«Non è vero che odio la Svizzera, e vi spiego perché»

È diventata famosa lo scorso 1. agosto, quando per festeggiare la patria si è mostrata su Instagram con il dito medio puntato alla bandiera svizzera. «Volevo parlare delle disuguaglianze», dice Mathilde Mottet, 28.enne consigliera comunale di Monthey (VS) che pochi mesi dopo, sabato l’altro, è stata eletta co-presidente delle Donne socialiste al posto della neoeletta consigliera nazionale Martine Docourt. Lavorerà a fianco di un’altra nota provocatrice, la consigliera nazionale Tamara Funiciello.
Signora Mottet, dunque vale la pena provocare.
«Provocare è un mezzo per raggiungere un obiettivo. Con la foto davanti alla bandiera svizzera volevo parlare delle disuguaglianze del sistema migratorio, delle disuguaglianze tra classi sociali, del fatto che lo Stato spende soldi per l’esercito piuttosto che per la lotta climatica».
Ah, io avevo capito altro.
«La provocazione è uno strumento che serve per essere ascoltati. In futuro spero di riuscire a farmi ascoltare anche senza provocare».
Non vuole essere ricordata come «quella del dito medio»?
«Io sono molto più di quella provocazione e spero di riuscire a mostrarlo. Nel partito e nell’ambiente militante sono conosciuta come una persona che lavora tanto, vicina alla gente, che sa ascoltare, mobilitare e convincere».
Ma lei odia la Svizzera?
«(ride) No, non odio la Svizzera. Però ho un serio problema con il fatto che questo Paese faccia una gerarchia tra le nazionalità e accordi meno diritti ad alcuni piuttosto che ad altri solo in funzione del loro luogo di nascita».
È così ovunque.
«Certo, è un problema di tutti i Paesi, esattamente come il patriarcato, che crea disuguaglianze tra donne e uomini non solo in Svizzera ma in tutto il mondo. Però io sono nata in Svizzera, quindi parlo della realtà in cui vivo».
Esiste un modello che la Svizzera potrebbe seguire per migliorarsi?
«Ci sono tanti Paesi che fanno certe cose meglio di noi, questo è chiaro. Tuttavia il modello di società che sogno - una società ecologica, solidale, femminista ed egualitaria - è una realtà che non esiste ancora. Ma sono convinta che sia un futuro possibile e per questo voglio rappresentare la speranza in questo futuro».
Tamara Funiciello è una politica esperta. Non teme di rimanere nella sua ombra?
«No, non credo. È vero che lei ha molta più esperienza di me ma questo mi permetterà di imparare per poter poi un giorno essere io stessa a trasmettere la mia esperienza ad altre. È una storia di generazioni, si apprende l’una dall’altra grazie alla solidarietà femminista».
Voi nuovi dirigenti della sinistra siete tutti molto più radicali dei vostri predecessori. Allo stesso tempo anche l’UDC si radicalizza. Non teme che il sistema svizzero di concordanza possa crollare?
«Quando si parla di polarizzazione, si dimentica che oggi abbiamo un centro sbilanciato a destra. La sinistra è minoritaria in parlamento, in Consiglio federale e nella maggioranza dei Cantoni. Non vedo ancora una contrapposizione tra due poli equivalenti. Siamo in un contesto che favorisce i ricchi più che i poveri, gli uomini più che le donne, i bianchi più che i neri... Questo è il contesto contro il quale vogliamo lottare».
Ma non vede il rischio che ognuno vada dalla propria parte e che si perda la capacità di dialogare?
«Non ho paura per il sistema svizzero. D’altra parte credo che proprio perché il nostro sistema è basato sulla discussione, noi donne socialiste e più in generale come sinistra abbiamo la responsabilità di convincere oltre i nostri ranghi, se vogliamo ottenere risultati concreti».
Il Partito socialista sarebbe più efficace se uscisse dal Consiglio federale?
«È vero che a volte mi chiedo se non stiamo perdendo tempo ed energie a partecipare agli esecutivi. Ma d’altra parte sono anche persuasa che queste persone nelle istituzioni possono avere un impatto positivo sulla vita della gente comune come lei e me».
Quindi lei non uscirebbe dal governo?
