«Non chiamatele malattie rare»

Una giornata dedicata alle malattie rare. Si svolgerà questo venerdì (28 febbraio, ore 18, aula magna ospedale Civico di Lugano) in concomitanza il Rare Disease Day che si tiene in tutto il mondo. Sarà l’occasione per sensibilizzare la società e la politica su una realtà che coinvolge migliaia di famiglie. E anche l’occasione per fare il punto sulla ricerca «e sulle modalità di prescrizione e messa in commercio dei trattamenti, quando disponibili». L’incontro, curato dal Centro malattie rare della Svizzera italiana dall’Associazione malattie genetiche rare, sarà introdotto dal presidente dell’Associazione Claudio Del Don, seguirà un intervento del consigliere di Stato Raffaele De Rosa. Poi le relazioni scientifiche del professor Maurizio Molinari dell’Irb e del professor Alessandro Ceschi. direttore dell’Istituto scienze farmacologiche. A Molinari e Ceschi abbiamo posto alcune domande.
L'intervista a Maurizio Molinari, docente e direttore laboratorio Irb di Bellinzona
«Bisogna fare rete per sviluppare terapie, aspetti diagnostici e aiutare le famiglie»
Una piattaforma per lo scambio di informazioni e conoscenze scientifiche e diversi gruppi di ricerca. Anche in Ticino. Sulle malattie rare, che poi proprio rare non sono (ogni minuto, nascono 10 bambini colpiti da patologie che hanno cause genetiche e ereditarie) pian piano anche la politica si sta muovendo. Ma servirebbe di più, come spiega il professor Maurizio Molinari, direttore di laboratorio all’Irb che ha partecipato alla realizzazione della Piattaforma Malattie.
Da qualche anno Berna sta cercando di individuare politiche specifiche per le malattie rare dal 2016 esiste una piattaforma nazionale e un Piano nazionale. Cosa resta da fare? Quali priorità?
«Il Piano Nazionale Malattie Rare è stato lanciato dalla Confederazione nel 2014, quando ci si è accorti, anche a livello politico, che i Paesi confinanti (Italia, Germania e Francia) erano più organizzati rispetto alla Svizzera per quanto riguarda il supporto alla ricerca scientifica, l’assistenza medica ai malati, la tutela legale e sociale di persone e famiglie toccate dal problema. Nel 2020, un consorzio guidato da Università e Politecnico di Zurigo e dall’Università di Ginevra, comprendente 28 gruppi di ricerca tra i quali il nostro che è attivo dal 2000 all’IRB di Bellinzona, ha proposto la creazione di un Centro di Competenza Nazionale per lo studio sulle malattie rare (NCCR) finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero. Purtroppo, la proposta non è stata accettata. Fortunatamente, dalle ceneri di questa iniziativa, nella Svizzera tedesca è nato Itinerare (https://www.itinerare.uzh.ch/en.html), un programma co-ordinato dall’Università, l’Universitätsspital e il Kinderspital di Zurigo che integra formazione e ricerca in campo biomedico, etico, legale e sociale e ne promuove il trasferimento nella pratica clinica. Nella Svizzera romanda, l’Università di Ginevra si sta muovendo nella stessa direzione, e questa è senz’altro la strada da percorrere, quella cioè di mettere in rete la ricerca, la clinica, le associazioni dei pazienti e le famiglie per creare un circolo virtuoso che garantisca da una parte l’arrivo di finanziamenti (e qui la ricerca fa da volano), e dall’altra l’indispensabile miglioramento degli aspetti diagnostici, lo sviluppo di nuove terapie, e il supporto alle famiglie».
Quante persone soffrono di malattie rare? Il trattamento è una sfida sotto due aspetti: da una parte servono investimenti per la ricerca a causa di limitati dati scientifici, dall’altro c’è scarso interesse commerciale da parte delle industrie farmaceutiche per patologie rare. Come si esce da queste difficoltà?
