«Per noi donne è più difficile, le quote rosa? Un male necessario»

In un mondo in cui per i giovani, le donne, le persone che non nascono con le «spalle coperte» è sempre più difficile arrivare ai vertici, lei ce l’ha fatta. Cristina Scocchia, classe 1973, è una delle poche donne amministratore delegato in Italia, una delle pochissime ad aver ricoperto questa carica per tre volte. Oggi è CEO di Illycaffé e siede nel consiglio di amministrazione di EssilorLuxottica e di Fincantieri. La sua, è una storia che nasce dal basso. Cristina Scocchia sarà la protagonista indiscussa della Digital Night promossa da Ated, l’Associazione ticinese evoluzione digitale. Un incontro da non perdere che si svolgerà il prossimo 13 novembre all’asilo Ciani a Lugano (ore18).
«Io sogno un giuramento di Ippocrate per manager e leader aziendali, esattamente come per i medici». Le parole sono le sue, dottoressa Scocchia: perché sente questa esigenza?
«Credo che la leadership non vada più interpretata come potere ma come responsabilità. Le aziende sono corpi sociali e i manager che le guidano devono anche farsi carico del benessere delle persone e delle comunità, una funzione sociale importante alla quale non devono sottrarsi. Ed è per questo che ci vorrebbe una sorta di Giuramento d’Ippocrate che leghi il loro agire ad un codice etico più alto».
Quando ha capito che l’approccio etico nella leadership avrebbe forse fatto la differenza? In giovane età? C’è stato un episodio che l’ha fatta riflettere?
«Credo che il leader debba sapere integrare il valore economico con i valori etici, sociali e morali, una filosofia che porto con me dall’esperienza in Procter & Gamble. Durante quel periodo ho imparato uno stile di leadership che chiamavano «servant leadership», e che io preferisco chiamare leadership etica e responsabile».
Lei sognava di diventare AD già da piccola? A partire da che età ha individuato la sua strada?
«Da piccola ero una bambina curiosa, con tanta voglia di imparare e di capire come funziona il mondo. Il mio sogno era quello di diventare amministratore delegato, ma sono nata in un Paesino di provincia, da una famiglia normale di insegnanti e per di più donna. Avrei potuto rinunciare e dirmi, «è un sogno irrealizzabile, un’utopia, non ci arriverò mai» e invece mi sono detta - «sarà una maratona, dura e lunga, farò fatica, avrò il fiatone, cadrò ma ci voglio provare».
Il ruolo dei suoi genitori è stato importante?
«È stato fondamentale. Mi hanno trasmesso il valore dello studio, dell’impegno e della cultura. Da ragazza spesso ero arrabbiata per essere nata in provincia, ma proprio grazie a mio padre ho capito che lamentarsi sarebbe servito a poco: bisognava rimboccarsi le maniche, provare a dare il meglio di sé e trovare sempre il coraggio di provarci».
Se tutto va bene, l’umanità riuscirà a popolare la Luna, ma per la donna entrare nei posti di comando è ancora una missione difficile. Lei come ha fatto a farsi strada in un mondo ancora per soli uomini (o quasi)?
«Ho lottato per evitare che il mio punto di partenza e gli stereotipi potessero definire chi ero o chi volevo diventare. E mi sono impegnata per realizzare il mio sogno con coraggio, passione, determinazione e tanta disciplina. Per tutti è difficile raggiungere ruoli apicali ma per le donne lo è ancora di più. Con il tempo e l’esperienza ho imparato a non prendermela e a cercare di fare squadra, indipendentemente dal genere, perché solo in questo modo si vince».
Le quota rosa sono un male necessario?
«Le quote rosa non mi piacciono perché credo che si debba far carriera per merito e non per legge. Purtroppo però al momento sono una medicina amara ma necessaria per dare la possibilità ad alcune donne di entrare nei CDA e dimostrare il proprio talento».
Spesso il desiderio di diventare mamma è un ostacolo per una donna che lavora. Lei ha un approccio diverso rispetto ai tanti imprenditori che preferiscono assumere uomini? Tra l’altro, pure lei è mamma….
«La maternità è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. Non c’è soddisfazione professionale che valga l’abbraccio di mio figlio. L’ equilibrio tra vita personale e professionale non è facile, bilanciare i due aspetti non è qualcosa che semplicemente accade, è il risultato di scelte consapevoli che si fanno giorno dopo giorno. È un po’ come fare il giocoliere. Devi capire che non puoi avere tutte le palline al massimo: ne avrai una in alto, una a mezz’aria e un’altra che scende verso il basso e deve essere presa al volo prima di cascare giù».
