L'intervista

«Non tornerei a fare politica, anche se spero che la Svizzera resti sovrana»

Chiusa bruscamente la carriera nel 2017 l’ex stella dell’UDC Oskar Freysinger si dedica oggi alla scrittura, alla meditazione e alla musica
Oggi l’ex consigliere nazionale UDC Oskar Freysinger, 63 anni, anima una trasmissione su TVOberwallis in cui esegue brani in dialetto alto vallesano da lui composti. (KEYSTONE/Walter Bieri)
Andrea Stern
Andrea Stern
25.02.2024 15:30

Chiusa bruscamente la carriera politica nel 2017 con l’estromissione dal governo vallesano, l’ex stella dell’UDC Oskar Freysinger si dedica oggi alla scrittura, alla meditazione, alla musica. Ma è sufficiente chiedergli il parere su un qualsiasi tema di attualità per riesumare il suo proverbiale piglio provocatorio.  

Signor Freysinger, si occupa ancora di politica?
«Sono membro di comitato dell’UDC vallesano. Lavoro dietro le quinte, dove c’è bisogno. Sono il fondatore della sezione e mi interessa vederla andare avanti nel miglior modo possibile». 

Come sta il suo partito? 
«È in ottima salute! Alle ultime elezioni i radicali volevano rubarci il secondo seggio ma noi abbiamo fatto il 24,5% dell’elettorato mentre loro sono scesi al 14,7%, dieci punti in meno». 

Sente ancora Marco Chiesa?
«Certo, abbiamo un’ottima relazione. Ai tempi ero stato io a negoziare l’alleanza con la Lega per le elezioni cantonali e federali. Perché a un certo punto la Lega non voleva correre con l’UDC, ciò che io ritenevo suicidario, allora ero sceso in Ticino a trattare e avevamo siglato un’alleanza che ha dato ottimi frutti». 

Adesso l’UDC sta fagocitando la Lega.
«Era prevedibile che prima o poi sarebbe successo, perché la Lega non è ancorata a livello svizzero. Per un partito regionale è sempre difficile resistere nel tempo. Si sono visti casi simili in altri cantoni, queste realtà finiscono sempre per confluire in un partito di livello nazionale». 

Marco Chiesa ha fatto bene a candidarsi come sindaco di Lugano?
«Non conosco abbastanza bene le dinamiche ticinesi per esprimermi». 

Però lei sa per esperienza che l’esecutivo può essere una gabbia.
«È vero, si è molto meno liberi. In Svizzera abbiamo un sistema collegiale, ciò che in fondo ti obbliga a tradire un po’ il tuo elettorato. Io me ne sono reso conto in Consiglio di Stato. Non ho voluto rinunciare a fare un discorso chiaro e mi sono giocato la rielezione». 

La collegialità non è per forza un male.
«È vero, perché alla fine in Svizzera è il sistema ad essere forte, non le persone. Si possono mettere sette asini in Consiglio federale e il sistema funziona lo stesso. Invece i nostri vicini dipendono molto dalle persone, in particolare la Francia, dove il presidente è una sorta di Luigi XIV in salsa moderna. Se lui è scarso, tutto il Paese soffre. Mentre noi abbiamo un sistema che sopporta bene i mediocri». 

No, per me il migliore dell’ultima legislatura è stato Ueli Maurer, un ottimo ministro delle finanze. Anche Albert Rösti mi sembra valido

Sta dicendo che in Consiglio federale sono tutti mediocri?
«No, per me il migliore dell’ultima legislatura è stato Ueli Maurer, un ottimo ministro delle finanze. Anche Albert Rösti mi sembra valido. È vero che sugli altri si potrebbe discutere ma almeno Rösti non mi sembra così male, indipendentemente dal fatto che sia UDC».

Un solo valido su sette, non è tanto.
«Ma non è così grave, perché in Svizzera tutto si gioca altrove, ci sono forti relazioni con l’economia, con i gruppi di interesse, il governo in sé non ha un grandissimo campo d’azione». 