«Se volessi fare una battuta, direi che si può uscirne smettendo di chiamare queste malattie «malattie rare». L’aggettivo «rare» è fuorviante. Restiamo in Svizzera: l’Istituto Universitario di Medicina Sociale e Preventiva di Losanna stima che il 7.2% della popolazione del nostro paese, quindi circa 650’000 persone, abbia una malattia rara. Di alcune malattie si conoscono pochissimi casi, di altre, come la fibrosi cistica, sappiamo di un migliaio di persone colpite in Svizzera. Riportando il calcolo al nostro Cantone, stiamo parlando di circa 25’000 persone affette da una malattia rara. Se ci allarghiamo alla popolazione mondiale, la cifra veleggia ben oltre il mezzo miliardo di persone. Sono grandi numeri! Il malinteso è dato dal fatto che una malattia viene definita rara quando colpisce meno di un nuovo nato su 2000, essendoci però oltre 8’000 malattie considerate rare, tirate le somme si arriva a quelle cifre. L’altro errore che viene fatto, a mio avviso, è quello di considerare le malattie rare singolarmente. Ognuna di esse ha un numero esiguo di pazienti, ciò che porta al poco interesse a finanziare ricerche tendenti a migliorarne la diagnosi o a trovare terapie che, se non riescono curare la malattia, almeno ne ritardino il decorso migliorando la qualità di vita del paziente. Dal punto di vista del medico, un bimbo affetto da distrofia muscolare ha sintomatologia, problemi e trattamenti diversi da quelli di un bimbo con la fibrosi cistica. La distrofia muscolare colpisce i muscoli, la fibrosi cistica i polmoni. Eppure, a livello cellulare, le due malattie (e moltissime altre malattie rare) sono molto più simili di quello che si è portati a pensare. Sono causate da una proteina che non riesce a piegarsi correttamente all’interno delle nostre cellule e non può quindi funzionare a dovere. Nel caso della distrofia, la proteina difettosa servirebbe a formare i muscoli, nel caso della fibrosi cistica a proteggere il tessuto polmonare. Se il problema viene visto in questa prospettiva, non guardando alle macroscopiche differenze esistenti tra pazienti colpiti da malattie diverse, ma alla similitudine a livello cellulare dei processi che portano alle malattie, il nostro ruolo di ricercatori, meglio, di biologi cellulari, appare più chiaro: dobbiamo capire come funzionano le nostre cellule per aiutarle poi a risolvere i problemi causati dalla produzione di proteine sbagliate. Si chiama «ricerca fondamentale». Nel nostro laboratorio non lavoriamo con pazienti o con modelli animali. Lavoriamo con cellule che vivono e si riproducono in scatolette di plastica».
Che tipo di ricerche state facendo all’IRB su cellule e proteine legate in qualche modo alle malattie rare? Il consorzio formato dall’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB, affiliato all’Università della Svizzera italiana dell’USI), Gain Therapeutics SA, un’azienda biotecnologica svizzera, e Neuro-Sys SAS di Gardanne (Francia), ha annunciato di aver ricevuto un finanziamento dal programma congiunto Eurostars-2 con cofinanziamento da parte della ricerca Horizon 2020 dell’Unione Europea e. Come è andato avanti il lavoro?
«In laboratori come il mio si studiano i meccanismi che le nostre cellule utilizzano per produrre le proteine, e i meccanismi che vengono attivati per distruggere le proteine difettose. È la corretta regolazione di questi meccanismi che permette alle cellule di evitare gli errori che possono compromettere il funzionamento degli organi del nostro corpo. Stiamo studiando malattie molto diverse tra loro (la deficienza di alfa1 antitripsina che dà problemi a polmoni e fegato, le malattie del collagene che danno problemi alle ossa, alcune malattie neurodegenerative, e tutta una serie di malattie lisosomiali che danno problemi a molti organi del nostro corpo). Il nostro scopo è quello di trovare cosa accomuna queste malattie a livello cellulare, per arrivare un giorno a proporre rimedi che possano essere applicati a gruppi di malattie, piuttosto che a malattie singole. Grazie alle conoscenze che stiamo piano piano acquisendo, e alle pubblicazioni che le comunicano alla comunità scientifica internazionale, ci capita di venir chiamati a partecipare a consorzi internazionali, spesso co-finanziati da programmi europei e da agenzie svizzere come Innosuisse - Swiss Innovation Agency, che mirano a sviluppare trattamenti per malattie rare. L’esempio più recente è dato da una serie di studi sulle malattie da accumulo lisosomiale o sulla deficienza di alfa1 antitripsina che stiamo svolgendo in collaborazione con un’azienda svizzera che usa l’intelligenza artificiale per produrre molecole che aiutano le proteine mutate a piegarsi correttamente (la GAIN Therapeutics SA), e gruppi di ricerca in Finlandia, Inghilterra e Francia».
