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«Non ne posso più di fare l'interinale»

Nei cantieri in Ticino sono ancora molti gli operai «precari» da molti anni: abbiamo raccolto le loro storie, alla vigilia di un voto in Gran Consiglio che potrebbe cambiare molte cose
©Chiara Zocchetti
Andrea Stern
Andrea Stern
05.10.2025 09:30

Antonio ha 56 anni e lavora sui cantieri tramite un’agenzia interinale. «Non ne posso più di questa incertezza - afferma -. Ogni venerdì mi chiedo se la settimana seguente avrò ancora un posto di lavoro, ogni volta che piove mi tocca restare a casa senza stipendio. Tengo duro perché ormai mi mancano meno di quattro anni alla pensione. Ma non augurerei a nessuno di vivere in queste condizioni, costantemente sulla graticola».

Eppure per Antonio l’esperienza in Ticino non era partita male. «Ho iniziato nel 1988, come dipendente fisso per un’impresa edile - racconta -. Le condizioni erano buone, l’ambiente mi piaceva, non avevo nulla di che lamentarmi. Poi hanno iniziato a far entrare le ditte italiane in Svizzera e lì è iniziato il patatrac. La mia impresa non riusciva più a essere concorrenziale, ha dovuto tagliare posti di lavoro e tra questi c’era il mio. Sono trascorsi parecchi anni, ma da allora per me è stato tutto un susseguirsi di brevi incarichi per un’agenzia, poi per un’altra, poi per un’altra ancora... Ho lavorato, ma è stato estenuante andare avanti senza poter fare progetti, senza sapere cosa riserva il domani».

Antonio condivide la sua situazione con altre quindicimila persone in Ticino, quasi tutte residenti oltre confine, in buona parte di sesso maschile, braccia pronte a darsi da fare nei momenti di necessità e poi tornare mogiamente a casa non appena le aziende non ne hanno più bisogno.

«Le agenzie non sono necessariamente il male - premette Claudio Isabella, sindacalista OCST -. Però devono essere utilizzate per il loro scopo originale, che è quello di intervenire in casi eccezionali, per esempio se una ditta deve sostituire con urgenza un dipendente inabile al lavoro. Oggi invece le agenzie interinali vengono utilizzate come mezzo per flessibilizzare il mercato del lavoro. O, detto altrimenti, per creare precariato. Non è normale che migliaia e migliaia di persone debbano lavorare e vivere nell’incertezza».

Le cifre sono implacabili. Tra il 1998 e il 2022 l’impiego di lavoratori interinali è cresciuto del 248% in Svizzera e addirittura del 638% in Ticino. Un’espansione che i sindacati stanno tentando da tempo di arginare, da una parte con la negoziazione di un Contratto collettivo di lavoro (CCL) che garantisca salari dignitosi ai lavoratori interinali, dall’altra parte limitando il ricorso a questo genere di rapporto d’impiego ove possibile.

Già dieci anni fa, nel 2015, i sindacalisti OCSTGiorgio Fonio e Lorenzo Jelmini presentarono un’iniziativa parlamentare per chiedere di impedire l’impiego di lavoratori interinali negli appalti pubblici, «se non per gravi, giustificati e comprovati motivi». La misura fu accolta dal Gran Consiglio ma venne in seguito annullata dal Tribunale federale, cui si erano rivolte l’associazione mantello delle agenzie interinali Swissstaffing e sei agenzie di prestito del personale. L’impalcatura cadde a causa della formulazione di una frase, tuttavia i giudici riconobbero alle autorità cantonali la facoltà di limitare l’impiego di personale interinale nell’ambito delle commesse pubbliche.

Sulla scorta di questa sentenza Claudio Isabella ha ripresentato la medesima richiesta nel 2021, modificandone la formulazione a prova di ricorso. L’iniziativa del sindacalista OCST e deputato del Centro ha seguito il suo iter e ora è pronta per essere votata dal Gran Consiglio, nella sua seduta che inizia domani, lunedì 6 ottobre. In commissione la proposta ha raccolto larghi consensi, sfociati in un unico rapporto, favorevole, redatto dal socialista Fabrizio Sirica. Ma ora serve anche l’approvazione del plenum.

«Riteniamo che loStato debba dare il buon esempio - riprende Isabella -. Una limitazione dell’impiego di personale interinale nell’ambito delle commesse pubbliche permette di contrastare forme di lavoro precarie e troppo spesso non conformi alle regole, condizioni tra l’altro che sono difficilmente accessibili ai domiciliati in Ticino. Allo stesso tempo l’impiego di personale fisso con esperienza offre anche una maggiore garanzia di qualità nell’esecuzione dei lavori».

Un aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che secondario. «Con le agenzie capita che arrivino in cantiere ragazzi che non sanno nemmeno tenere in mano la cazzuola - afferma Luca, un ex lavoratore interinale che dopo anni di impieghi precari nell’edilizia è finalmente riuscito a firmare un contratto a tempo indeterminato -. Il problema della carenza di manodopera qualificata non è una novità, ma con le agenzie interinali l’incognita è sempre dietro l’angolo. Il risultato è che il lavoratore arriva in cantiere, ma alla fine il lavoro lo dobbiamo fare lo stesso noi».

Luca denuncia inoltre comportamenti a volte truffaldini da parte delle agenzie interinali. «Mettiamo che io vada sul cantiere ma poi inizi a diluviare e il capocantiere mandi tutti a casa - spiega -. Di regola io dovrei indicare «ore pioggia» sul bollettino e l’agenzia dovrebbe versarmi almeno una parte della remunerazione prevista. Ma molto spesso non lo fa. E se io mi lamento, loro mi indicano la porta e mi sostituiscono con qualcun altro».

Ci sarebbero poi agenzie, secondo Luca, che fanno firmare nuovi contratti ai lavoratori senza che questi se ne rendano conto. «Nei primi tre mesi il termine di disdetta è di soli due giorni, nei tre mesi successivi di una settimana, in seguito di un mese - spiega -. Ci sono agenzie che per evitare di allungare i termini di disdetta fanno firmare nuovi contratti, di modo che il rapporto di lavoro riparta da zero. Il lavoratore si vede così privato, spesso inconsapevolmente, di quello che sarebbe un suo diritto».

Per Luca questa è fortunatamente musica del passato. Oggi lui ha finalmente un contratto fisso. Ma molti suoi colleghi no. «Io credo che una limitazione dell’impiego di lavoratori interinali sarebbe una buona cosa, almeno nel settore pubblico - conclude -. Permetterebbe di evitare certe situazioni molto discutibili e di premiare le ditte serie, quelle che valorizzano il proprio personale e non lo considerano solo un numero da modificare a seconda delle esigenze».

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