Ci fornisca l’identikit di un leader vincente: è uno che comanda o uno che decide?
«Il vero leader non è colui o colei che comanda, dando le spalle al gruppo, ma è chi lo guida, lo sorregge, lo spinge a raggiungere il successo collettivo che è molto più importante di quello individuale. Comandare è facile, decidere è difficile: significa assumersi il peso delle scelte, anche quando sono impopolari, e farlo mettendoci sempre la faccia e senza scaricare le pressioni a valle».
È vero che il motto che le piace di più è quello dei tre moschettieri: tutti per uno, uno per tutti?
«Si, credo che le grandi squadre nascano sempre da un piccolo gruppo affiatato, da tre, quattro moschettieri che credono nel motto «tutti per uno, uno per tutti». Sono quelli che io chiamo gli Alleati, persone di cui ti puoi fidare, quelli che ti diranno sempre ciò che pensano e porteranno avanti le idee condivise anche quando non sono le più popolari. Puoi star certo che non ti molleranno mai, neanche nelle difficoltà».
Durante il covid lei fece prendere una decisione coraggiosa ai proprietari di Kiko, ce la ricorda?
«Avevamo appena concluso una riorganizzazione complessa, chiuso oltre 140 negozi, ridisegnato l’intera macchina operativa. Poi, all’improvviso, il Covid. Nel giro di pochi giorni: mille negozi serrati, oltre settemila persone in cassa integrazione, e la sede in una delle zone più colpite d’Italia. Non sapevo come avremmo attraversato quella crisi. Ma sapevo che non avremmo lasciato indietro nessuno. E così è stato. Nessun licenziamento. Neppure nei Paesi dove non esisteva alcuna forma di ammortizzatore sociale. E, soprattutto, scelsi la chiusura volontaria dell’e-commerce: unica fonte di fatturato, ma localizzata nel bergamasco, dove il rischio per i lavoratori era troppo alto. Se dici che le persone vengono prima, deve valere sia quando è facile dirlo che quando è difficile farlo».
«L’AD che sta cambiando il concetto di leadership». È la frase che promuove il suo libro. È un’etichetta che le hanno messo oppure è consapevole della rivoluzione che ha messo in moto?
«Non ho l’ambizione di rivoluzionare il mondo, ma cerco di fare la mia parte con passione, coerenza, e impegno. Se il mio percorso può essere d’ispirazione per qualcuno, soprattutto per i giovani che sognano in grande partendo da situazioni svantaggiate, allora sono contenta nel mio piccolo di essere un role model. Credo che il punto di partenza non debba determinare chi sei e chi vuoi diventare. Se le testate che ho dato al soffitto di cristallo aiuteranno chi arriverà dopo di me, allora ne sarà valsa la pena».
Come vede la Svizzera l’Ad di Illycaffé?
«La Svizzera è un mercato altamente strategico per dimensione, premiumness e potenziale, e rappresenta una significativa area di crescita per illycaffè. Prima dell’estate abbiamo acquisito il controllo del nostro distributore svizzero con sede a Thalwil, nella Svizzera tedesca. Questa operazione è stata fondamentale per rafforzare la presenza diretta nei mercati chiave europei».
Sono giorni difficili quelli che il mondo imprenditoriale sta vivendo. Illycaffé come sta reagendo ai dazi americani?
«Gli Usa sono il nostro secondo mercato dopo l’Italia e stiamo valutando la possibilità di produrre negli Stati Uniti parte del prodotto rivolto esclusivamente a quel mercato. Questo non significa che Trieste, che è la nostra casa, verrebbe penalizzata in termini di produzione o posti di lavoro. Al contrario, continuiamo a investire sulla città per soddisfare l’aumento della domanda».
Il caffè costa come l’oro, malgrado ciò, Illycaffè ha chiuso il 2024 con risultati da record. Quale scelta strategica è stata determinante per ottenere questo successo?
«Nel 2024 abbiamo registrato una forte crescita organica, per il terzo anno consecutivo, con un incremento a doppia cifra dell’EBITDA e dell’utile netto, nonostante un contesto macroeconomico e geo-politico sfidante unito al costante aumento dei prezzi della materia prima. Questi risultati sono stati possibili grazie ad investimenti in innovazione e comunicazione e al rafforzamento della presenza internazionale avviata nell’ultimo triennio».
