Politica

«Oggi vedo più persone impreparate ma anche giovani molto bravi»

A tu per tu con Fulvio Pelli che con il rinnovo dei poteri comunali chiude oggi la sua carriera politica
Fulvio Pelli, 73 anni, chiude oggi una carriera politica iniziata nel 1980 con l’elezione in Consiglio comunale a Lugano. © CdT/Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
14.04.2024 10:07

Con il rinnovo dei poteri comunali, si chiude oggi la carriera politica di Fulvio Pelli, iniziata nel 1980 in Consiglio comunale a Lugano, proseguita in Gran Consiglio e alla presidenza del PLRT, poi in Consiglio nazionale e alla presidenza del partito nazionale e infine, dopo una pausa, di nuovo a Lugano. «Ma non smetto di essere un politico - premette -. Chi nasce politico, morirà anche tale».

Signor Pelli, com’è cambiato il Consiglio comunale rispetto a 44 anni fa?
«È cambiato come è cambiata tutta la politica.Ci sono meno leader e ci sono più persone impreparate, che parlano anche tanto, mentre una volta sarebbero rimaste piuttosto zitte».

Si è sdoganata la mediocrità?
«Diciamo che oggi ognuno si sente libero di dare sfogo alle proprie impressioni, anche in mancanza di un proprio progetto politico chiaro».

Lei diceva di essere tornato per trasmettere la sua esperienza ai giovani. Ci è riuscito?
«In questi tre anni non ho lavorato con lo scopo di essere in prima fila ma di contribuire a migliorare la qualità generale degli interventi e soprattutto degli approfondimenti. Perché la politica comunale sembra semplice, ma in realtà si è spesso confrontati con temi anche più complessi che in Gran Consiglio».

Addirittura?
«Penso per esempio alle revisioni dei piani regolatori, che richiedono conoscenze su vari livelli. Poi va detto che Lugano è una città con costi di 450 milioni all’anno, che deve gestire alcune grosse aziende partecipate, che ha problemi di traffico quasi irrisolvibili... Non è facile fare il consigliere comunale. Ma devo dire che ho trovato ottime relazioni con i giovani del nostro gruppo».

Con quali giovani, in particolare
«(ride)... No, non lancio nessuna candidatura.Però non c’è nessuna argomentazione razionale per cui le nuove generazioni sarebbero meno valide delle vecchie. Ci sono giovani bravissimi. Poi se avranno successo o meno, dipende da tanti fattori».

Annunciando il suo ritiro, il capogruppo Rupen Nacaroglu diceva che la politica di milizia andrebbe ripensata.
«La politica di milizia ha il grande vantaggio di costringere i politici ad avere una professione e quindi a non estraniarsi dalla vita quotidiana della gente comune. Per questo la milizia va difesa. Ma è chiaro che è impegnativa».

A volte diventa una bandiera. Pensiamo a Marco Chiesa, che di fatto è un politico di professione.
«Sì, abbiamo visto in vari campi dell’attività sociale una trasformazione di coloro che si occupavano di temi di società in politici professionisti. Molti sindacalisti che noi vediamo molto attivi nelle istituzioni politiche fanno di professione il politico, non più il sindacalista che difende i suoi associati. Lo stesso vale per altri politici professionisti, al servizio, di organizzazioni padronali, di enti para pubblici o di casse malattia: spesso perdono il contatto con i propri elettori».

È per questa difficoltà a conciliare i due ruoli che i partiti, in particolare il PLR, perdono tanti giovani per strada?
«Per strada si perde tanta gente, innanzitutto perché la politica è un campo difficile e combattuto. Bisogna avere le spalle larghe e la pelle da rinoceronte per restare sereni anche quando ci sono controversie e scontri. Chi non ha questa capacità soffre, si scoccia, si arrabbia e se ne va. Una parte di giovani si perde per questa ragione».

Quando si fa politica il denaro è meglio lasciarlo lontano

E l’altra parte?
«Un’altra parte di giovani si perde perché le professioni sono diventate molto più complesse, la gente non trova più il tempo. Poi la società ha giustamente creato sempre più parità di genere, non ci sono più le mogli che si sacrificano e lasciano che il marito vada due sere a settimana a fare politica. Tutto è più difficile rispetto all’inizio della mia carriera. Però c’è ancora chi ha il piacere e la capacità di lavorare per la società».

E se si remunerasse di più i politici?
«Io facendo politica non ho mai preteso di arricchirmi. Probabilmente ho avuto anche una situazione privilegiata, per formazione professionale e altre ragioni. Però quando si fa politica il denaro è meglio lasciarlo lontano».

Quindi la politica va fatta gratuitamente?
«Io sono dell’opinione che una certa retribuzione sia necessaria.Ma la politica a tempo pieno non mi piace perché crea dei personaggi che si allontanano sempre più dalla società e si confrontano sistematicamente con i propri conflitti di interesse».

Tornando al PLR, oggi a Lugano guardate le elezioni da spettatori.
«Il PLR soffre della sorte che soffrono tutti i partiti che sono stati dominanti. La società cambia e questi partiti faticano a reinserirsi nel sistema come partiti convincenti sui loro temi prioritari. Ci sono partiti liberali che ci sono riescono meglio, altri meno».

È un declino inesorabile?
«È inesorabile fino a quando ci si rende conto del compito fondamentale di difendere il sistema liberale, che è sotto minaccia continua. Perché vediamo come si sviluppa il mondo. Le dittature sono sempre di più, le democrazie sempre meno. E anche qui si sviluppa la tendenza all’uomo forte, al leader carismatico che determina le scelte. Questi sono princìpi negativi per la democrazia, che deve essere dialogo, confronto di idee e anche competizione, ma solo per uno scopo positivo».

