Quelle serrande che si alzano, in tempo di crisi

L’ultima indagine congiunturale del KOF sul commercio al dettaglio in Ticino era deprimente. Parlava di «risultati inferiori alle attese», di «contrazione dei margini di guadagno» , di «segnali poco incoraggianti a livello di impiego», di assenza di quei «chiari cenni di ripresa» che si sono invece visti nel resto della Svizzera. Uno scenario desolante.
Può sorprendere quindi che in questo settore apparentemente annaspante continuino a infilarsi nuovi attori. L’altra settimana è stato annunciato l’arrivo al Centro Breggia di Balerna della catena olandese Action. L’altro ieri è stato inaugurato ad Agno il secondo punto vendita ticinese del gruppo tedesco Obi. Sabato 10 maggio apre a Sant’Antonino una quinta filiale di Da Moreno (quello «dove tutto costa meno»). E negli ultimi anni hanno fatto la loro apparizione sul mercato ticinese nuovi nomi come il francese Decathlon, l’italiano Poltronesofà, il danese Flying Tiger Copenhagen o ancora l’italiano Tigotà. A dimostrazione che in Europa c’è ancora chi ritiene interessante il pur annaspante mercato ticinese.
Esigenze da soddisfare
«È un dato di fatto che la spesa dei consumatori si stia comprimendo e che il turismo degli acquisti all’estero stia erodendo importanti fette di mercato - afferma Enzo Lucibello, presidente della Disti, associazione della grande distribuzione -. Tuttavia ci sono delle esigenze dei consumatori che vanno soddisfatte. L’apertura di Obi ad Agno, per fare un esempio, va a coprire la richiesta di prodotti per il fai da te in un’area geografica dove l’offerta era limitata. Tutte queste nuove aperture sono da valutare positivamente, perché dinamizzano il mercato, ampliano la scelta e magari favoriscono anche la permanenza sul territorio di chi altrimenti sarebbe andato oltre confine».
L’obiettivo della Disti è infatti quello di favorire gli acquisti in Ticino, a vantaggio dei commerci locali, dei posti di lavoro locali e più in generale dell’economia locale. In questo senso ben vengano tutte le nuove iniziative, anche quelle di grandi gruppi europei che magari prima del loro approdo in Ticino vengono guardati con diffidenza, col timore che vengano a mettere a soqquadro il mercato. Come era avvenuto con i giganti tedeschi Aldi e Lidl, guardati con sospetto al loro arrivo nel nostro cantone, rispettivamente nel 2008 e nel 2011.
«La Svizzera ha un costo, gli affitti e i salari sono alti per tutti - osserva Lucibello -. Alla fine anche questi grandi gruppi devono adeguarsi alle condizioni locali, a livello di costi ma anche di gusti e preferenze dei consumatori. Non sempre funziona.Ci sono anche grandi gruppi che arrivano in Svizzera e dopo pochi anni se ne vanno, come è successo con Carrefour, uno dei principali player a livello mondiale che però nel nostro Paese non è riuscito a prendere piede».
Marchi che arrivano, marchi che falliscono
Il mercato svizzero è complesso, già solo per la sua suddivisione in regioni linguistiche. Ma è anche un mercato attraente, visto l’elevato potere d’acquisto dei consumatori. Sono così numerosi i gruppi esteri che tentano l’ingresso in Svizzera. Alla fine dell’anno scorso ha aperto a Emmenbrücke (LU) il primo del centinaio di punti vendita previsti in Svizzera da Rossmann, una catena tedesca di drogherie che vanta già oltre 4’000 negozi in mezza Europa. Il principale concorrente di Rossmann è Müller, anch’esso tedesco, anch’esso impegnato in un’importante espansione in Svizzera, in parte a scapito dello storico marchio Franz Carl Weber, i cui negozi di giocattoli sono stati rilevati e trasformati in drogherie.
Franz Carl Weber non è l’unico marchio svizzero ad aver fatto le spese dell’avanzata dei gruppi esteri. Tra le tante insegne scomparse in questi ultimi anni si ricorda quella del marchio di moda zurighese Charles Vögele, che ai tempi d’oro era arrivato a contare quasi 800 punti vendita e oltre 7’000 dipendenti in Svizzera e all’estero. A fine febbraio hanno invece chiuso definitivamente i battenti dopo 125 anni di attività anche gli ultimi grandi magazzini Jelmoli, sulla Bahnhofstrasse di Zurigo. L’anno 2018 segnò la fine della catena Athleticum, assorbita dalla francese Decathlon. Mentre risale a ormai oltre vent’anni fa la scomparsa dei grandi magazzini EPA e dei negozi di elettronica Radio TV Steiner, entrambi confluiti nel gruppo Coop.
«Spesso si dice che il commercio è in difficoltà - afferma Moreno Baruffini, responsabile dell’Osservatorio delle dinamiche economiche (O-De) dell’Università della Svizzera italiana -. In realtà i dati indicano un sostanziale equilibrio, anche in Ticino. Il commercio al dettaglio è un settore molto dinamico, in cui ci sono chiusure ma anche aperture. È un settore in movimento, che nel complesso dimostra resilienza e una buona tenuta».
Per il consumatore è positivo
Va detto che l’avanzata dei gruppi esteri non comporta per forza un arretramento dei concorrenti locali. Migros, per esempio, ha registrato l’anno scorso a livello nazionale il fatturato più alto della sua storia, oltre 32,5 miliardi di franchi. In Ticino invece c’è stato un calo, rispetto all’anno precedente ma anche rispetto al periodo pre-Aldi e Lidl. Segno che a differenza di quanto avviene a nord delle Alpi, dove la torta continua a ingrandirsi, nel nostro cantone il settore del commercio al dettaglio annaspa tra contrazione del potere d’acquisto e concorrenza italiana. Ciononostante c’è ancora chi ha il coraggio di aprire nuovi negozi.
«Non possiamo esprimerci sui nuovi arrivati perché non li abbiamo ancora visti all’opera - afferma Antonella Crüzer, segretaria generale dell’Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera Italiana (ACSI) -. Tuttavia possiamo dire che Aldi e Lidl hanno portato una ventata positiva, hanno dimostrato che è possibile ridurre i prezzi senza andare a scapito delle condizioni di lavoro. È positivo che ci sia concorrenza, a maggior ragione in un periodo come quello attuale in cui i consumatori ticinesi sono veramente sotto pressione per una serie di rincari che non sono compensati da un aumento delle remunerazioni».