L'intervista

Ricardo Lumengo: «Mi lanciarono bucce di banana in faccia»

Consigliere nazionale dal 2007 al 2011, finì nell'occhio del ciclone per le 44 schede elettorali compilate di suo pugno finendo per essere scaricato dal Partito socialista
Andrea Stern
Andrea Stern
05.02.2023 07:00

Ai tempi si disse «deluso» dal Partito socialista, che l’aveva scaricato senza tanti complimenti a causa della vicenda delle 44 schede elettorali compilate di suo pugno. Oggi Ricardo Lumengo (il terzo e per ora ultimo consigliere nazionale afrodiscendente della storia, dopo Alois Wyrsch e Tilo Frey) sostiene di aver superato quella delusione. Sebbene il caso-Berset gli dimostri ancora una volta come in politica si possano adottare «due pesi e due misure».

Signor Lumengo, come sta vivendo il caso delle fughe di notizie dal dipartimento di Alain Berset?

«Io sono un difensore della presunzione di innocenza ma vedo che in politica purtroppo si tende a invertire questo principio. Appena sorge un sospetto si è colpevoli fino a quando non si riesce a provare la propria innocenza. Questo è grave e spesso ha conseguenze devastanti sulla vita e sulle attività di  una persona».

Quindi sostiene Alain Berset?

«Lo sostengo amichevolmente e in qualità di persona che ha a cuore la giustizia».

Però quando fu lei a finire nella bufera, nemmeno il suo stesso partito la sostenne.

«È vero, non fui difeso, non si cercò di bilanciare i fatti, non si provò a vedere le cose nella giusta misura. Fui costretto a dimettermi, sebbene alla fine la giustizia mi diede ragione e fui assolto. A volte mi sembra si adottino due pesi e due misure».

È ancora una ferita aperta?

«All’epoca fu un grande dispiacere. Oggi, con la distanza, mi dico che in fin dei conti è stata un’esperienza. Non tutte le esperienze sono positive, ma tutte rafforzano».

Crede che negli attacchi da lei subiti ci fu anche una componente di razzismo?

«Certamente! Il razzismo è sempre latente. Già prima di quella vicenda ero stato vittima di attacchi razzisti. A una manifestazione a Burgdorf mi lanciarono addosso delle bucce di banana. Anche in Consiglio comunale a Bienne mi mostrarono delle banane. E una volta davanti alla stazione di Bienne - i media non ne parlarono - un individuo mi apostrofò e poi mi diede un colpo alla tempia. Il razzismo è sempre latente. Poi, certo, basta commettere un piccolo errore per fornire ulteriori argomenti a chi è già contro di noi».

È difficile essere eletti a livello federale

Dopo di lei non ci sono più stati consiglieri nazionali di origine africana. Forse gli interessati si sono scoraggiati vedendo la sua esperienza?

«Questa è un’ottima domanda. È un aspetto che andrebbe approfondito. Anche se io penso che sia dovuto soprattutto al fatto che in un paese come la Svizzera è molto difficile essere eletti a livello federale».

Perché è difficile?

«Bisogna ottemperare a una serie di criteri, bisogna far fronte alla concorrenza dei compagni di partito e poi non siamo in paesi come gli Stati Uniti, il Canada e forse anche la Francia dove ci sono tanti migranti che hanno il diritto di voto».

Solo i migranti votano per i migranti?

«No, non solo. Se fosse stato solo per la comunità africana, io non sarei mai arrivato in parlamento. I migranti sono una base elettorale importante ma poi contano anche le circostanze. Penso che nel 2007 io fui indirettamente favorito dalla campagna delle pecore nere dell’UDC, che provocò un senso di rifiuto in una parte dell’elettorato».

Lei è arrivato qui nel 1982. Come è cambiato in questi quarant’anni il rapporto tra la Svizzera e gli stranieri?

«C’è stata un’evoluzione, oggi ci sono africani che lavorano alle FFS, in Posta, che sono attivi in vari ambiti della società. Però a livello di legislazione è diventato tutto più difficile. Se io fossi arrivato in Svizzera oggi, non sarei riuscito a fare il percorso che ho fatto, imparare le lingue, integrarmi e arrivare fino al parlamento».

