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Pronto, Marco Chiesa? «Sì, cioè no»

Hanno lo stesso nome dei «famosi» ma non sono loro: la stravagante vita degli omonimi
© Ti-Press/Carlo Reguzzi
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
03.12.2023 06:00

«Mi sa che ha sbagliato numero». Rispondono tutti così - e c’è da capirli - quando dall’altra parte della cornetta del telefono si presenta un giornalista. Rispondono tutti così, ancora prima che il giornalista apra di nuovo bocca, perché ormai sanno, e da parecchio tempo, di non essere la persona che i media stanno cercando. Anche se si chiamano esattamente come il politico di turno, il sindaco, il personaggio televisivo. Rispondono tutti così, ma stavolta è diverso. Stavolta il giornalista sta cercando proprio loro: gli omonimi. Per sapere cosa significa vivere sapendo di portare lo stesso nome e cognome, ad esempio, del presidente dell’UDC nazionale e neoconsigliere agli Stati, Marco Chiesa. Oggi insomma tocca a loro. Finalmente.

«Domenica 19 novembre ho ricevuto almeno 4 telefonate di persone che si sono congratulate con me per l’ottima votazione al ballottaggio - dice Marco Chiesa, che al contrario dell’originale (ma chi è davvero quello vero?) abita a Roveredo e fino a poco tempo fa aveva un’azienda di elettrodomestici -. Non parliamo poi di quando Chiesa è diventato presidente dell’UDC. Quel giorno i messaggi che mi sono arrivati su WhatsApp sono stati veramente tanti, soprattutto dalla Svizzera tedesca. Messaggi di ringraziamento, complimenti e anche molte foto». Marco Chiesa di Roveredo ci scherza su. Perché ormai ci ha fatto il callo. Ma «ci sono stati anni in cui i giornalisti RSI di Falò e Modem continuavano a invitarmi alle puntate, anche il Blick continuava a telefonarmi». E forse non era proprio il massimo.

Oggi però è diverso. Oggi l’omonimo del presidente UDC la prende sul ridere. Soprattutto quando gli capita di ricevere le telefonate della madre «che crede di avermi visto in televisione». Sì, perché il Chiesa di Roveredo non porta solo lo stesso nome e cognome del politico. Ma ci somiglia pure. Così «soprattutto all’inizio molte persone credevano di vedermi in televisione». Ovviamente si sbagliavano ma «quasi quasi sa cosa le dico? Quasi quasi mi candido pure io così creo un po’ di scompiglio», scherza l’omonimo, assaporando un comprensibile gusto di rivalsa.

Arriva il Frontaliers

Anche l’avvocato di Chiasso Loris Bernasconi, che si chiama come il doganiere del duo comico dei Frontaliers, è come se avesse già intuito qualcosa, quando risponde al telefono. «Sì, lo so - non gli resta che ammettere - mi chiamo esattamente come lui, tanto che quando arrivo in Pretura capita che qualche burlone mi accoglie dicendo «ecco che arriva il Frontaliers». Passare inosservati è quindi quasi impossibile. Ma per Loris Bernasconi avvocato di Chiasso non è un problema. Anzi. «Sono contento, anche perché il mio nome è legato anche a qualcosa di bello come le donazioni in beneficienza del ricavato dei biglietti dei film». Certo, scoprire all’improvviso di chiamarsi come una macchietta all’inizio è stato… sorprendente, appunto. «D’accordo Bernasconi, ma più volte mi sono chiesto come mai hanno scelto Loris come nome, che non è molto comune, anche se ho scoperto di non essere l’unico Loris Bernasconi in Ticino…».

Il sindaco, anzi no

Il telefono squilla. E questa volta a rispondere è Michele Foletti. Non il sindaco di Lugano, ovviamente. Ma un suo omonimo che abita a Salorino. La sua prima reazione è un sospiro. La seconda un ricordo. «Una volta mi ha chiamato una signora imbufalita che non smetteva di parlare convinta di essere al telefono con il sindaco di Lugano. È andata avanti diversi secondi prima che riuscissi a interromperla e a chiarire l’equivoco. Sembrava davvero fuori di sé». Chissà se la stessa signora ha poi trovato il Michele Foletti che stava cercando. Questo l’omonimo non lo sa. E neppure il giornalista. Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato. A patto di fare il numeno giusto. Anche se probabilmente potrebbe non essere un buon ricordo neppure per lui.

L’altro Pedrazzini

Non molto diversa è la situazione che vive Luigi Pedrazzini. Non l’ex consigliere di Stato, chiaramente. Ma il suo omonimo di Massagno. «In realtà fino a qualche anno fa eravamo almeno 4-5 Luigi Pedrazzini in Ticino- rivela l’interessato, incupendosi un po’ - e ci conoscevamo anche tutti, perché sempre fino a qualche tempo fa i Pedrazzini si ritrovavano ogni 3 anni per un raduno familiare allargato». Raduno a cui partecipavano tutti i Pedrazzini, non solo del Ticino, ma da tutto il mondo. «Messico, Inghilterra e Stati Uniti», precisa Luigi. Che non fa mistero di conoscere dunque l’ex presidente della CORSI e di avere legami di parentela, «anche se alla lontana». Ciò nonostante, non sono mancati gli aneddoti divertenti. Anche perché «per 44 anni ho lavorato come elettronico alla Radiotelevisione della Svizzera italiana - riprende Luigi - ed è capitato che ricevessi delle email non indirizzate a me, ma al presidente della CORSI». Con l’ex direttore del Dipartimento delle Istituzioni (DI), Luigi da Massagno non condivide solo il nome ma anche la passione per la politica. «Sono in Consiglio comunale», sottolinea senza specificare, se non a domanda, per quale partito. Ma del resto non c’era forse bisogno di chiederlo. «Ovviamente per il Centro»

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