L'intervista

«Noi musulmani vogliamo contribuire a una Svizzera forte»

Besim Fejzulahi vuole fondare il primo partito islamico in terra elvetica, e si è attirato diverse critiche – Cosa risponde?
Andrea Stern
Andrea Stern
23.02.2025 16:30

Forse alla fine il partito popolare islamico annunciato da Besim Fejzulahi non si chiamerà partito popolare islamico. «Stiamo facendo delle riflessioni, potremmo togliere il termine «islam», non vogliamo fare paura alla gente», afferma il 56.enne camionista di origini macedoni che si è tirato addosso una caterva di reazioni negative dopo aver reso nota la sua volontà di fondare il prossimo 1° marzo, primo giorno del Ramadan, una forza politica «che si contrapponga alla propaganda antislamica dell’UDC».

Signor Fejzulahi, poteva aspettarsi che le reazioni sarebbero state in gran parte negative.
«Non sono state reazioni negative ma piuttosto di paura. Qualcuno si è immaginato un’islamizzazione della Svizzera. Ma se pensa che circa 190.000 musulmani svizzeri con diritto di voto possano fare la differenza in un Paese di quasi 10 milioni di abitanti, allora gli consiglio di consultare un buon matematico».

Ma il vostro obiettivo è davvero l’islamizzazione della Svizzera?
«Nient’affatto. Il nostro obiettivo è favorire il dialogo fra tutte le parti di questo Paese. Vogliamo contribuire a una Svizzera forte in cui nessuna parte debba avere paura dell’altra».

Oggi chi ha paura di chi?
«Oggi c’è un partito, l’UDC, che basa tutto il suo discorso sulla paura nei confronti degli stranieri. È proprio per cercare di proporre un discorso differente da quello dell’UDC che ho deciso di fondare una nuova forza politica».

Dunque sarete l’ennesimo partito di sinistra.
«No, io non sono di sinistra. In passato ho fatto politica nel PBD, che era un partito di centro-destra, poi confluito nel Centro. Io sono, per esempio, contrario all’adesione all’UE».

Come l’UDC.
«Io posso anche condividere certe posizioni dell’UDC. Quello che mi dà fastidio è la loro politica, che non produce nulla se non odio. Qualcuno mi dica cosa ha fatto negli ultimi anni l’UDC se non lanciare stupidi slogan contro gli stranieri. Non ha fatto nulla di nulla».

Loro sostengono di difendere certi valori.
«Sì, ecco, loro dicono di essere il partito dei contadini, che difende il mondo rurale. Bene. Quando io sono arrivato in Svizzera, nel 1989, sono andato a vivere in un paese dove c’erano quasi solo contadini. Poi l’UDC ha conquistato il potere. E piano piano i contadini sono diminuiti. Oggi non ce ne sono quasi più».

Ok. Ma perché serve un nuovo partito? Non ci sono già abbastanza alternative all’UDC?
«Il fatto è che i democentristi parlano di stranieri in ogni trasmissione televisiva, su ogni giornale, senza che nessuno dica loro di smetterla. Gli altri partiti dialogano tra di loro, l’UDC passa il tempo a veicolare discorsi semplicistici in cui gli stranieri sono colpevoli di tutto. L’UDC abusa della questione della migrazione solo per ottenere guadagni elettorali».

Il problema è che noi in Europa abbiamo troppe poche persone in grado di identificare gli individui pericolosi e fermarli prima che passino all’azione

È pur vero che in ambito migratorio alcuni problemi ci sono veramente, non li inventa l’UDC.
«Certo. Però io vedo il responsabile delle politiche migratorie dell’UDC Pascal Schmid, anche lui di Weinfelden come me, che parla di «califfato» e «jihad» senza neanche sapere di cosa si tratta. Noi musulmani in Svizzera non c’entriamo nulla con il califfato e la jihad!».

Capisce però che qualcuno abbia paura, vedendo quello che succede all’estero?
«Non vorrei soffermarmi su quanto avviene all’estero perché io sono il fondatore di un partito svizzero e parlo di Svizzera. Ma mi dico: perché non si responsabilizzano coloro che permettono a certi individui di restare in Europa? Ma che razza di esperti sono questi che concedono l’asilo a individui che poi commettono atti terroristici? Il problema è che noi in Europa abbiamo troppe poche persone in grado di identificare gli individui pericolosi e fermarli prima che passino all’azione».

