La domenica

Questi figli fragili e violenti

Gioventù fragile, sbalestrata dalla pandemia e violenta – Lo confermano i reati che finiscono davanti al Magistrato dei minorenni
© CdT
Mauro Giacometti
16.01.2022 07:30

Gioventù fragile, sbalestrata dalla pandemia e violenta. Minori allo sbando per pestaggi organizzati o risse improvvisate, dove l’abuso di alcol e droga abbassa i livelli di attenzione e di rispetto per l’avversario. Il tutto immancabilmente ripreso dal cellulare e postato sui social per guadagnarsi la stima dell’amica, dei compagni di scuola o del «branco». Nei nostri due reportage dedicati al disagio giovanile (pubblicati in ottobre e nell’approfondimento dello scorso 12 dicembre) abbiamo tracciato il quadro di un malessere tra i «millennial» che non è più solo un sentore, un luogo comune, ma che viene certificato dai reati che finiscono davanti al Magistrato dei minorenni. Difficile dire se vi siano mini o baby gang organizzate che percorrono in lungo e in largo le città del Ticino a caccia di vittime occasionali dello loro scorribande. Nemmeno la polizia è riuscita a tracciare una «mappa» delle «teste calde», sapere cioè se quella decina di ragazzi e ragazze del Mendrisiotto che ha picchiato due diciottenni alla Rotonda di Locarno prima di Natale sia una banda organizzata o un assembramento a delinquere occasionale. E se quelli che hanno organizzato la mega-rissa scoppiata alla Foce la scorsa primavera provenivano tutti dall’hinterland cittadino. E chi affolla Piazza del Sole a Bellinzona nel cuore di una fredda notte d’inverno, meditando un «raid» di pugni e calci in un locale del centro, abita nella città dei 13 quartieri o viene dalle valli?

Il concetto di gang
Ma cosa si intende per banda o baby gang? «Seppure oggigiorno si tenda ad associare il termine gang a una particolare condizione giovanile - spiega la criminologa Jessica Ochs - è doveroso sottolineare che la parola gang o banda, in realtà, non designa un qualcosa di definito attribuibile ad uno specifico fenomeno, ma sottintende diverse forme di aggregazione più o meno stabili che spaziano da domini strutturati gerarchicamente atti alla gestione di grandi traffici illeciti a gruppi di ragazzi che si riuniscono nelle aree urbane esibendo qualche tratto distintivo e agendo comportamenti devianti come il consumo di alcol, di sostanze psicoattive o di violenze per la difesa dei propri spazi», spiega. E poi aggiunge: «Non esistendo un margine per stabilire una definizione di banda in termini giuridici, si rischia di valutare in modo erroneo le situazioni di «co-offending» (la commissione di reati compiuti da un gruppo di ragazzi non necessariamente appartenenti a una banda), in cui i giovanissimi compiono reati insieme ad altri coetanei, confondendola, invece, con la costituzione di un gruppo strutturato e fondato su ruoli gerarchici, il cui modo di agire si reitera per obiettivi condivisi. Infatti, il fenomeno che oggi viene messo sotto i riflettori è l’aumento di casi di microcriminalità, intesa come insieme di atti violenti compiuti da minori organizzati in gruppi», evidenzia Ochs.

L’assunzione sistematica di alcol e droghe spesso e volentieri scollega completamente il cervello: e così si arriva alle botte

Cento condanne all’anno
Certamente oltre un centinaio di condanne ogni anno in Ticino per atti di violenza non devono passare inosservati in una società tribale, quella degli under 18 che, come ci ha tratteggiato il magistrato dei minori Reto Medici «si muove più facilmente e velocemente» e che, complice l’assunzione sistematica di alcol e droghe, «spesso e volentieri scollega completamente il cervello arrivando alle botte». Con i soliti futili motivi a scatenare la violenza di gruppo: gelosia, debiti, stupefacenti di scarsa qualità rispetto a quanto pagato o non pagati del tutto. Oppure furti e rapine per «far soldi facili», come nei recenti casi citati dalla criminologa Jessica Ochs da noi interpellata. Un lungo elenco di reati commessi tra Italia e Svizzera, seminando il terrore tra Lugano e la provincia di Como: è la storia di un gruppo di ragazzi arrestati a dicembre per ricettazione di orologi di lusso e possesso di un coltello con una lama di 20 centimetri a cui sono stati contestati anche i reati di violenza verso un coetaneo avvenuto a Lugano, di rapina di una catenina d’oro, del danneggiamento di una decina di capi firmati e di altre vessazioni. Oppure le scorribande di un altro gruppo di ragazzi accusati di aver commesso 171 reati tra febbraio e agosto del 2021. Ora nove di loro, tra cui sette minorenni, sono stati arrestati dalla polizia cantonale del Vallese.

Ma secondo l’ispettore Simone Caimi, responsabile del Gruppo minori della Polizia cantonale, team costituito quasi due anni fa proprio per «monitorare» i comportamenti anche delittuosi delle giovani generazioni, almeno nella Svizzera italiana non è corretto parlare di branco o gang: «I giovani per definizione si sono sempre riuniti tra loro a scopo ricreativo. Infatti il ritrovo costituisce un momento formativo nel contesto sociale tipico dell’adolescenza. Il gruppo dei pari permette ai singoli individui con caratteristiche egualitarie di relazionarsi fra loro in un contesto di interazione alla quale le regole possono essere messe alla prova. È in queste circostanze che il giovane è facilitato, ricorrendo agli usuali mezzi di comunicazione, nell’esplorare e sfidare le norme di condotta che regolano i comuni atteggiamenti quotidiani nella nostra società. Definirlo branco che colpisce mi sembra pertanto sproporzionato e fuorviante ritenuto che in termini statistici, negli ultimi due-tre anni, i reati contro il patrimonio risultano invariati, come pure i delitti contro l’onore e la libertà personale. Risultano invece in aumento le contravvenzioni e le infrazioni alla legge federale sugli stupefacenti, ma nessuno di questi dati fa riferimento ai reati commessi da un gruppo», sottolinea Caimi.

