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«Più rispetto, salario e tempo»

Le donne tornano in piazza, anche a Bellinzona, contro le discriminazioni e per i diritti calpestati – L'intervista doppia con Chiara Landi (UNIA) e Sabrina Aldi (Lega)
© CdT/Gabriele Putzu
Giorgia Cimma Sommaruga
11.06.2023 16:45

Mercoledì 14 giugno si terrà - a livello nazionale - lo sciopero delle donne. Sindacati, collettivi e partiti politici stanno mobilitando le frange femminili per scendere in piazza contro le discriminazioni salariali, il riconoscimento del lavoro di cura, e a maggiore tutela contro le molestie e discriminazioni sessiste. Nelle principali città svizzere, così come in molte aziende, sono previste azioni, anche se la maggior parte delle manifestizioni si terrà verso sera. In Ticino, come comunica l’Unione sindacale svizzera (USS) l’appuntamnto è a Bellinzona in Piazza del Sole alle ore 17.30 per proseguire fino in tarda serata. 

Risposte concrete

Le richieste portate avanti durante lo sciopero delle donne si articolano su tre ambiti. Prima di tutto quello retributivo. A gran voce si chiede parità salariale. Inoltre si auspicano salari minimi mensili globali di 4’500-5’000 -. per il personale altamente qualificato. E, non da ultimo, rendite dignitose e corrette «senza un ulteriore innalzamento dell’età di pensionamento», insiste l’USS. Le altre richieste fanno capo alla conciliabiità lavoro famiglia. «Più tempo e denaro per il lavoro di accudimento», chiede il sindacato, richiedendo maggiore flessibilità e orari compatibili con le asigenze famigliari e orari di lavoro ridotti. «Dalle 30 a un massimo di 35 ore settimanali per un tempo pieno, invece di part-time e sottocupazione». Non da ultimo si chiede allo Stato di finanziare la custodia dei figli durante l’orario di lavoro. L’ultimo ambito riguarda invece le discriminazioni sessiste sul posto di lavoro. «La Convenzione 190 dell’OIL sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro deve finalmente essere ratificata e attuata dalla Svizzera», chiede il sindacato.

L'intervista doppia con Chiara Landi (UNIA) e Sabrina Aldi (Lega)

Discriminazione salariale: pensa che lo sciopero del 14 giugno possa dare effettivamente una scossa concreta e appianare le disparità? 

Landi: «La discriminazione salariale è una piaga che ancora oggi colpisce le donne. Considerando il divario retributivo complessivo, che tiene in conto anche il lavoro a tempo parziale e la segregazione occupazionale in settori a basso reddito, le cifre sono impietose: le donne percepiscono un reddito complessivo pari al 43.2% in meno rispetto a quello degli uomini. Lo sciopero femminista del 14 giugno ho lo scopo non solo di tematizzare la questione, ma anche di fare pressione sulla politica e sui datori di lavoro affinché vengano finalmente adottate misure efficaci e conseguenti per debellare questa grave discriminazione».

La strada da fare è ancora lunga e per cambiare serve una presa di coscienza da parte degli uomini
Chiara Landi, Responsabile settore terziario Una Ticino

Aldi: «Credo che la disparità sul posto di lavoro sia un tema purtroppo ancora molto attuale. Tuttavia ho i miei dubbi che lo strumento dello sciopero possa essere efficace. Sicuramente il lato positivo è che si parla del problema. Affinché la situazione possa davvero cambiare però è indispensabile un cambio di mentalità collettivo e credo che questa sia la ragione principale per la quale la situazione evolve così lentamente». 

Lo slogan dello sciopero è: «rispetto, più salario, più tempo». Facendo riferimento a tre sfere: quella pubblica, quella lavorativa e quella famigliare. Secondo lei in quale di questi tre ambiti c’è maggiore lavoro da fare al fine di appianare le disparità?

