Smascherati... ma più inquieti

Le abitudini, si sa, son dure da perdere. Anche quelle vissute male, accettate obtorto collo ma che dopo due anni avevamo ormai fatto nostre. Abitudini, appunto. Prendiamo la mascherina, tra le ‘armi’ più efficaci per arginare il maledetto virus, ci siamo sentiti dire e ridire. E noi, ubbidienti e ligi, a far scorte di ‘chirurgiche’, FFP2, persino FFP3, col terrore di rimanere senza. Oggi, a pochi giorni dal liberi tutti, quello che è stato battezzato Freedom Day - un rilassamento (quasi) totale delle misure di contenimento del virus - in pochi se la sono già sfilata completamente. E chissà quando lo faranno. Lo testimoniano i quattro personaggi interpellati, che raccontano il loro (lento) ritorno alla normalità. Eppure, eppure quante maledizioni prima di abituarci a quel pezzettino di stoffa che tappa naso e bocca, appanna gli occhiali, impedisce di vedere la mimica delle persone. «Il ritorno all’ordinario spaventa, inquieta, crea diffidenza - spiega lo psicoterapeuta Ivan Battista -. Non tutti vivono questo rientro alla normalità come una buona notizia, soprattutto dopo così tante imposizioni e obblighi».
Il rapporto con gli altri
Al di là della mascherina, il liberi tutti significa la capacità di calarsi di nuovo nella quotidianità ritrovata, adottando un adeguato stile comportamentale, grazie anche a una riorganizzazione di spazi e tempi. E tutto ciò può effettivamente provocare degli stati di forte stress. Nel caso specifico, la ragione principale di questa angoscia sta nel rapporto con gli altri. Dopo due anni di ansia, rabbia e burnout, c’è la difficoltà a tornare ai comportamenti pre-pandemia. «Ci si scopre impauriti e sospettosi », riprende Battista. L’idea di ritrovarsi vicini, sfiorarsi anche tra estranei, dover tornare a sorridere fa orrore. E questo dopo mesi e mesi di ‘distanzia mento’ e di visi ingrugniti dietro le mascherine. Un po’ come dopo una grave malattia, quando il medico comunica al paziente la guarigione. E questi vacilla, va in crisi perché in quella condizione, quella di malato, anche se dolorosa e tragica, si era ormai abituato. «Io la manterrò comunque, ho intenzione di indossarla ancora, come prima - dice Mario Camani, ex capo Sezione aria e acqua -. È anche una questione di rispetto degli altri». Pure a Carla Norghauer, conduttrice RSI, il rispetto per il prossimo gliela farà molto probabilmente mantenere. Sempre? «In realtà non lo so ancora di preciso come mi comporterò. Non mi ha mai dato fastidio, in fondo io sono prudente per natura, indosso la canottiera anche d’estate».
Le abitudini sociali
A questo punto, torneremo a scambiarci i classici tre baci (a volte con perfetti sconosciuti), a stringere mani, a fregarcene per davvero della mascherina anche se attorno la maggior parte delle persone magari la indossa e guarda in cagnesco chi non lo fa? Ancora una volta si conferma problematico il rapporto con gli altri.
Gli esperti spiegano che i codici sociali non spariranno ma cambierà l’ambito d’applicazione. Tornando a fare i conti con il mondo esterno il rischio è perdere un equilibrio conquistato con fatica durante le varie quarantene e i lockdown. Siamo tutti reduci da un’esperienza stressante, mortifera, potenzialmente traumatica che ha cambiato il modo di percepire il mondo. «Ecco perché sono ben felice di tornare alla normalità, certo, ma mi raccomando: non dimentichiamo la prudenza. Dove la distanza lo permette, non indosserò più la mascherina, ma se entro in un negozio o in un bar affollato la metterò sicuramente. Anche durante la comunione con i fedeli», dice il parroco di Chiasso Gianfranco Feliciani.
L’incognita Carnevale
Se i quattro personaggi da noi interpellati rappresentano il sentire comune c’è da supporre che non ci sarà un improvviso cambiamento delle abitudini. Mascherina, gel, paura di avvicinarsi troppo agli altri permarranno. L’abbiamo detto, sarà arduo abbattere muri e barriere, faticoso riprendere la fisicità dei contatti. Forse saremo tutti più attenti a non superare, almeno non subito, determinati confini. Insomma, niente comportamenti sconsiderati. C’è però l’incognita Carnevale, che spinge a lasciarsi andare alla festa. Ecco, forse, magari sarebbe stato meglio aspettare prima di decretare il Freedom Day.
Una nuova normalità
Ricordate la ‘sindrome della capanna’? Se ne è parlato dopo il primo lungo lockdown. È la paura di lasciare il luogo che per mesi ha garantito riparo da qualsiasi pericoloso agente esterno. Per cui fa ancora dire a molti, come Michela Pfyffer von Altishofen, direttrice della Clinica Sant’Anna di Sorengo: «La toglierò a poco a poco, nel modo in cui mi sentirò più serena, e continuerò a prestare attenzione alle abitudini che in questi due anni e mezzo abbiamo imparato, magari adattandole, rivedendole ma senza dimenticarne la loro finalità». Sarà una nuova normalità. Con una visione diversa, consapevole, mutata e con una rinnovata conoscenza di sé e del mondo.