lerch voleva fare la scrittrice, punto. E ci è riuscita. Anche con soddisfazione. Non soltanto personale, ma anche di critica. Visto che «Willkommen im Tal der Tränen» pubblicato nel 2019 con Die Brotsuppe e appena tradotto e pubblicato in italiano «Benvenuti nella valle delle lacrime» per le Edizioni Sottoscala di Bellinzona, ha ricevuto nel 2020 il Premio svizzero di letteratura. «Tre uomini e un cane: a Noëmi Lerch basta questo per restituirci con frasi e paragrafi concisi immagini vivide e delicatamente commoventi di una vita arcaica fatta di lavoro sulle Alpi», si legge nella motivazione. In cui si aggiunge. «Per effetto di questa estrema economia narrativa la mente inizia sorprendentemente a creare una propria storia con immagini forti, precise e mai kitsch».

Un percorso col botto, il suo. Se si pensa che il suo romanzo d’esordio del 2015 Die Pürin (Verlag die Brotsuppe) tradotto e pubblicato nel 2018 da Gabriele Capelli editore con il titolo «La contadina» ha ricevuto il Premio Terra nova della Fondazione Schiller 2016. E che «Grit» (pubblicato da Die Brotsuppe nel 2017) è arrivato proprio in questi giorni in libreria, tradotto in «Grit e le sue figlie», con le Edizioni Casagrande.

«Ho sempre scritto, fa da bambina»

Pochi libri, se ci si pensa. Ma tutti col botto. E soprattutto tutti pervasi dalle stesse atmosfere. Contadine e rurali, certo. Ma non così distanti da chi quella vita non la vive. Perché, gratta gratta, tutti gli esseri umani sono uguali. Non importa dove si vive. Anzi, forse è proprio questo uno dei meriti della scrittura di Lerch. Quello di immergere il lettore in un mondo altro, diverso, solo in apparenza lontano. Un po’ come capitava spesso a Lerch quando era ragazzina. «Ho sempre letto e scritto - rivela - da bambina scrivevo poesie in rima, certo un po’ infantili. Ma poi anche più avanti mi è sempre piaciuto prendere un libro e sparire nel mondo di quelle pagine, nascondermi tutto il giorno a letto con un libro fra le dita».

Leggere e scrivere. Scrivere e leggere. Un binomio che Lerch ha portato avanti anche crescendo, «quando nei miei viaggi in giro per l’Europa scrivevo sui miei diari tutto quello che vedevo». Poi certo fare la contadina aiuta. «Traggo ispirazione da tutto quello che vedo e faccio, come pastora si ha, è vero, molto tempo per pensare, per guardare gli animali, per lasciarsi ispirare, appunto. Sono tanti i momenti di attesa. Però ad avermi ispirata è stato anche lo scrittore grigionese Leo Tuor, anche lui pastore in montagna».

La sua officina

Essenzialità. Che passa soprattutto da immagini e dialoghi semplici. Quasi scarni. Dove a emergere sono appunto i silenzi, le atmosfere. Ma anche tutto ciò che riguarda l’animo umano, le sue contraddizioni, i suoi volere. Lerch rimane semplice eppure esplora il profondo. Attrezzi che le vengono da quello che ha letto e vissuto. Ma anche dall’Istituto svizzero di letteratura di Bienne. Che le ha «fornito una specie di officina», ammette. Un’officina nella quale si è trovata a meraviglia. Forte di una passione e di un talento che non le fanno difetto. Anche se… «anche se non è facile scrivere una storia da zero - continua - anche perché si deve partire da una pagina bianca, si lavora da soli e bisogna quindi sapersi gestire».

In libreria

In questi giorni Lerch arriva in libreria con due storie, come detto appena tradotte, anche se sono di alcuni anni fa. Uno di questi è «Grit e le sue figlie». Un libro che «in qualche modo ha a che fare con la poetessa Alfonsina Storni», nata a Sala Capriasca nel 1892 e morta suicida in Argentina nel 1938. «Mi piaceva l’idea di raccontare non in modo lineare, ma creando dei flash, dei momenti alternati, come un collage, come Jean-Luc Godard fa con i suoi film, spezzoni interrotti che assieme possono formare comunque una sequenza». Ispirazione ma anche lavoro in officina, dunque. Lerch non improvvisa. O almeno non sempre. Ma si affida alla tecnica. Che piega secondo il suo stile. Unico.

Scrittrice e anche mamma

Altre storie però non ne ha nel cassetto. Non ancora. «Sono mamma di un bambino piccolo e poi lavoro come contadina, appunto. Ora sono questi i miei impegni. Ma con le storie non ho chiuso. Raccolgo pensieri. Arriverà il momento giusto». Oggi sono il figlio e gli animali sull’alpeggio a reclamare la sua presenza. Anche perché c’è un’attività da mandare avanti. L’azienda agricola di famiglia. E non è un impegno da poco. Visto che l’estate è la stagione forse più importante. Perché si cerca di ottenere il massimo in vista dell’inverno. Concretezza. Ma anche creatività possono però coesistere. Parola di Noëmi Lerch, scrittrice contadina della Valle di Blenio.

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