Dunque la Svizzera va avanti da sola?
«Io dico che finché il nostro Paese manterrà la sua sovranità e la democrazia diretta, andrà sempre meglio dei Paesi intorno. Avrà sempre un 30% di imposte in meno, eccetera. Questi sono dati scientifici. Dove ci sono elementi di democrazia diretta, le imposte sono di circa un terzo più basse rispetto a dove il sistema è centralizzato. Dunque bisogna mantenerla». 

C’è chi vorrebbe rinunciare a parte della nostra sovranità.
«Questa è una cosa che proprio non capisco. Il treno dell’UE sta correndo verso l’abisso ma a Berna ci sono ambienti che vogliono assolutamente saltarci sopra all’ultimo momento. Bisogna essere proprio idioti. Se oggi qualcuno vuole aderire all’UE, significa che gli manca qualche neurone nel cervello. Non è sicuramente il momento». 

Anche noi siamo un Paese sempre più socialista.
«Sì, il problema è che le influenze attraversano le frontiere. La Svizzera romanda è permeata di socialismo, ma almeno la Svizzera tedesca in parte resiste». 

Non è solo questione di Röstigraben.
«Certo, c’è anche il divario tra città e campagna. Nelle città si trovano questi esponenti della gauche caviar, persone con la coppa di champagne in mano che vogliono salvare il mondo facendo soffrire i bambini in Congo affinché estraggano il cobalto della loro auto elettrica. Non ho mai visto nulla di più ipocrita dei socialisti di oggi!». 

I socialisti di ieri erano meglio?
«Io ho grande rispetto per i sindacalisti del secolo scorso che si sono davvero battuti per il proletariato. Oggi il PS è un partito per ricchi, i proletari votano UDC». 

Con la votazione sui minareti la Svizzera è il primo paese in Europa che ha detto alt all’islam politico

Perché parla di «partito per ricchi»?
«Perché si concentrano su questioni come il gender o gli LGBTQ+ e non si occupano di difendere le loro forze tradizionali. Anzi, è vero, c’è un socialista che lo fa, devo riconoscerlo, è Pierre-Yves Maillard. Lui lo prendo sul serio e lo rispetto, perché è onesto, difende quello che dice di difendere. Se non abbiamo firmato l’accordo quadro con l’UE è anche grazie a lui, alla sua opposizione di fondo in nome della difesa della protezione dei lavoratori». 

Lei ha trascorso anni a denunciare l’islamismo, non si direbbe che ha avuto molto successo.
«Beh, con la votazione sui minareti la Svizzera è il primo paese in Europa che ha detto alt all’islam politico. In maniera simbolica, ma i simboli sono sempre più forti di quello che si crede. Abbiamo fatto capire ai musulmani che possono praticare la loro religione ma non prendere in ostaggio lo spazio pubblico. Poi altri Paesi hanno seguito ma i primi siamo stati noi. C’è stata una presa di coscienza della necessità di porre dei limiti all’islam politico». 

Quello che si vede nelle città europee dimostrerebbe il contrario.
«La questione demografica è un altro discorso. Per me la Francia ormai è persa, va verso la guerra civile, è solo una questione di tempo ma è inevitabile, perché si sono fatti colonizzare dalle loro vecchie colonie». 

Addirittura una guerra civile?
«Sì, a meno che non ci sia un cambiamento politico maggiore, con misure che impongano veramente alle persone di integrarsi. Non si chiede loro di assimilarsi ma almeno di integrarsi. Ci sono certi aspetti della legge islamica che sono in contraddizione con il nostro diritto penale, con i diritti delle donne e dei bambini. Non possiamo permetterlo, dobbiamo essere inflessibili, altrimenti siamo persi». 

Non sarebbe la prima colonizzazione della storia.
«Certo, possiamo anche adeguarci, Io mi lascio crescere la barba, metto un turbante, prendo tre mogli e sono a posto. Non sarei tanto io a soffrire. Ma tutti gli LGBTQ+, tutte le donne emancipate, dovrebbero riflettere su chi vogliono difendere». 

Perché?
«Guardate cosa succede in Germania. Hanno fatto entrare milioni di persone che non si integrano, creano dei ghetti, praticano usi e costumi completamente contrari alla legge tedesca. Ma non si dice niente. Anzi, si cerca di far credere che il nemico sia la destra, l’AFD, il partito che difende le tradizioni e la cultura tedesche, il partito che impedisce alla Germania di cadere nel baratro. È incredibile!». 