Adolescenti sotto pressione
«Non si può generalizzare e non ho le competenze per sostenerlo, ma l’impressione è che la nostra gioventù sia per la stragrande maggioranza sana e virtuosa. Poi, certo, ci sono delle situazioni da monitorare e analizzare più in profondità, comprese certe manifestazioni di violenza ingiustificate e pericolose. Occorre capire come ci si sta muovendo e cosa si può fare ulteriormente per arginare questi fenomeni che, lo ripeto, riguardano veramente una minoranza dei nostri ragazzi. Partendo anche da un’altra considerazione:_qual è veramente lo stato di salute delle nuove generazioni? Come stanno veramente, di cosa hanno bisogno, quali limiti e che prospettive vedono per un futuro che, tra inquinamento e pandemia, li sta mettendo parecchio sotto pressione e senza alcuna responsabilità? Non voglio giustificare certi atteggiamenti estremi, ma che futuro stiamo consegnando noi adulti alle nuove generazioni? Che esempi stiamo dando loro? Siamo sicuri che non chiediamo troppo? E che spazi mettiamo loro a disposizione affinché si ritrovino, liberamente, per sviluppare la loro necessità di incontrarsi», si domanda Tamara Merlo, gran consigliera e presidente dell’Associazione ticinese delle politiche giovanili, organizzazione mantello che raggruppa varie associazioni, individui ed enti attivi sul territorio nell’ambito delle politiche giovanili.

Una cosa dev’essere chiara per la rappresentante parlamentare di Più Donne: si deve privilegiare la prevenzione e non la repressione di certi fenomeni e atti criminali che vedono protagonisti soprattutto i minorenni. E anche la Polizia cantonale, almeno secondo le affermazioni dell’ispettore Caimi, cerca di privilegiare il dialogo: «La devianza penale minorile è un fenomeno prevalentemente passeggero e pertanto la reazione istituzionale più vantaggiosa è quella fondata sul principio di sussidiarietà e mitezza. Sfruttando tali presupposti nella strategia di controllo e di giudizio, è possibile influenzare positivamente il livello della criminalità minorile. A tale proposito vi sono in auge progetti dedicati a tale scopo. La via del dialogo tra autorità, giovani e genitori permette di offrire una soluzione strutturata e a lungo termine, comprendendo e valorizzando, quale prima figura educativa, quella genitoriale», sottolinea l’ispettore di polizia.

Sicuramente alla base ci sono difficoltà sociali, povertà materiali e culturali, mancanza di punti di riferimento solidi e regole familiari deboli

Le difficoltà sociali
Ma cosa spinge i giovani ad unirsi ad una gang?, chiediamo alla criminologa. «Sicuramente alla base ci sono difficoltà sociali, povertà materiali e culturali, mancanza di punti di riferimento solidi e regole familiari deboli. Condizioni dove il rapporto con gli adulti è praticamente assente e dove si assiste al vano tentativo dei più giovani di voler risolvere i bisogni più diffusi nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, come ad esempio i problemi di identità, di riconoscimento, di accettazione, di integrazione. Non bisogna sottovalutare, però, anche altri elementi, come la noia, la scarsa comunicazione e l’attaccamento morboso ai social, dove si elude la realtà e si vive ai confini della finzione e dell’anonimato. Non manca, poi, da parte dei giovani la percezione di ostilità, diffidenza e sfiducia verso un sistema ritenuto inadatto e destabilizzante per i meno abbienti o gli emarginati. Tutte queste problematiche vengono riversate in un contenitore comune e la banda di pari diventa una sorta di rifugio e di opportunità per immaginare un futuro diverso», spiega Jessica Ochs.

L’alto livello di violenza
Anche se abbiamo visto che non ci sono dati certi, ma solo riflessi di cronaca, in questi ultimi anni però il fenomeno dei «raid» punitivi e delle spedizioni violente sembra sia diventato particolarmente ricorrente. «Storicamente le risse ci sono sempre state - sottolinea Luca Bertossa, responsabile scientifico delle Inchieste federali fra la gioventù ch-x -. Oggi il fenomeno colpisce di più anche perché i fatti sono spesso accompagnati da una particolare attenzione in ambito comunicativo. La cassa di risonanza è maggiore, soprattutto attraverso i social media o i push delle news sui portali informativi. Ciò che è aumentato, rispetto al passato, è il grado di violenza che caratterizza le risse. Una volta finiva la rissa quando una delle persone coinvolte era a terra, oggi purtroppo non è più così. Si continua senza nessuna coscienza dei limiti. Questo comportamento va probabilmente messo in relazione, fra le altre cose, ad una distorta percezione di quale danno fisico si possa arrecare all’altra persona. Tra giovani e giovanissimi c’è una distorsione della realtà sulle conseguenze che possono causare certi comportamenti e atti violenti».

Forse sarà l’influenza negativa di videogame e «sparatutto» ad alterare la percezione del danno reale. E allora, che fare? «Penso ad un principio simile a quello delle quattro colonne applicato nella politica contro le dipendenze: anticipare, punire, reprimere e curare i soggetti che si rendono protagonisti di questi atti. Questo però è un fenomeno che riguarda tutta la società occidentale, dalla Germania all’Italia, passando per la Svizzera», conclude il sociologo.

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