L'intervista a Alessandro Ceschi, primario e direttore Istituto scienze farmacologiche EOC
«Per un trattamento efficace serve una gestione integrata, che coinvolga più specialisti»
Per contrastare le malattie rare c’è bisogno di nuovi farmaci. Di medicamenti che si stanno pian piano sviluppando in parallelo con la ricerca. Ma non è semplice trovare e sviluppare farmaci adatti a ogni tipo di malattia che riguarda un numero di casi molto ridotto rispetto ad altre patologie più diffuse. Per i farmacologi questa è una sfida quotidiana. Ne parla il professor Alessandro Ceschi.
È difficile prescrivere una terapia per le malattie rare e di cosa bisogna tener conto visto che spesso c’è poca letteratura scientifica?
«Le malattie rare costituiscono una sfida notevole per la medicina, e il trattamento farmacologico di tali condizioni è un ambito particolarmente complesso. La gestione terapeutica delle malattie rare presenta numerose criticità, che riguardano sia la ricerca e lo sviluppo di farmaci specifici, sia la loro applicazione clinica.
Per quanto concerne la ricerca e lo sviluppo di farmaci orfani (farmaci destinati alla diagnosi, prevenzione o trattamento di patologie rare, che colpiscono un numero esiguo di persone, ossia meno di 5 su 10.000), la principale problematica risiede nella bassa incidenza della malattia, che comporta una popolazione di pazienti limitata e, di conseguenza, difficoltà nell’arruolamento di un numero sufficiente di soggetti per studi clinici adeguati e statisticamente significativi. Tale difficoltà rende arduo giustificare l’investimento economico necessario per lo sviluppo del farmaco, considerando l’elevato costo della ricerca, della sperimentazione e della produzione, con un ritorno economico previsto ridotto.
In assenza di farmaci approvati per condizioni specifiche, il clinico spesso si trova a dover ricorrere a trattamenti off-label o terapie sperimentali. L’utilizzo di farmaci fuori indicazione comporta un rischio terapeutico maggiore, in quanto la sicurezza e l’efficacia di tali trattamenti non sono adeguatamente documentate, mancando frequentemente studi clinici su larga scala o con follow-up a lungo termine. Questo impone una costante rivalutazione del rapporto rischio/beneficio e un monitoraggio continuo dei pazienti, rendendo la gestione terapeutica complessa.
La gestione terapeutica delle malattie rare è ulteriormente complicata dalla marcata variabilità fenotipica che caratterizza molte di queste condizioni. Tale variabilità può comportare differenze significative nelle manifestazioni cliniche, anche all’interno della stessa malattia genetica, e determinare risposte terapeutiche molto diverse nei pazienti che condividono la stessa diagnosi. Le malattie rare si distinguono inoltre per un esordio clinico spesso insidioso e per segni e sintomi che possono sovrapporsi a quelli di condizioni più comuni, con il risultato di ritardi diagnostici. Talvolta, la diagnosi definitiva è ostacolata dall’assenza di biomarcatori specifici o di test diagnostici standardizzati, complicando ulteriormente la definizione di un trattamento tempestivo e mirato.
Alla luce di questi fattori, è evidente la necessità di un approccio terapeutico altamente personalizzato per i pazienti affetti da malattie rare. Ciò implica una gestione integrata, che coinvolga più specialisti e si avvalga di un approccio multidisciplinare, per garantire un trattamento ottimale e un management del singolo caso quanto più efficace possibile.
