Lo studio

Notizie che fanno male, ma c'è desiderio di un giornalismo più costruttivo

Preoccupazione, rabbia e frustrazione sono le principali emozioni risentite di fronte alle notizie: il flusso digitale piace ai lettori ma li esaurisce
©Chiara Zocchetti
Andrea Stern
Andrea Stern
12.10.2025 11:30

Preoccupazione, rabbia e frustrazione sono le principali emozioni risentite di fronte alle notizie. Più di uno svizzero su due (56,3%) dice di sentirsi «esausto» a causa del flusso digitale di notizie. Il 38,8% sostiene di leggere solo i titoli, in base a quanto emerge da uno studio rappresentativo di Marketagent, di cui il portale Persoenlich.ch ha anticipato i risultati.

«Per noi è particolarmente significativo che la richiesta di notizie continui a essere molto elevata, l’86% degli interpellati è almeno in parte interessato alle tematiche di attualità - commenta Thomas Schwabl, fondatore di Marketagent -. Allo stesso tempo, però, si riscontra una netta discrepanza tra il desiderio di un’analisi approfondita e la realtà del consumo di notizie».

Gli svizzeri vorrebbero un altro giornalismo, riassume il portale dedicato al mondo della comunicazione e della pubblicità. La popolazione è stanca del flusso continuo di notizie negative. I titoli sensazionalistici attirano l’attenzione a breve termine, ma intanto cresce il desiderio di un giornalismo costruttivo e orientato alle soluzioni.

Una conferma

«Questi risultati confermano quanto dimostrato da precedenti analisi - osserva il professore Colin Porlezza, direttore dell’Istituto di media e giornalismo (IMeG) dell’Università della Svizzera italiana (USI) -. Per esempio, negli studi dell’Università di Zurigo vediamo che quasi il 40% degli svizzeri ha tendenza a non guardare più le notizie, il che in molti casi non significa estraniarsi completamente dal mondo dell’informazione ma avere un approccio selettivo. C’è magari chi si informa solo su determinati temi o chi dà un’occhiata ai titoli al mattino ma poi non guarda più le notizie alla sera perché sa che lo farebbero stare male».

Tra guerre, crisi, minacce o anche solo l’aumento dei premi di cassa malati, i motivi per essere pessimisti non mancano. Tuttavia, secondo Porlezza, a provocare emozioni negative nei lettori non sono solo i temi. «Magari c’è chi smette di consumare notizie perché è stufo di sentire parlare di conflitti e vuole in qualche modo proteggere la propria salute mentale - sostiene il professore dell’USI -. Ma la rabbia può essere anche generata dal modo in cui vengono esposte le notizie. Una rappresentazione non in linea con il proprio pensiero può facilmente suscitare irritazione».

Attrazione e repulsione

Particolarmente frustranti sono i titoli sensazionalistici, che attirano il lettore ma lo lasciano insoddisfatto. Se non con la sensazione di essere stato preso per i fondelli.

«Questo misto di attrazione e repulsione emerge chiaramente dal sondaggio - riprende Porlezza -. Le persone ammettono di essere attratte dai titoli sensazionalistici, anche se razionalmente sanno che magari non riguardano temi importanti e che possono anche essere fuorvianti. Le persone sono coscienti che questi titoli non hanno nulla a che fare con il giornalismo di qualità, tuttavia restano emotivamente legate a questo modo di consumare notizie».

È anche una questione di tempo. Uno studio dell’Università di Zurigo evidenziava che i giovani dedicano appena sette minuti al giorno all’informazione. «È veramente poco - sottolinea Porlezza -, quindi si tende a rimanere attaccati ad articoli che parlano più alla pancia, che suscitano emozioni, anche perché spesso gli utenti arrivano a questi articoli attraverso le piattaforme, i cui algoritmi privilegiano i contenuti in grado di scatenare reazioni forti e generare traffico».

Il dilemma economico

Il titolo sensazionalistico attira clic, motivo per il quale a volte anche le testate giornalistiche finiscono per lasciarsi trascinare da questa tendenza. «Fondamentalmente in Svizzera il giornalismo non ha un problema di qualità, il livello è abbastanza buono nel panorama europeo - afferma il professore dell’USI -. Il problema è sta nella raggiungibilità del pubblico. In genere i media navigano in acque non troppo tranquille e che quindi hanno anche bisogno di attrarre un numero elevato di utenti, proprio per sopravvivere economicamente. Questo può spingere a optare per una titolazione più sensazionalistica. Gli utenti se ne accorgono, ma per il poco tempo che hanno a disposizione si accontentano. Sanno che non stanno consumando contenuti di altissima qualità, ma va bene così».

Dallo studio di Marketagent emerge prepotentemente anche un altro aspetto:gli svizzeri vorrebbero un giornalismo che abbia un approccio costruttivo. Quasi il 60% degli interpellati ritiene importante che un argomento venga esaminato analizzato da più punti di vista, in modo da garantire una maggiore obiettività.

Poco meno della metà degli svizzeri chiede che i singoli eventi vengano presentati in un contesto più ampio, per rendere comprensibili anche tematiche più complesse. Il 47,3% auspica che si rinunci a una comunicazione cinica e negativa, volta a suscitare paura e aggressività. E il 37,1% vorrebbe che, oltre a informare sui problemi, le testate giornalistiche mostrino anche possibili soluzioni e opportunità.

Trovare un nuovo approccio

«Ci sono media che propongono approfondimenti e riflessioni e che hanno un seguito costante - riprende Porlezza -. C’è una fetta di popolazione che resta fortemente interessata all’informazione e che ne consuma più della media. D’altra parte, c’è anche un gruppo di deprivati di notizie che continua a ingrossarsi. Ci sono sempre più persone che entrano in contatto con l’informazione solo attraverso le piattaforme e che quindi vedono solo quello che viene deciso dall’algoritmo. Il giornalismo deve pensare a come fare per raggiungere più utenti e a come cambiare per invogliare le persone a tornare a consumare informazione».

Il che vuol dire puntare sulla qualità, che comunque in Svizzera può già essere ritenuta buona, ma anche essere più propositivi.

«Il giornalismo costruttivo non vuol dire offrire solo notizie positive - sostiene Porlezza -. Vuol dire esporre i problemi ma provare anche a trovare qualche possibili soluzione agli stessi, magari coinvolgendo anche gli utenti. Sono cose che il giornalismo può sviluppare in collaborazione con le istituzioni che si occupano ricerca. Allo stesso tempo ritengo che sia importante coltivare la cultura mediatica, offrendo una educazione ai media che parta già dalla scuola dell’obbligo».

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