Ticino

Non sapere leggere a quindici anni

Uno studio della SUPSI svela che ad avere più lacune non sono gli stranieri o gli immigrati ma gli svizzeri che parlano italiano
In Ticino i quindicenni che hanno difficoltà di lettura sono il 17% del totale.
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
26.11.2023 14:30

Non sono stranieri o figli di immigrati i 15enni che in Ticino hanno più difficoltà a leggere e a comprendere un testo. Ma svizzeri. Di mandrelingua italiana. È questa la per certi versi soprendente conclusione a cui è arrivato uno studio del Centro competenze innovazione e ricerca sui sistemi educativi (CIRSE) del Dipartimento formazione e apprendimento (DFA) della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) elaborato su incarico dell’associazione Leggere e Scrivere. Studio basato sui dati raccolti dall’indagine internazionale PISA 2018 e presentato due settimane fa a Locarno con l’obiettivo di scavare un po’ più a fondo nelle statistiche. «Non siamo sorpresi - dice Cecilia Bianchi, coordinatrice regionale dell’associazione - perché notiamo le stesse difficoltà negli adulti. Spesso ci dimentichiamo che anche i ticinesi fanno fatica a leggere e scrivere».

Anche chi nasce e cresce in Ticino con l’italiano come lingua madre può insomma avere problemi di lettura. E l’approfondimento ha mostrato che i quindicenni di madrelingua italiana sono soprattutto maschi (72%) con uno statuto socio-economico sfavorevole (34%), frequentano le scuole professionali (62%) oppure hanno ripetuto una classe (35%).

Problematici anche se...

Non basta essere integrati, di più, avere solide radici con una comunità per non avere problemi, dunque. Problemi a comprendere il significato di frasi o di passaggi indipendenti, a identificare il senso principale di un testo di lunghezza moderata, a riuscire a confrontare le affermazioni e a creare connessioni interne ed esterne al testo. Serve di più. Ma cosa?

Forse una scuola e quindi strumenti educativi più performanti? Il capo della Divisione della scuola del Dipartimento educazione, cultura e sport (DECS), Emanuele Berger durante la presentazione dello studio ha sottolineato come il Ticino ha ottenuto ottimi risultati nei confronti degli altri Cantoni e delle altre nazioni. Basta pensare che i ragazzi sotto il livello 2 (il livello minimo di competenze in lettura ritenuto necessario per poter partecipare attivamente nella società) in Ticino sono il 17%, mentre in Svizzera il 24%. Di più. Il cantone nel confronto internazionale elaborato nel 2018 - i dati dell’indagine PISA 2022 usciranno tra pochi giorni, il 5 dicembre 2023 - ha raggiunto i livelli della Finlandia.

Tra obblighi e circoli viziosi

Allora cos’è che fa stentare giovani e adulti? Di sicuro una caratteristica comune evidenziata dallo studio del CIRSE tra gli allievi in difficoltà è la presenza di pochi libri in casa e la scarsa abitudine alla lettura. La metà dei 15.enni dichiara di non leggere mai libri di narrativa, metre il 69% legge solo se obbligato. Ma non solo. È il 50% dei ragazzi a rispondere di avere bisogno di rileggere un testo più volte per comprenderlo, mentre il 37% è convinto di non saper proprio leggere. Numeri e risposte che lasciano intendere un approccio negativo alla lettura che innesca un circolo vizioso per il quale la sensazione di inefficacia incide sulla frequenza e sul piacere.

Altrettanto certa è la risposta fornita all’associazione Leggere e Scrivere dallo studio del CIRSE. «Abbiamo capito che già a 15 anni ci sono quei problemi che notiamo nell’età adulta. Da qui la possibile rimodulazione della nostra consulenza. Che potrebbe iniziare già sensibilizzando i ragazzi nelle scuole», annota Bianchi, prima di specificare come gli adulti scolarizzati in difficoltà con la lettura nella Svizzera italiana potrebbero essere circa 40-50 mila.

Sorprendente? Sì, ma fino a un certo punto se si considera che, secondo l’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento de Dipartimento sanità e socialità (DSS) il 60% delle persone con carenze nella lettura sono svizzere, parlano italiano e hanno terminato la scuola obbligatoria. Da qui le strategie messe in atto in collaborazione anche con il DFA, ha spiegato la responsabile dell’Ufficio, Francesca Gaudenzi Chiesa. Lanciate per invertire la tendenza e sostenere i giovani nei loro percorsi formativi. Perché «i ragazzi vanno prima di tutto avvicinati e poi in un secondo momento reinseriti onde evitare, come già succede oggi in alcuni casi, che il ragazzo si marginalizzi ancora di più», ha aggiunto Gaudenzi Chiesa.

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