Landi: «Purtroppo tutte le discriminazioni che subiscono le donne nella sfera pubblica e nella sfera privata sono strettamente collegate.  Per questa ragione il manifesto dello sciopero femminista adottato nel 2023 rappresenta un catalogo rivendicativo articolato nel quale ogni punto è centrale e ogni conquista necessaria».

Aldi: «Sono tre sfere che sono strettamente collegate. Una donna che sceglie di essere madre e lavoratrice si trova confrontata ancora con tantissimi problemi e spesso e volentieri tutto il peso di questa scelta è sulle sue spalle. Ci vuole un cambio di mentalità in generale a tutti i livelli. Prendiamo ad esempio l’ambito lavorativo, la flessibilità dei datori di lavoro non può essere solo rivolta alle dipendenti donne ma lo deve essere anche per gli uomini. Invece spesso e volentieri si dà per scontato che il dipendente uomo non debba affrontare le difficoltà legate alla conciliabilità lavoro famiglia. Così facendo però è automatico che vi siano delle discriminazioni perché a parità di lavoro e formazione si tende a privilegiare l’assunzione di uomini».

Da mamma, ha avuto difficoltà nell’ organizzazione della sua vita professionale e famigliare a causa delle disparità?

Landi: «Ancora oggi la società non favorisce in alcun modo la conciliazione tra vita privata e vita professionale e le madri lavoratrici sono costrette a fare i salti mortali per tenere assieme il tutto. Nella mia famiglia abbiamo superato il pregiudizio per il quale la conciliazione lavoro-famiglia sia esclusivamente una “questione femminile”, quindi con mio marito collaboriamo in modo paritario per occuparci del lavoro domestico e di cura».

Aldi: «Da mamma, lavoratrice e politica sono costantemente confrontata con difficoltà di organizzazione. Posso dire che è una sfida quotidiana anche perché mio marito ha molta meno flessibilità a livello lavorativo. Fortunatamente ho molto supporto dai famigliari, in particolare da mia madre e i miei suoceri e questo mi permette di far fronte a imprevisti dell’ultimo minuto».

La flessibilità dei datori di lavoro deve essere rivolta anche agli uomini affinché i compiti siano suddivisi
Sabrina Aldi, avvocato e vicecapogruppo Lega

Cosa pensa della seguente richiesta: «Orari di lavoro ridotti: dalle 30 a un massimo di 35 ore settimanali per un tempo pieno, invece di part-time e sottocupazione»? Sarebbe una buona soluzione?

Landi: «La Svizzera è uno dei paesi con la maggior durata della settimana lavorativa. Ancora oggi è possibile per la legge lavorare fino a 50 ore settimanali. Questo, oltre ad essere antistorico, incancrenisce le storture del sistema: gli uomini (che guadagnano di più) lavorano settimane infinite, mentre le donne (che guadagnano meno) sono costrette a rinunciare al lavoro o a richiedere tempi parziali per potersi dedicare alla cura dei figli e della famiglia e della casa, lavorando gratuitamente per l’intera società. Una riduzione del tempo di lavoro consentirebbe un’equa ripartizione del lavoro non retribuito e la possibilità di godere del tempo di riposo necessario per una vita degna».

Aldi: «Potrebbe essere una buona soluzione ma non credo che i tempi siano sufficientemente maturi. Si tratta di un cambiamento culturale che necessita tempo». 

Ha mai ricevuto molestie sul post di lavoro? E sessismo?

Landi: «Personalmente non ho mai subito molestie sessuali in nessun posto di lavoro, ma io rappresento solo una piccola minoranza di donne, visto che più della metà delle donne incorrono nella loro vita professionale almeno ad un episodio di molestie sessuali. Per quanto riguarda il sessismo, invece, la mia esperienza professionale n’è piena. La strada che dobbiamo fare è ancora lunga e se vogliamo cambiare le cose abbiamo bisogno di una presa di coscienza maschile». 

Aldi: « No, fortunatamente non ho mai avuto questo genere di problemi sul posto di lavoro». 

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