Si guadagna di più, ma per gli altri
Ci sono una buona e una cattiva notizia nell’ultima indagine sul budget delle economie domestiche. La buona notizia è che il reddito lordo medio delle famiglie svizzere sfiora i diecimila franchi al mese. Nel 2021 - ultimo anno preso in considerazione dall’analisi dell’Ufficio federale di statistica (UST) - le economie domestiche hanno incassato in media 9.788 franchi lordi al mese, in crescita di oltre cinquecento franchi rispetto a sei anni prima.
Certo, si tratta di una media, che circa il 60% della popolazione guarda dal basso. Certo, coloro che vivono da soli guadagnano generalmente meno dell’economia domestica tipo, che è composta da 2,09 persone. Certo, il nostro bel canton Ticino è sempre l’ultima ruota del carro.
Meno soldi a libera disposizione
Ma la cattiva notizia è soprattutto un’altra, ovvero che è in continua crescita la parte di reddito di cui i cittadini non possono disporre liberamente. Tra imposte, premi di cassa malati, contributi obbligatori alle assicurazioni sociali, deduzioni per la cassa pensioni e contributi di mantenimento, circa il 31,5% del reddito svanisce senza che chi l’ha conseguito possa alzare il dito. Una parte di spesa che nel giro di sei anni è aumentata di oltre due punti percentuali.
«La Svizzera ormai è di fatto uno Stato ‘socialista’ - sentenzia Paolo Pamini, consulente fiscale, docente universitario e neoeletto consigliere nazionale UDC -. Lo si vede benissimo anche a livello macro nella contabilità nazionale. Si dice sempre che la Svizzera ha una bassa fiscalità ma si dimentica che la previdenza e la sanità non sono coperte dalle imposte, o solo in minima parte. Se si considerano tutte le spese vincolate a carico del lavoratore, ecco che la Svizzera non si distingue mica tanto dagli altri Paesi».
Oltre 3.000 franchi spariscono subito
In media, le economie domestiche devono affrontare spese obbligate per oltre 3.000 franchi al mese. A queste vanno aggiunte le spese per l’alloggio e il riscaldamento, che non sono obbligatorie ma comunque imprescindibili. E sono altri 1.364 franchi al mese, in media. Se poi si considerano anche i premi assicurativi, anch’essi ormai generalizzati, ecco che la parte di reddito disponibile al consumo diventa minoritaria.
«La prima constatazione è che tutte le esplosioni di costi non sono avvenute in ambito privato, bensì statale - osserva Pamini -. Anche l’aumento delle tariffe energetiche non è tanto legato al mercato quanto a scelte politiche a monte. Quindi non c’è un problema di economia privata che non funziona bensì di sistema pubblico che causa queste distorsioni. Meglio così, da una parte, perché vuol dire che la politica avrebbe la possibilità di metterci mano».
Uscire dall’AVS
Un compito non facile. È da anni che la politica sta cercando soluzioni per frenare l’impennata dei costi. Ma il risultato è l’opposto di quanto auspicato. Aumentano i premi di cassa malati, aumenta la quota delle imposte, aumentano i contributi destinati a finanziare le assicurazioni sociali.
«Se un sistema come quello dell’AVS venisse utilizzato nel privato, i suoi responsabili se la vedrebbero con il Ministero pubblico - afferma Pamini -. Non esiste che un anziano vada da un giovane e lo obblighi a pagargli la pensione. Dicono che l’AVS sia un’assicurazione ma in realtà è un’imposta lineare che serve a pagare delle rendite di Stato. Il suo punto debole è di dipendere dal rapporto tra giovani e anziani, che è sempre più disequilibrato».
Come uscirne? «Nel 2016 con una pubblicazione dell’Istituto liberale abbiamo suggerito il progressivo spegnimento dell’AVS - prosegue Pamini -. Non sarebbero necessari stravolgimenti. L’ipotesi è che il giovane che entra nel mercato del lavoro non dovrebbe essere obbligato a entrare nell’AVSbensì possa mettere i suoi risparmi in una sorta di terzo pilastro aumentato. Chi ha tra 30 e 50 anni potrebbe scegliere se restare nel sistema attuale o ritirare il proprio capitale ed entrare nel sistema nuovo. Chi è più anziano resterebbe nell’AVS, fino al suo progressivo spegnimento».
Sempre meno per mangiare
Fantapolitica. Quel che è certo è che negli anni si è sempre più ingrossata la parte di reddito prelevata dallo Stato, mentre si è sempre più assottigliata la parte destinata ai consumi di base. Se un secolo fa, nel 1921, le economie domestiche svizzere spendevano il 38,8% del loro reddito per l’alimentazione, ora questa quota si è ridotta al 6,2%, oppure al 7,6% se si vogliono includere anche le bibite alcoliche e analcoliche. È invece fortemente aumentata la parte di spesa destinata ad attività di svago, del tempo libero, della cultura, come anche per la cura del corpo.Complessivamente, queste attività ci costano più dell’alimentazione.
Per tornare alla «Svizzera socialista» evocata da Pamini, l’indagine dell’Ufficio federale di statistica permette di evidenziare un crescente peso dello Stato non solo a livello di prelievo sui redditi ma anche di redistribuzione. Il reddito da attività lavorative rappresenta ormai solo il 72% delle entrate delle economie domestiche. Il 22% delle entrate deriva invece da rendite e prestazioni sociali. La parte restante si divide tra redditi da affitti o capitali oppure da trasferimenti monetari da altre economie domestiche.
«Siamo in un Paese benestante - conclude Pamini - ma è importante essere coscienti che i redditi non sono garantiti. A generare benessere è il lavoro, non la redistribuzione di soldi da parte dello Stato. Quindi dobbiamo puntare su attività lavorative che generino valore. Oggi siamo in un’epoca in cui le specializzazioni sono sempre più fondamentali, se una persona non è qualificata fa fatica a farsi remunerare per il proprio lavoro. Se vogliamo mantenere degli alti redditi, ognuno di noi deve pensare a come farsi valere sul mercato».