Intende dire che era più facile arrivare in Svizzera 40 anni fa?

«Esatto. Io venivo da un paese in guerra, fui costretto a fuggire perché mi ero impegnato per la riconciliazione nazionale. Arrivai in Svizzera senza niente, senza parenti, senza conoscenze. La Svizzera mi accolse, mi permise di fare dei piccoli lavori, finché potei permettermi un appartamento e poi un vero lavoro. Sono molto riconoscente alla Svizzera per questo. Coloro che arrivano oggi invece si scontrano con condizioni molto più restrittive. Non possono lavorare finché non hanno una conferma sul loro soggiorno in Svizzera e spesso passano anche due o tre anni».

Ci sono sempre persone che abusano della legge. Ciò non toglie che la legge debba sempre tenere conto dell’aspetto umano e morale

Non crede che se le leggi sono diventate più restrittive è perché ci sono stati abusi dello strumento dell’asilo politico?

«Ci sono sempre persone che abusano della legge. Ciò non toglie che la legge debba sempre tenere conto dell’aspetto umano e morale».

La Svizzera sarebbe in grado di assorbire milioni di migranti?

«Le migrazioni sono un fenomeno che riguarda tutti i paesi, non solo la Svizzera. Prendiamo per esempio l’Uganda, che sta accogliendo rifugiati dal Congo, dal Sudan e dall’Etiopia nonostante abbia già le sue difficoltà. Tutti i paesi sono confrontati con la migrazione».

C’è però chi dice che prima o poi il territorio sarà troppo stretto.

«È vero che la Svizzera ha un territorio piccolo ma queste mi sembrano grida d’allarme motivate politicamente. L’obiettivo è più tenere fuori gli stranieri che preservare la natura».

Lei va in Africa ogni tanto?

«Sì, dopo la fine della guerra sono tornato a visitare la mia famiglia. Poi mi capita di viaggiare come consulente, sia in Africa sia in America Latina, sfruttando la mia esperienza da parlamentare per sostenere le giovani democrazie. Inoltre seguo un progetto tra Africa ed Europa per la produzione di biocarburanti».

Crede che l’Africa sarà il continente del prossimo secolo?

«Si può crederlo ma c’è ancora tanto da fare a livello di imprese, amministrazione, governi, lotta alla corruzione. La Svizzera non ha materie prime ma organizzandosi bene è riuscita a diventare uno dei paesi più ricchi al mondo. L’Africa ha tantissime materie prime. Se riesce a organizzarsi bene, potrà veramente svilupparsi e andare verso un futuro migliore».

Un giorno, chissà, l’Africa potrebbe offrire moltre altre opportunità interessanti

Un giorno saranno gli europei a emigrare in Africa?

«Già oggi gli europei ci vanno, per fare i capi. Un giorno, chissà, l’Africa potrebbe offrire moltre altre opportunità interessanti».

Lei prevede di tornare in politica?

«Non lo escludo. In ogni caso sto continuando a fare politica, sebbene non ricopra cariche pubbliche.Faccio politica sul terreno. Oggi come ieri, offro sostegno sociale e giuridico ai migranti, e non solo a loro».

Per quale partito vota oggi?

«Dopo aver lasciato il PS ho contribuito a formare ilMovimento socio-liberale, che oggi non esiste più. Diciamo che io mi considero semplicemente di sinistra, di una sinistra autentica che sostiene il progresso e l’uguaglianza».

Ha ancora amici in parlamento?

«Certo, in particolare Hans Stöckli, che come me è di Bienne, ma anche tanti altri di tanti partiti».

Alla fine fu una bella esperienza.

«Sì, potei sollevare molti temi che mi stavano a cuore. Vorrei ricordare che fui uno dei primi a parlare di telelavoro. Preparai un postulato per chiedere di introdurre il telelavoro nella legislazione, ma poi i compagni mi dissero che non corrispondeva con l’orientamento socialista, mi bacchettarono e me lo fecero trasformare in una semplice interpellanza. Allora poteva sembrare una proposta stravagante.Ma il tempo mi ha dato ragione».

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