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«Non tutte le case per anziani rispettano i diritti delle persone più vulnerabili»

Intervista alla presidente della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura, Martina Caroni
Martina Caroni è presidente della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura © Ti-Press / Alessandro Crinari
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
15.10.2023 09:30

«Non tutte le case per anziani svizzere rispettano i diritti delle persone più vulnerabili, in particolare di quelle collocate in reparti chiusi o incapaci di discernimento o ancora costrette a letto». Martina Caroni, presidente della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura, sa di aver pronunciato parole forti che hanno bisogno di essere spiegate. Non solo perché restando alle case per anziani le situazioni al limite il più delle volte sono originate in buona fede, senza che ci sia insomma una vera consapevolezza. Ma anche perché spesso bisogna chiarire cosa si intende per tortura.

Un termine che, come si legge nel rapporto 2022 della vostra Commissione, a volte suscita reazioni contrastanti con cui dovete quasi sempre confrontarvi.

«In tutte le strutture per anziani che abbiamo visitato l’anno scorso durante il primo colloquio con le direzioni è stato in effetti manifestato un certo disagio per il termine tortura. Ma come dice il nome della nostra Commissione noi facciamo prevenzione. Peraltro, in linea con il Protocollo facoltativo dell’ONU alla Convenzione contro la tortura a cui la Svizzera ha aderito nel 2009. Che ha prodotto un quadro legale nel nostro Paese e che ci assegna l’obbligo di prevenire eventuali trattamenti inumani e degradanti laddove c’è una limitazione o una privazione delle libertà personali».

Torniamo allora alle case per anziani. Di quali diritti non rispettati stiamo parlando?

«In tutte le strutture visitate abbiamo formulato la necessità di intervento in merito alla documentazione delle misure limitative della libertà di movimento. A volte non siamo riusciti a capire chi avesse ordinato una misura e perché. Spesso i documenti erano privi di indicazioni dettagliate sulle eventuali misure di prevenzione, in alcuni casi mancava anche l’informazione sul se e quando il rappresentante autorizzato o i familiari fossero stati informati della misura».

Ma a quali misure limitative si riferisce?

«Sponde ai letti, letti bassi, immobilizzazione su sedie a rotelle mediante cinture o tavoli nonché scendiletto dotati di campanello di allarme, sensori e braccialetti con pulsante di allarme. Tutte misure di sicurezza comprensibili e legittime, soprattutto se applicate a persone incapaci di discernimento. Ma va precisato che per legge la valutazione e il processo decisionale di ogni misura restrittiva della libertà di movimento devono essere documentati in modo esaustivo e comprensibile ai sensi del Codice civile».

Dietro alle lacune da voi riscontrate nelle case per anziani siete persuasi possa esserci soltanto buona fede?

«Sicuramente c’è buona fede. Spesso non c’è abbastanza consapevolezza che misure di sicurezza rappresentano misure limitative delle libertà personali. Non partiamo mai con l’idea che le possibili violazioni accadano in malafede. Tanto più se si tratta di una tematica nuova per chi lavora nell’ambito sanitario e sociale come nel caso delle violazioni nelle case per anziani, luoghi che rappresentano un compito impegnativo per la Commissione, poiché si tratta di un settore tematico nuovo anche per noi».

Noi ci occupiamo di possibili violazioni dei diritti umani dove si verifica una privazione delle libertà nel diritto processuale, in quello civile e in quello amministrativo

Quindi quali sono i vostri ambiti di intervento più classici?

«Noi ci occupiamo di possibili violazioni dei diritti umani dove si verifica una privazione delle libertà nel diritto processuale, in quello civile e in quello amministrativo. Nel diritto processuale ci concentriamo nell’applicazione dell’arresto provvisorio, della carcerazione preventiva, dell’esecuzione della pena e nelle misure terapeutiche. Per quanto riguarda il diritto amministrativo siamo sollecitati sui richiedenti l’asilo, sulla carcerazione in previsione di un rinvio coatto e sui rinvii coatti per via aerea. Per il diritto civile siamo attivi sulle case per anziani e sui ricoveri psichiatrici».

Dati tutti questi ambiti come giudica dunque il rispetto dei diritti dell’uomo in Svizzera?

«Posso rispondere dicendo che il quadro complessivo non è negativo, anche se restano delle aree dove è ancora necessario lavorare affinché possa esserci un rispetto più efficace dei diritti dell’uomo».

Le vostre constatazioni non producono interventi o raccomandazioni vincolanti. Come vivete questa situazione?

«Le raccomandazioni che formuliamo ai Cantoni o alle autorità competenti vengono recepite perlopiù in modo positivo. Allo stesso tempo è importante anche per noi capire come vengono recepite le nostre raccomandazioni, anche se spesso siamo al centro di critiche sia da parte delle autorità che dalle ONG. Siamo un po’ in mezzo a due fuochi. Ma con tutti abbiamo un dialogo costruttivo. Anche perché siamo un organismo indipendente che svolge un lavoro scientifico legale argomentativo».

Lei è alla testa della Commissione da circa sei mesi. Quali sfide vede all’orizzonte?

«La sfida più grande è la grandissima mole di lavoro con cui siamo confrontati e a cui dobbiamo fare fronte ormai da un bel po’ di tempo con risorse scarse e limitate. Questo è limitante. Perché ci impedisce nei fatti di compiere più visite e di redigere più rapporti. Sono anni che chiediamo più risorse, finora senza successo».

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