In effetti è curioso che si manifesti contro l’opposizione.
«Ascoltate i discorsi di Alice Weidel. Secondo me un giorno sarà cancelliera tedesca, perché è brillante, dice le cose come stanno, mostra che il re è nudo. Mentre quando sento persone come Ursula von der Leyen o Christine Lagarde mi cadono le braccia. Oggi fanno carriera le persone venali e incompetenti, mentre le persone oneste che parlano chiaramente vengono massacrate. Per questo non potrei più tornare in politica. Se avessi voluto candidarmi per il Consiglio nazionale sarei stato eletto, ma non ci credo più, non ne vale la pena». 

Cosa fa oggi?
«Oggi sono libero di fare quello che voglio. Compongo e canto brani in dialetto alto vallesano, tengo una rubrica ogni settimana sulla Walliser Bote e mi dedico alla letteratura. Il 5 aprile pubblicherò un nuovo libro con una casa editrice di Parigi. È una fiaba di duecento pagine, si intitola Animalia». 

Ho fiducia nell’intelligenza umana. Potranno cercare di rincretinire la gente quanto vogliono ma non arriveranno mai a spegnere completamente l’intelligenza umana

Di cosa parla questo libro?
«Racconta l’applicazione del Great Reset di Klaus Schwab alla giungla africana. È una distopia, è il tentativo di umanizzare la giungla. Il risultato è straordinario, c’è da ridere, ma da ridere amaro perché purtroppo corrisponde alla realtà. Nel libro descrivo come il totalitarismo soft sta rimpiazzando la presa di potere con la presa di controllo, per manipolare le coscienze e controllare gli individui». 

Non arriva troppo tardi?
«No, io ho fiducia nell’intelligenza umana. Potranno cercare di rincretinire la gente quanto vogliono ma non arriveranno mai a spegnere completamente l’intelligenza umana. Mi ricordo che un Papa, l’unico degli ultimi decenni che meritava veramente il nome di Papa, Benedetto XVI, diceva che se il buon Dio ci ha dato un cervello, è per utilizzarlo. Diceva che l’intelligenza e il senso critico non sono in contraddizione con la fede. Io sono d’accordo con lui. Credo in una forza superiore ma questo non mi impedisce di usare il mio cervello». 

Quindi come vede il futuro del pianeta?
«Io penso che il futuro passerà da un riequilibrio tra l’anima e lo spirito. Oggi siamo in una civilizzazione che nega l’anima, i materialisti dicono che non c’è un’anima, dunque c’è l’assurdo. Io penso che ci sia un’anima nel mondo e che tutti ne facciamo parte». 

In pratica, cosa produrrà questo riequilibrio?
«Si arriverà a degli individui attivi, che agiscono sul mondo, ma che sono responsabili. Vuol dire che non fanno tutto quello che vogliono ma che si impediscono di fare delle cose. Noi non siamo Dio. Quando l’essere umano si mette a giocare a Dio, come Klaus Schwab con il WEF o come l’OMS, questo mi preoccupa». 

Cita l’OMS per la pandemia?
«L’OMS vorrebbe avere il potere di decidere delle questioni sanitarie a livello mondiale. Stiamo andando verso una forma di controllo sempre più forte. Klaus Schwab immagina una sorta di governo tecnocratico del mondo, ma è un governo senz’anima. Da chi nega l’anima umana non posso aspettarmi nulla di buono. Camus diceva che ‘un uomo si impedisce’. Questo fa l’uomo, saper dire no, non lo faccio». 

Lei è tra quelli che dicono no.
«Sappiamo che in una popolazione c’è sempre un terzo che ha il coraggio di dire no. L’abbiamo visto anche con il Covid, sono sempre le stesse proporzioni. Io sono tra quelli che dicono no, sono sempre stato così, già da bambino, sono sempre stato tra i perdenti (ride)». 

