Perché, nonostante le pioggie, avanza la grande sete
La crisi idrica è una questione urgente che richiede una risposta tempestiva e coordinata. Non è un’emergenza temporanea, bensì un problema strutturale previsto da tempo». Non cerca di addolcire la pillola Filippo Menga, professore associato di Geografia all’Università di Bergamo, visiting research fellow all’Università di Reading nel Regno Unito, autore di saggi e articoli su riviste specialistiche e accademiche che hanno a cuore le sorti del pianeta. Nonostante le piogge battenti e violente che hanno caratterizzato, anche in Ticino, maggio, giugno e (in buona parte) anche luglio, in molti Paesi lo spettro della siccità incombe man mano che nei grandi fiumi il livello dell’acqua comincia ad abbassarsi e la crisi idrica rischia d’essere un’emergenza stando alle grida d’allarme degli agricoltori. Le cause? Consumi eccessivi, sprechi, tubazioni colabrodo, inquinamenti, cambiamenti climatici e tempeste che causano morti, frane, alluvioni, disastri e danni milionari, come in Svizzera. A cosa andiamo incontro di questo passo? Alla «Sete» (Ponte alle Grazie, 281 pp., 20 €) profetizza il professor Menga.
Lei scrive che la crisi climatica è una crisi idrica: come si realizza questa combinazione che sembrerebbe un controsenso?
«È proprio così. Il riscaldamento globale porta con sé fenomeni meteorologici estremi come siccità e inondazioni, rendendo più difficile prevedere le precipitazioni e distinguere le stagioni. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacciai modifica i regimi stagionali dei corsi d’acqua mondiali, come avviene nei ghiacciai dell’Himalaya, che alimentano fiumi come il Gange e l’Indo».
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
«Senza cadere nella retorica, è chiaro che la crisi idrica riguarda tutte e tutti. Al momento la questione ambientale a livello politico è paradossalmente ancora marginale rispetto ad altre questioni che sembrano essere più importanti, ma questa è solo un’illusione».
In quest’ottica, come è diventata una delle tante ruote del capitalismo un bene primario come l’acqua che la natura concede gratuitamente?
«Gli esempi sono tantissimi, e nel libro ne parlo a lungo. Faccio giusto un esempio, quello dell’acqua in bottiglia. L’acqua in bottiglia è comoda, portatile e relativamente poco costosa rispetto ad altre bevande analcoliche. Ma se la consideriamo come acqua e non come bevanda analcolica, si rivela invece piuttosto costosa, almeno in termini assoluti».
Cosa accade, esattamente?
«Se, per esempio, un litro di acqua in bottiglia in un supermercato europeo costa in media 0,30 cent. di euro, sempre in Europa l’acqua del rubinetto costa in media 1,5 euro al metro cubo (equivalente a 1000 litri), ed è quindi circa 200 volte più economica dell’acqua in bottiglia».
Ma oggi non ci sembra strano pagare cifre che ai nostri nonni sarebbero sembrate assurde per un bene che dovrebbe essere di tutti.
«Quando nel 2018 l’influencer Chiara Ferragni lanciò una bottiglia d’acqua in edizione limitata al prezzo di 8 euro si levò un unanime coro di proteste da parte di politici (di tutti gli schieramenti) che giudicarono l’iniziativa immorale e non etica. Eppure, la bottiglia di Ferragni è andata esaurita in un baleno, e oggi in pochi protestano contro la mercificazione delle nostre acque. Fa parte delle logiche capitaliste».
In quale misura l’inquinamento impoverisce le risorse idriche? Chi sono i maggiori responsabili di questa situazione?
«I veleni industriali e i pesticidi si riversano nei fiumi e penetrano nel terreno e poi nelle falde acquifere, da cui poi i comuni (ma anche le aziende che vendono acqua in bottiglia) attingono per rifornire i consumatori. Il problema dei PFAS per fare un esempio - gli inquinanti eterni rilasciati da beni di consumo - è particolarmente grave in tutto il Nord Italia. La responsabilità è collettiva: le aziende vendono quello che i consumatori desiderano, ma è il governo che deve vigilare sul rispetto delle norme a tutela dell’ambiente».
Perché molti non si fidano dell’acqua del rubinetto, nonostante - secondo alcune analisi - risulti migliore di quella minerale?
«L’acqua di rubinetto è sottoposta a controlli molto frequenti e chiunque può consultare i dati sulla qualità. Abbiamo un privilegio - acqua pulita nelle nostre case - che in molte parti del mondo è ancora un miraggio, eppure non sembriamo apprezzarlo a pieno. L’acqua in bottiglia non è necessariamente più buona o più pulita di quella di rubinetto, e recenti studi hanno dimostrato che quella venduta in bottiglie in plastica (la stragrande maggioranza) ha quantità più alte di nano plastiche rispetto a quella della stessa marca imbottigliata in vetro».
Come si può intervenire?
«Spero che in futuro diventi obbligatorio per chi vende acqua in bottiglia riportare il contenuto di nano plastiche. Il problema non è l’acqua ma la scarsa fiducia che molte persone hanno nei confronti di chi li amministra. La crisi, in questo caso, non è idrica, bensì sociale e culturale».
Quali sono i Paesi al mondo che al momento soffrono di più per l’insufficienza idrica? Come le società di proprietà di ex paesi colonialisti sfruttano, soprattutto in Africa (colonialismo di ritorno) un bene pubblico come l’acqua sfacciatamente mercificato?
«I casi più gravi sono in Asia e in Africa e le cause sono molteplici e quasi sempre legate alla globalizzazione, eredità coloniale, estrattivismo e ineguaglianze. Nel libro parlo ampiamente di come l’idea di una crisi idrica globale sia fuorviante perché oscura le importanti dinamiche di potere che rendono l’acqua scarsa o inaccessibile anche quando questa sarebbe in realtà abbondante. Il contesto africano, dove la gestione idrica in numerose ex colonie francesi è affidata al colosso francese Suez-Veolia, ci ricorda che il colonialismo nel ventunesimo secolo è un fenomeno che ha sì cambiato volto, ma non per questo è meno impattante o pervasivo».
Le guerre per l’acqua non si sono mai verificate ed è difficile pensare che possano accadere in futuro.
«È vero però che nell’economia globalizzata tutto è collegato, e l’acqua può essere sia un obiettivo militare (pensiamo alla distruzione della diga di Kakhovka in Ucraina) che una delle cause per cui si creano disordini politici e sociale. In un mondo segnato dalla rinascita dell’etnonazionalismo, la proliferazione di regimi populisti a forte tendenza autarchica, sia in Europa che altrove, rende evidente il collegamento tra risorse idriche e più ampie dinamiche geopolitiche».
L’ambientalismo di mercato, il filantrocapitalismo, neoliberalismo e capitalismo culturale, come partecipano al problema delle risorse idriche? Quanto è affidabile il loro operato?
«La risposta breve: queste iniziative tentano di curare i sintomi e non le cause della crisi idrica, rivelandosi così inefficaci, o talvolta addirittura dannose. La risposta lunga, la potete trovare nel libro».