Economia

Se lo stipendio non è tutto

I giovani lavoratori sono sempre più attratti dai «benefit» che dalla busta paga – E il partenariato si adegua
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Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
10.09.2023 12:30

Non solo il salario anche se lo stipendio è importante. Non solo il salario che peraltro non ha fatto progressi rilevanti negli ultimi anni. Almeno in Ticino. A differenza dei loro genitori le nuove generazioni che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro non guardano solo la busta paga. Questo è quello che vedono e sentono sempre di più sindacati e datori di lavoro. Anche in Ticino. «I giovani chiedono più dialogo, più relazioni, più organizzazione orizzontale, più autonomia del tempo di lavoro: elementi nuovi che dovranno per forza essere discussi con i datori di lavoro », dice Xavier Daniel, che il prossimo maggio diventerà segretario cantonale dell’Organizzazione cristiano sociale ticinese (OCST). Allo stesso modo convinto che debbano essere intavolate nuove discussioni è anche Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi (AITI). « Noi ci siamo, siamo pronti a discutere. Di più. Abbiamo già invitato i sindacati a farlo». È più di una tendenza. E non si tratta solo dei classici benefit. Già previsti da alcune aziende più sensibili di altre. Come ad esempio l’asilo aziendale, i buoni pasto, i corsi di aggiornamento professionale. I giovani si immaginano lavoratori con un ruolo diverso. Il salario non è più così centrale e determinante. A incidere sulla scelta o meno di un’impresa e sul rimanervi sono anche le condizioni di lavoro offerte. Come dire: lo stipendio è importante, ma non è l’unico elemento che mi fa decidere o mi fa rimanere in un’azienda a tutti i costi. «Le prestazioni extra salario non sono una novità in ambito aziendale - spiega Modenini - è però vero che negli ultimi anni e soprattutto dalle nuove generazioni è aumentata la richiesta di queste prestazioni».

«Evitiamo le tensioni sociali»

Non è una questione di lana caprina. O tantomeno da prendere sottogamba. Soprattutto in un mercato del lavoro, quello ticinese, «confrontato con una penuria di manodopera e con un calo demografico importante », annota il direttore di AITI. Chiudere gli occhi o fare finta di niente a lungo andare potrebbe dunque essere controproducente. Ma anche pericoloso. «Non affrontare queste nuove richieste e non iniziare a discuterle con i sindacati ma anche con lo Stato potrebbe anche portare a tensioni sociali e a effetti negativi nelle contrattazioni salariali », sottolinea Modenini. Da qui la richiesta ai sindacati di iniziare a trovarsi e a parlarsi. Pur nelle differenze. «Un confronto sarebbe utile», chiarisce non a caso il direttore degli industriali. «Anche perché oggi questa dinamica in Ticino è quasi del tutto assente ».

La flessibilità che c’è già

Certo non sarà facile. Come stanno dimostrando le discussioni a livello nazionale sulla revisione generale della legge federale sul lavoro. Una revisione che proprio per le differenti visioni tra le parti sociali si è deciso di affrontare tema per tema, abbandonando così l’idea di una riforma complessiva.

Un compito non facile ma irrinunciabile. Da compiere per andare incontro alle mutate esigenze dei lavoratori. Che dallo scorso 1° luglio, proprio a seguito della revisione in atto della legge federale sul lavoro, se impiegati in un’azienda delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e se confrontati con progetti e mandati urgenti potranno lavorare, in determinate situazioni, su un arco temporale di 17 anziché di 14 ore. Questo nel nome della flessibilità. Che nel concreto significa permettere di lavorare al di fuori delle classiche ore di ufficio, magari prima delle 8, per finire prima e dedicarsi così ad altro.

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