Ah, la colpa è ancora nostra.
«Pensiamo al caso dell’arabo che è entrato con l’auto al mercatino di Magdeburgo. L’Arabia Saudita aveva avvertito che era pericoloso.Perché la Germania no nl’ha mandato via?».

Non è facile gestire tutti questi casi.
«Certo. Ma ci vogliono più controlli. Altrimenti a cosa serve avere lo spazio Schengen, a cosa servono le guardie di confine, a cosa servono i servizi informativi?».

Ok, si possono rafforzare i controlli. Lei capisce però che un po’ di paura resterebbe?
«Sì, ma è sbagliato pensare che se un musulmano commette un atto terroristico, allora tutti i musulmani sono terroristi. Noi vogliamo che si trovi un modo per impedire questi attacchi. Noi viviamo in Svizzera, vogliamo che i nostri figli possano vivere tranquillamente in Svizzera, non che rischino di rimanere vittime di un pazzo con un coltello in mano».

Lei si sente discriminato in Svizzera?
«No, io vado molto d’accordo con la gente, sia qui a Weinfelden sia in tutti i posti dove mi reco per lavoro. Non ho alcun problema. Le discriminazioni le subiamo come comunità quando succede qualcosa nel mondo e subito l’UDC salta fuori con il dito puntato e dà a tutti noi dei terroristi. Bisogna saper distinguere. Bisogna riconoscere i veri problemi».

Quali sono i veri problemi?
«Per esempio le nostre procedure d’asilo, che durano tre, quattro, cinque anni. Un asilante dovrebbe vedersi evadere la propria domanda in tre mesi. Dopodiché gli si dice chiaramente se può restare o deve andare. Se si tengono queste persone troppo a lungo nel limbo, è normale che poi qualcuno impazzisca».

Voi volete abolire il divieto dei minareti. Perché questo divieto sarebbe un problema?
«Ma perché un minareto dovrebbe disturbare? È solo un simbolo della moschea. Io vivo in Svizzera, un paese cristiano, non mi danno mica fastidio le chiese, anzi, ci sono già stato più volte. Il minareto è semplicemente un simbolo. Perché si è voluto vietarlo?».

L’iniziativa contro i minareti l’abbiamo vissuta come un gesto contro di noi musulmani

Qualcuno dice che nemmeno i campanili sono ben accetti in certi paesi islamici.
«Non è vero. Guardate Istanbul, che è una metropoli islamica, ma conta più di 120 chiese e 50 cimiteri per non musulmani. Persino in Arabia Saudita, vicino alla Mecca, ci sono chiese. L’iniziativa contro i minareti l’abbiamo vissuta come un gesto contro di noi musulmani. Come adesso a Weinfelden dove la gente si sta ribellando contro il cimitero islamico».

Cosa sta succedendo a Weinfelden?
«Il Comune ha dato il suo assenso alla creazione di un’area di sepoltura musulmana e in pochi giorni sono state raccolte 1.000 firme contrarie. Ma perché delle tombe musulmane dovrebbero dare fastidio? Noi viviamo qui, i nostri figli crescono qui, quando moriamo vogliamo essere seppelliti qui. Io non ho nemmeno più il passaporto macedone, sono svizzero e basta».

Tenterete di abolire anche il divieto del burqa?
«No, io sono favorevole al divieto del burqa. Che la donna indossi un velo è normale, ma che si copra anche il volto lasciando aperta solo una finestrella per gli occhi è qualcosa che non appartiene all’Islam».

Ci saranno anche ticinesi il 1° marzo alla fondazione del partito?
«Non credo, non abbiamo ancora avuto il tempo di creare contatti con il Ticino e la Romandia. Ma piano piano lo faremo sicuramente».

Ci saranno anche cristiani, ebrei o atei?
«Noi siamo aperti a tutti. Vogliamo essere un partito nel quale si possa sedere tutti insieme, comunicare, conoscersi meglio. È in questo modo che ci si può rendere conto che in fondo siamo tutti uguali».

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