Dunque, come può rilanciarsi il PLR?
«Bisogna imparare a fare politica in un modo diverso, a qualificarsi per quello che si è, per i valori che si rappresentano e per progetti concreti di società: allora funziona».

La comunicazione frenetica di oggi non aiuta.
«Sono d’accordo, oggi siamo molto più una società di comunicazione che di approfondimento. Questa è una tendenza che non aiuta, perché la politica è anche studio e riflessione».

Quando vede un Javier Milei cosa pensa?
«A volte si confonde il liberalismo con una sorta di nazionalismo libertario. Visto da qui, Milei è un fenomeno strano, come anche Trump. Mi sembrano il segno che le democrazie sono in difficoltà. Si capiscono quasi meglio i cinesi, che almeno hanno una loro logica di comportamento, seppur discutibile».

Lei crede nella rivoluzione liberista di Milei?
«Milei tenta di fare un esperimento ma non si è ancora accorto che probabilmente questo esperimento non può farlo. Perché si possono vincere le elezioni, ma se non si hanno le maggioranze per imporre nuove regole e se non si ha il tempo per far capire che queste regole possono essere positive (perché all’inizio sembrano negative) il progetto non funziona.Non penso che Milei avrà una lunga vita».

Il moderato non piace. La gente si schiera a favore di alternative forti

Se vincono questi personaggi, non è magari anche perché i moderati si sono adagiati?
«Il moderato non piace. La gente si schiera a favore di alternative forti. Anche voi giornalisti, quando scegliete chi intervistare in un dibattito, optate più volentieri per due esagitati su posizioni contrastanti che per due moderati».

La gente vuole politici che dicano qualcosa.
«Sicuramente chi difende posizioni forti regalerà una bella battaglia, creerà spettacolo. Ma il risultato finale sarà probabilmente zero, dal punto di vista della creazione di qualità politica. La spettacolarizzazione è figlia di una parte comunicativa della politica che un tempo non c’era. Lo vediamo anche nell’evoluzione della nostra democrazia diretta».

Cosa intende?
«Una volta i cittadini eleggevano i politici e li lasciavano lavorare. Poi giudicavano. Al massimo c’era il referendum. Oggi invece vediamo iniziative che sono una sublimazione della fantasia. Ognuno pensa di avere l’idea migliore del mondo e magari riesce anche a farla passare, anche se totalmente irrazionale. Non c’è più il filtro del confronto parlamentare in cui si costruisce da un’idea, ma con competenza, in modo che possa funzionare».

Sentendo certi partiti, sembra che in Svizzera stiamo sempre peggio.
«Della comunicazione fa parte anche la mistificazione della realtà. Non credo che stiamo peggio di un tempo, ma è vero che c’è un’incapacità di gestire taluni problemi che sono importanti per la popolazione, come il sistema sanitario e l’assicurazione malattia».

Per questo c’è chi propone soluzioni radicali, come una cassa malati unica.
«In generale oggi si trascura la necessità di trovare soluzioni che possano durare nel tempo. Ci vuole collaborazione per risolvere bene un problema come quello del sistema sanitario e della sua componente assicurativa. Oggi non si riescono a fare ragionamenti insieme perché c’è chi lavora nelle istituzioni solo per favorire le iniziative del proprio partito, di sinistra o di destra.Il risultato è che il sistema è messo sotto pressione e non produce buoni risultati. Spero che la parte razionale della politica riesca comunque a produrre buone scelte, per il bene della Svizzera».

Lugano è in fase ascendente o discendente?
«Lugano si è indebitata e continua a indebitarsi, perché ci sono tanti costi e investimenti che vengono ritenuti prioritari anche se forse non lo sono. Lugano sta ad esempio cercando di diventare una specie di futuro paradiso per lo sport, ma non per le professioni che portano veramente ricchezza».

È una città poco innovativa?
«Ci sono componenti innovative. Per esempio io non sono un nemico delle criptovalute, cui è giusto mostrare apertura. Però è un dato di fatto che la Lugano della finanza è scesa di livello rispetto a 15 o 20 anni fa. È meno attrattiva per le grandi aziende e i grandi patrimoni».

Tra Foletti e Chiesa? Penso vincerà Foletti

Le cause sono anche esterne.
«Ci sono cause esterne e interne. Non c’è più il segreto bancario, non ci sono più i trucchi che ci aiutavano, però da parte nostra non siamo riusciti a elaborare quella qualità di produzione di servizi finanziari che ha elaborato, per esempio, il Lussemburgo».

Lei ha acquistato criptovalute?
«Per ora le criptovalute sono un prodotto speculativo e io non investo in prodotti speculativi. Però non sono un nemico di questi strumenti. Li osservo. Oggi ci sono centinaia di criptovalute, la maggior parte scomparirà, quando ne resteranno una decina forse il sistema sarà più sano e funzionerà, perché valute che non dipendono dagli Stati possono essere utili».

Chi vince tra Foletti e Chiesa?
«Penso Foletti, per la regola abbastanza semplice della politica secondo cui se non ci sono motivi importanti per cambiare sindaco, non lo si cambia. In realtà è solo una finta battaglia».

Lei andrà all’inaugurazione del PSE?
«Certo che ci andrò. La popolazione ha scelto, non c’è più motivo di opporsi. Spero solo che gli aspetti finanziari non saranno così dominanti e pericolosi come appaiono. Ci sono ancora opzioni aperte per ridurre il rischio a termini ragionevoli. Anche perché qui non siamo in Inghilterra, con stadi da 100'000 spettatori: il nuovo stadio di Lugano genererà solo costi e perdite».

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