L'intervista

«Non è giusto dire che il PBD è morto»

Martin Landolt ripercorre la parabola del «suo» partito, prima di lasciare la scena politica
Martin Landolt, 54 anni, è in consiglio nazionale dal 2009.
Andrea Stern
Andrea Stern
19.03.2023 11:20

Nato da una costola dell’UDC, il Partito borghese democratico (2008-2020) ha avuto ben due consiglieri federali, Samuel Schmid ed Eveline Widmer-Schlumpf, ancor prima di affrontare una qualsiasi elezione. Ma in seguito non ha fatto altro che perdere posizioni, fino a venir assorbito dal Centro, nell’indifferenza pressoché generale. Ora anche il suo secondo e ultimo presidente, Martin Landolt, si appresta a lasciare la scena politica.

Signor Landolt, si può dire che il PBD è morto?

«No, è sbagliato, perché in realtà abbiamo trovato una soluzione che ci garantisce un futuro con un nuovo marchio, il Centro. Sono felice che sia andata così».

Non crede che il Centro sia semplicemente il PPD con un nuovo nome?

«No, io credo che nel nuovo partito siano rappresentate anche le nostre idee. Con la fusione, noi del PBD abbiamo contribuito a rafforzare la parte più progressista del Centro».

Quindi lei crede che il Centro di oggi sia più forte del PPD di ieri?

«Sì, il nuovo marchio funziona bene, abbiamo molti giovani e molte donne che si stanno mettendo a disposizione e si stanno impegnando. Sono felice nel vedere la qualità della nuova generazione del partito».

Prevede una crescita a livello elettorale?

«Se non a queste elezioni, i risultati arriveranno sicuramente fra quattro anni. Abbiamo tanti giovani pronti a regalarci soddisfazioni».

Perché lei, da ex presidente del PBD, non ha assunto un ruolo dirigenziale nel nuovo partito?

«Sono stato presidente di partito per otto anni e mezzo, ero felice di poter passare ad altri questa responsabilità. Credo nella necessità di lasciare spazio alle nuove generazioni».

Pfister è un ottimo presidente, che sta lavorando molto bene

Gerhard Pfister è più anziano di lei.

«Pfister è un ottimo presidente, che sta lavorando molto bene. Intendevo che per costruire il futuro è necessario coinvolgere i giovani, ciò che nel Centro sta effettivamente accadendo».

Guardando indietro, l’esperienza del PBD è stata positiva?

«Certo! È stata un’esperienza molto avvincente, è stato bello provare a trovare soluzioni insieme alle colleghe e ai colleghi. Chiaramente non siamo riusciti a raggiungere tutti gli obiettivi che avremmo desiderato. Ma credo che siamo comunque riusciti a mostrare i nostri valori e a lasciare un’impronta».

Come verrà ricordato il PBD nei libri di storia?

«Non ho la pretesa che il PBD ottenga un grande spazio nei libri di storia. È stato un piccolo partito che non è esistito a lungo. Piuttosto per la storia sarà importante ricordare cosa successe quando Eveline Widmer-Schlumpf venne eletta al posto di Christoph Blocher, quindi venne esclusa dall’UDC insieme a un’intera sezione cantonale, noi provammo a resistere ma alla fine non ci restò che trarre le dovute conseguenze e andare per la nostra strada».

Quindi il PBD è nato per uno sgarbo a Blocher?

«Il PBD è una conseguenza di quegli eventi. Credo che abbia rappresentato lo stile, la correttezza e la pacatezza che Eveline Widmer-Schlumpf rappresentava già ai tempi dell’UDC».

Lei ha ancora amici nell’UDC?

«Sì, ho sempre mantenuto buoni rapporti , sia a Glarona sia a Berna. La scissione risale ormai a parecchio tempo fa, è stata digerita. Anche nell’UDC quasi tutti hanno capito perché allora andammo in quella direzione».

Manca coraggio, manca leadership, manca una postura da Consiglio federale

A livello elettorale l’UDC non ci ha perso molto.

«Esatto, questo ha reso più facile per loro l’accettazione della separazione».

In questi 14 anni a Berna, qual è il consigliere federale che più l’ha impressionata, a parte Eveline Widmer-Schlumpf, ovviamente?

«Didier Burkhalter».

Perché?

«Perché insieme alla maggioranza femminile dell’epoca, ha garantito decisioni progressiste e lungimiranti in Consiglio federale».

Era meglio del suo successore Ignazio Cassis?

«Questo l’ha detto lei».

Cosa pensa dell’attuale Consiglio federale?

«Non sono per nulla soddisfatto. Non delle singole persone ma del gremio. Manca coraggio, manca leadership, manca una postura da Consiglio federale».

Manca qualcuno come Pascal Couchepin, Micheline Calmy-Rey, Moritz Leuenberger, Eveline Widmer-Schlumpf o Doris Leuthard. Mancano persone che sappiano porsi come leader

Alain Berset non è un leader?

«Non è questa la questione. È che manca un gioco di squadra, mi sembra una costellazione che non funziona bene come in passato».

Manca qualcuno come Christoph Blocher?

«Manca qualcuno come Pascal Couchepin, Micheline Calmy-Rey, Moritz Leuenberger, Eveline Widmer-Schlumpf o Doris Leuthard. Mancano persone che sappiano porsi come leader, che abbiano il coraggio di prendere anche decisioni impopolari, che sappiano confrontarsi all’interno del gremio ma poi difendere la posizione consensuale verso l’esterno».

Lei ora lascia la politica, visto che oltre a non ricandidarsi a Berna si è dimesso anche dal parlamento glaronese. A 54 anni, non è un po’ presto per andare in pensione?

«(ride) Non vado in pensione! Dopo 25 anni di politica, è un buon momento per cambiare. Ho la fortuna di avere un nuovo compito molto affascinante, con la presidenza di Santesuisse».

Dopo la presidenza del PBD la attende un compito ancora più difficile, visto che ridurre i costi della salute è praticamente impossibile.

«Evidentemente mi piacciono i lavori difficili. Questo è un nuovo mondo, ma potrò sfruttare molto di quello che ho imparato negli ultimi anni. Sarà difficile, ma è un tentativo che qualcuno deve fare».

Ora potrà tornare alla Landsgemeinde da semplice cittadino.

«Sì, mi rallegro di poterci andare senza cravatta, di potermi mescolare tra la folla e magari nella pausa andare a bere una birra con gli amici».

Crede che la Landsgemeinde resisterà all’era del voto per corrispondenza, se non elettronico?

«Credo di sì. Vedo che la nuova generazione partecipa in modo molto attivo e questo lascia sperare che possa resistere ancora a lungo».

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