A completamento, la creazione di registri di pazienti e la raccolta di dati clinici e genetici sono essenziali per migliorare la conoscenza delle malattie rare e la loro risposta ai trattamenti farmacologici. La disponibilità di dati affidabili può anche facilitare il disegno di studi clinici più efficaci, migliorando la visibilità scientifica delle malattie rare e rendendo più attraente lo sviluppo di farmaci specifici».
Il trattamento delle malattie rare è una sfida sotto due aspetti: da una parte servono investimenti per la ricerca a causa di limitati dati scientifici, dall’altro c’è scarso interesse commerciale da parte delle industrie farmaceutiche per patologie rare. Come si esce da queste difficoltà?
«La designazione orfana è una procedura legale che consente di attribuire a una sostanza medicinale la qualifica di «orfano» quando ha un potenziale terapeutico per il trattamento di una malattia rara, antecedentemente alla sua prima somministrazione nell’essere umano o durante le fasi di sviluppo clinico. Per i farmaci orfani sono previsti una serie di incentivi, tra cui:
- Incentivi per la ricerca e lo sviluppo:
in particolare, le aziende che investono nella ricerca e nello sviluppo di trattamenti per le malattie rare possono beneficiare di agevolazioni fiscali, come ad esempio la riduzione delle tasse di sviluppo. Le autorità sanitarie pubbliche, quali le agenzie regolatorie (FDA, EMA, Swissmedic), possono altresì finanziare la ricerca in ambito di malattie rare attraverso sovvenzioni dirette o programmi di ricerca specifici. I fondi pubblici possono coprire una parte dei costi di sviluppo, riducendo così il rischio finanziario associato a progetti di ricerca in ambiti terapeutici con un ritorno commerciale limitato.
- Approvazioni accelerate:
le agenzie regolatorie possono concedere ai farmaci orfani approvazioni accelerate (Accelerated approval e Fast track), con l’obiettivo di ridurre i tempi di sviluppo e di immissione sul mercato. Ciò incentiva l’interesse commerciale e incrementa la competitività per il trattamento delle patologie rare. Inoltre, la stretta collaborazione con gli enti regolatori permette la progettazione di studi clinici flessibili (ed efficaci in termini di rapidità di esecuzione), come ad esempio Adaptive trial, Seamless trial, Basket trial, e Umbrella trial.
- Esclusività di mercato e protezione brevettuale:
gli incentivi regolatori, come i periodi di esclusività di mercato (ad esempio, sette anni negli Stati Uniti per i farmaci orfani), consentono alle aziende di recuperare gli investimenti effettuati durante lo sviluppo del farmaco, assicurando così la possibilità di una redditività commerciale.
Un aspetto sempre più rilevante, inoltre, è la promozione delle collaborazioni pubblico-private: la creazione di alleanze tra enti pubblici, università e aziende farmaceutiche può facilitare la condivisione dei costi di ricerca e promuovere l’accesso a competenze multidisciplinari. Tali sinergie, attraverso finanziamenti congiunti, possono ridurre il rischio finanziario e stimolare l’innovazione nell’ambito delle malattie rare.
Anche l’aumento della consapevolezza sociale e istituzionale gioca un ruolo fondamentale. Le associazioni di pazienti e le fondazioni per le malattie rare sono cruciali nel sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle necessità terapeutiche di queste patologie. Un’adeguata promozione delle informazioni e dei bisogni peculiari di questi malati possono stimolare l’interesse delle aziende farmaceutiche e incentivare l’adozione di politiche favorevoli allo sviluppo e all’accesso ai farmaci.
In sintesi, per affrontare le sfide farmacologiche legate al trattamento delle malattie rare, è necessario adottare un approccio integrato che preveda incentivi economici e regolatori, modelli di business innovativi, politiche di co-finanziamento e strategie di accesso globale alle terapie. Gli incentivi fiscali, le esclusività di mercato (e la promozione dei biosimilari una volta scaduto il brevetto), insieme ai modelli di pagamento basati sui risultati, sono strumenti che possono stimolare l’impegno delle aziende farmaceutiche nel settore delle malattie rare, migliorando l’accesso alle terapie per i pazienti e garantendo al contempo la sostenibilità economica dei trattamenti».