L'intervista

«Ognuno oggi ha il suo cattivo da punire»

Lo scrittore Carlo Lucarelli racconta il suo rapporto con l'ultimo noir, e con la paternità (sua, e in generale)
© CdT / Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
04.05.2025 06:00

«Se sono abbastanza bravo da cercare di capire le mie figlie tredicenni, di stare al loro fianco, di essere sempre presente senza invadere il loro spazio, forse sarò anche abbastanza bravo da non essere il genitore del mio libro». Carlo Lucarelli, scrittore, sceneggiatore e conduttore televisivo, introduce così la sua ultima pubblicazione, intitolata Almeno tu (Einaudi). Un libro, una storia «soprattutto di un padre - spiega Lucarelli - a cui succede di perdere la figlia adolescente e di pensare che dietro la sua morte ci sia qualcos’altro e allora inizia a vendicarsi di quello che ritiene sia successo. Fondamentalmente una storia di scelte sbagliate».

Scelte sbagliate dettate da fatti tragici che toccano da vicino, come la morte di una figlia, eppure l’uomo contemporaneo dovrebbe avere tutti gli strumenti per non agire ancora d’istinto. La vendetta fondamentalmente è un occhio per occhio.
«Esistono la giustizia e il perdono, però esiste anche purtroppo una parte umana, dico purtroppo perché è quella che combina guai - se succedesse a me probabilmente avrei gli stessi pensieri - che ci porta sempre a fare delle cose sbagliate, che è appunto la vendetta, ma anche la violenza. Sono comportamenti e risposte atavici, che rimangono anche se oggi abbiamo un sacco di consapevolezza in più. Quel nocciolino scuro che nel momento delle forti emozioni ti fa pensare in una maniera che è puramente istintiva, detto altrimenti, rimane sempre».

Può incidere anche il fatto che, a livello generale nella società di oggi si vedono anche potenti della Terra agire senza quasi un raziocinio, in maniera molto istintiva, un giorno dire una cosa, il giorno dopo un’altra? Come se ci fosse uno sdoganamento di questi istinti?
«Non direi soltanto uno sdoganamento, ma proprio un potenziamento, perché l’istinto della vendetta, il dire «adesso qualcuno la deve pagare», è sempre più diffuso. Purtroppo viviamo in un periodo in cui questo succede ai massimi livelli. Hai davanti una persona con una faccia e vuoi che paghi lui, come per vendicarsi di qualcosa che non funziona. Il mondo è è brutto, è cattivo, non ci sono soldi, la burocrazia non funziona, chi governa non fa bene, anzi fa peggio e tutto questo ti fa venire voglia di scatenarti con qualcuno, anche contro il primo che passa o la ragazzina che è finita su internet perché era ubriaca ed è stata filmata dai suoi amici, come successo a Carolina Picchio, morta suicida nel 2013, che è considerata la prima vittima di cyberbullismo. Succede che anche se sei un tizio di 50 anni che sta da tutt'altra parte d’Italia te la prendi con qualcuno su internet, perché devi vendicarti e basta. C’è un detto che esemplifica bene il concetto».

Quale?
«È finita la pacchia. Ognuno ha il suo cattivo che vuole punire, e questo è ciò che rende sbagliata sia la vendetta sia l’odio sparati contro qualcuno. Purtroppo però viviamo in un periodo in cui questo succede ai massimi livelli».

Dunque lei spera che leggendo il suo libro qualche lettore faccia una specie di cammino interno e inverso, capisca cioè che se dovesse agire per vendetta e per odio sarebbe comunque sbagliato e disturbante, come disturbante è la storia che ha scritto?
«Sì, c’è anche questo auspicio. Mi piacerebbe che qualcuno leggendolo vedesse cosa succede se si agisce per vendetta e odio e di riflesso cosa può essere fatto meglio».

Lei ha ambientato nel 2025 una storia di incomprensione tra genitori e figli e le conseguenze che derivano da questa non conoscenza. Ma queste incomprensioni non esistono da sempre?
«In effetti purtroppo è vero, c’è sempre stato un problema tra genitori e figli, specialmente se adolescenti. A me è capitato adesso perché ho due figli adolescenti, appunto, che ritengo di capire. Sono due figlie meravigliose, però capisco che ci sono un sacco di cose che non so di loro. Forse oggi ce ne rendiamo un pochino più conto, perché abbiamo fatto un po’ di passi avanti e quindi ci riflettiamo di più. È però vero che occupandomi anche di vecchi casi di cronaca ci sono già stati ragazzini che prendono la pistola e sparano per problemi con i genitori. Questi fatti succedevano già anche negli anni ‘50».

È quindi un libro che l’ha coinvolta molto in quanto genitore?
«Volevo scrivere una storia con un genitore che potevo essere io. Quindi prendendo delle cose mie, come i miei timori e i miei problemi. Nello stesso tempo volevo scrivere una storia che fosse il più disturbante possibile, il più cattiva possibile. Non so bene il perché, però volevo fare questa cosa. E l’ho scritta scoprendola mentre appunto la stavo scrivendo. Poi, certo col senno di poi vengono in mente anche altri pensieri».

Quali pensieri?
«Che sicuramente sono arrivato a scrivere una storia come questa anche perché oltre a essere un padre di adolescenti vivo anche la contemporaneità. Il mio libro è per esempio uscito in contemporanea con una serie, che è molto vicina come tematica: Adolescence. Io non ho copiato loro e loro non hanno copiato me, eppure siamo usciti tutti e due con delle storie che parlano di adolescenti e violenza».

Le incomprensioni tra genitori e figli esistono dunque da sempre ma si contraddistinguono quindi dalla contemporaneità in cui vivono?
«Rispetto al passato oggi abbiamo fatto passi avanti, abbiamo più consapevolezze e strumenti, ma è anche vero che si è allargata la piazza. Mi spiego. Una volta avevamo i figli che uscivano per la strada, stavano in piazza. Io, tanto per dire, andavo a giocare fuori in cortile, e lì succedevano le cose e quello era il mio mondo. Oggi abbiamo un mondo più allargato, per cui i ragazzini magari non escono più in cortile, ma vanno su una qualche piattaforma internet e sui social. Oggi è quella la loro piazza. È lì che avvengono le cose, quello è il loro mondo. Dunque oggi noi genitori e adulti abbiamo più strumenti per capire e tantissime risorse, ma dall’altra parte i nostri ragazzi possono andare su strade che non conosciamo e non sappiamo. Non li vediamo proprio».

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