«Io auspico che si possano trovare delle alleanze e delle maggioranze all’interno dei governi. E per questo abbiamo bisogno di una sinistra più forte, che possa veramente far sentire la voce di tutti, dalla cassiera della Migros all’impiegato di banca. Non possiamo abbandonare le istituzioni alla destra borghese mentre prepariamo la rivoluzione, perché questo avrebbe conseguenze terribili per la popolazione».
Proprio nel giorno della sua elezione, a Bienne è stato fondato il Partito comunista rivoluzionario. Significa che il PS non è abbastanza a sinistra?
«Anch’io credo che il PS debba diventare ancora più femminista, più antirazzista, più anticapitalista. Vorrei una sinistra unita, come vorrei un fronte femminista unito. Per questo mi sono candidata alla co-presidenza delle Donne socialiste, perché penso che questa possa essere una reale forza di cambiamento, un luogo di formazione e di lotta, affinché si possa progredire insieme verso un futuro in cui potremo essere tutti uguali e liberi».
Sabato avete adottato una presa di posizione «in favore di una vita libera e dell’autodeterminazione di tutte e tutti, compresi le lavoratrici e i lavoratori del sesso». Crede veramente che questo lavoro sia frutto di una libera scelta?
«In un sistema capitalistico non c’è nessuno che lavora in modo libero, perché siamo tutti obbligati, a parte i padroni, a vendere la nostra forza lavoro. Quindi no, non penso che abbiano scelto liberamente di farlo, perché in un sistema capitalista nessuno lo è».
Va bene, ma io ho scelto di fare il giornalista, mentre non penso che le prostitute sognavano di finire in un bordello a vendere il proprio corpo.
«È importante distinguere quella che è la tratta degli esseri umani da quello che è il lavoro sessuale. Perché esiste una forma di lavoro sessuale che può essere considerata come autodeterminata nel sistema capitalistico. Quello che facciamo noi è difendere condizioni di lavoro dignitose per le lavoratrici e i lavoratori del sesso».
Non è una forma di patriarcato che degli uomini ricchi acquistino il corpo di donne povere e straniere?
«Non penso che la prostituzione sia qualcosa di patriarcale in sé. Penso invece che questo lavoro abbia un’accezione negativa a causa di due motivi.Da una parte la morale borghese, che considera improduttivo tutto ciò che non serve alla riproduzione dei lavoratori. Per questo il sesso resta tabù nella nostra società.D’altra parte il lavoro del sesso è considerato negativamente, anche in una certa parte del femminismo, perché c’è ancora tanta misoginia. Si mette in dubbio la capacità all’autodeterminazione delle donne di vendere il loro corpo, se desiderano farlo».
Se non ci sono donne ricche che fanno questo lavoro, significa che non è poi così interessante.
«Questo è chiaro, come non è interessante lavorare nei cantieri o negli ospedali o in tutti quei posti pagati male che sono spesso occupati da persone senza passaporto svizzero. Però questi sono i posti più accessibili per le persone che subiscono numerose discriminazioni strutturali e che sono poco valorizzate nel mondo del lavoro».
Ognuno sceglie il proprio lavoro in base alle capacità e alle opportunità.
«Sì, ma non penso che il netturbino faccia un lavoro meno prezioso del banchiere, al contrario, il netturbino dà un grande contributo alla società. Però il banchiere è considerato più importante. Ma il giorno in cui non classificheremo più le persone in base al loro genere, alla loro origine sociale o al loro colore della pelle, allora non avremo più bisogno di stigmatizzare certi impieghi rispetto ad altri».
Quali saranno le priorità della sua co-presidenza?
«La mia priorità numero uno, adesso, è vincere la votazione sulla 13esima AVS, perché la povertà in pensione colpisce soprattutto la donne. Tutti meritano una rendita dignitosa».
E dopo il 3 marzo?
«La lotta alla povertà mi sta molto a cuore. Il Consiglio federale ammette che lo scarto di reddito globale tra donne e uomini è del 43%. Vuol dire che sull’arco di una vita gli uomini guadagnano il 43% in più delle donne. È enorme. Finché ci sarà questa differenza nelle condizioni materiali, bisognerà lottare. Sarà la mia priorità».