Si può sempre cambiare.
«L’altro giorno una socialista mi ha detto che manco di apertura. Io le ho risposto che l’apertura in sé non è un valore. Perché l’apertura crea un vuoto, poi bisogna vedere cosa metterci dentro. Nel 1933 la maggioranza dei tedeschi era aperta a Hitler, dobbiamo dire che l’apertura è positiva? Io a certe cose non mi apro, non posso accettare che mi si dica che si vogliono fornire armi per garantire la pace». 

Chiunque abbia un minimo di conoscenze di storia saprebbe che sono sempre state le armate europee ad attaccare la Russia, che più volte i russi sono sembrati spacciati ma alla fine hanno sempre vinto loro

Si riferisce alla guerra in Ucraina?
«Certo. Chiunque abbia un minimo di conoscenze di storia saprebbe che sono sempre state le armate europee ad attaccare la Russia, che più volte i russi sono sembrati spacciati ma alla fine hanno sempre vinto loro. Con certi paesi è meglio non litigare, perché non si vince».

Ma in questo caso la Russia è stata attaccata o ha attaccato?
«Nel 2015, un anno dopo il Maidan, sono stato a Mosca e ho mangiato con Anatoly Karpov, l’ex campione del mondo di scacchi, membro della Duma. Gli ho chiesto come vedesse il futuro della Russia, tra sanzioni e isolamento. Lui mi ha detto che loro vedevano questa situazione come un’opportunità».

Un’opportunità di fare cosa?
«Di raggiungere l’autonomia alimentare, di smarcarsi dal sistema occidentale, di creare nuove alleanze, di investire in armi militari come i missili antiaerei, i missili supersonici e l’aviazione, per arrivare a rompere la supremazia aerea della NATO. In breve, di prepararsi alla guerra. Perché era chiaro che gli Stati Uniti volevano la guerra e avrebbero tirato talmente tanto la corda da renderla inevitabile».

Perché gli Stati Uniti avrebbero voluto la guerra con la Russia?
«Karpov mi citava due aspetti. Gli americani temevano il riavvicinamento tra Russia e Germania avvenuto grazie a Gerhard Schröder e quindi avevano interesse a creare un nuovo muro di Berlino più a est. Ma il motivo più importante è che avevano come obiettivo la Cina».

Allora perché avrebbero fatto guerra alla Russia?
«Ho fatto a Karpov la stessa domanda. Lui mi ha spiegato che l’obiettivo era far crollare la Russia e dividerla in tanti piccoli stati, in modo da ottenere le materie prime a buon mercato, come hanno fatto ovunque nel mondo. A quel punto sarebbero stati pronti per attaccare la Cina. Ma da buon giocatore di scacchi, Karpov mi ha detto che loro avrebbero giocato d’anticipo e si sarebbero avvicinati alla Cina. È incredibile, ma è andata esattamente così».

Cosa pensa di Putin?
«Mi dà fastidio questo mito dei russi cattivi. È vero che ci sono stati degli zar bianchi, rossi e adesso non so di che colore. Ma questa è la Russia, ha tradizioni diverse dalle nostre. È sbagliato dire che Putin sia il male assoluto, che ha assolutamente voluto questa guerra. Al contrario, ha fatto tutto il possibile per evitarla».

Come finirà questa guerra?
«Gli americani erano sicuri che la Russia non avrebbe resistito nemmeno tre mesi sotto il peso delle sanzioni. Ma, come mi diceva Karpov, i russi si sono creati degli alleati per aggirare le sanzioni e ora siamo noi a essere isolati, non loro».

Ne è sicuro?
«Certo, questa guerra ha accelerato l’avvicinamento tra Russia, Cina, India, Iran, Arabia Saudita, i Paesi del sudest asiatico e quasi tutta l’Africa. Ha pure accelerato la dedollarizzazione. Gli americani hanno fatto la guerra di troppo». 

Quindi alla fine perderanno gli americani e noi europei con loro.
«Sì, noi europei in ogni caso. Gli americani invece sono più autosufficienti, hanno un Paese che è praticamente un continente, escono da soli da tutte le crisi perché hanno i mezzi, al contrario di noi europei. Loro sono contenti di avere un’Europa debole, perché possono usarla un po’ come una colonia. È quello che siamo oggi, perché abbiamo dei dirigenti molli, senza carattere. Io rimpiango persone come De Gaulle che avevano il coraggio di dire di no agli americani». 

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