Sopravvivere a Lugano con in tasca solo criptovalute

La quarta edizione del Plan B forum è alle porte, ma quanto sono entrate le criptovalute nella vita di Lugano? Per capirlo abbiamo provato a vivere una settimana in città pagando solo in Bitcoin.
Lugano è davvero la Bitcoin city? Sulla pagina web del progetto Plan B si può leggere che è possibile pagare in criptovalute «per le transazioni di ogni giorno». Le tre varianti accettate dai commercianti luganesi sono i LVGA, USDT e Bitcoin. Ma è unicamente su quest’ultima moneta - quella che ha fatto nascere il concetto di blockchain e alla quale tutte le altre criptovalute si sono ispirate- che abbiamo voluto concentrarci per il nostro esperimento. È davvero possibile vivere ogni giorno pagando unicamente in Bitcoin? La risposta è sì, ma la nostra esperienza ha dimostrato che la condizione per poterlo fare è quella di essere un turista di passaggio o un residente benestante che può permettersi di mangiare al ristorante tutti i pasti. Nella mappa interattiva della pagina web del progetto, fra gli esercizi pubblici figurano infatti alberghi, boutique, ristoranti e tanti altri servizi. Per contro ci è stato impossibile fare la spesa - poiché al momento del test il negozio Spar in centro non aveva ancora iniziato ad accettare criptovalute -, così come acquistare i biglietti del bus. D’altro canto, caffè e sigarette sono andati alla grande. Ma andiamo con ordine.
Tanto cammino, poco cibo
Lunedì mattina, il caffè, rigorosamente amaro, aveva un sapore diverso quando bevuto nei tavolini esterni di un bar che sulla finestra sfoggiava l’adesivo di Bitcoin. Sapeva di aspettativa. Ma la poesia è subito finita al momento di saldare il conto. «Non si può pagare in criptovalute», ha detto la commerciante nonostante sul bancone ci fosse il dispositivo azzurro per accettarle. «Non so come si usa», si è giustificata. Ed è quindi con in bocca il gusto di un caffè dolce-amaro che siamo andati in tabaccheria. Dopo un paio di rifiuti, ne abbiamo trovata una dove non solo erano accettati i Bitcoin, ma anche il negoziante sapeva usare il POS. Cinque secondi dopo avevamo fatto il primo acquisto. E questa volta sì, il sapore del fumo era più buono. Non tanto perché è bello spendere i Bitcoin quando il loro valore è alto e prima che possa riprendere la sua discesa della montagna russa che è stato il suo andamento fino a oggi. Ma perché nell’era in cui il contante è quasi sparito e in cui i conti si saldano appoggiando le carte sui dispositivi, un «sistema digitale di trasferimento di cash senza intermediari» (questa la definizione originale di Bitcoin) è ciò che si avvicina di più al caro e vecchio denaro contante. Per dovere di cronaca è giusto aggiungere che gli intermediari sono assenti per chi si organizza autonomamente scaricando determinati tipi di wallet, ma non è il caso dei commercianti luganesi che li accettano con il terminale fornito dall’azienda Tether. Per loro è semplicemente cambiato il mediatore.
Torniamo a noi: a questo punto la fame cresceva ed era giunta l’ora di fare la spesa. In lungo e in largo abbiamo percorso il centro cittadino visitando i supermercati e qualche negozio alimentare. Ma siamo rimasti a mani vuote. Fortunatamente il giorno seguente ci attendeva il mercato alimentare cittadino.
Grazie al cielo è martedì
Finora ci sono voluti 18’000 passi per le vie del centro per trovare gli esercizi pubblici di cui avevamo bisogno e che accettavano Bitcoin. Oggi invece siamo al piazzale Ex-scuole fra i banchi del mercato. Saremo più fortunati?
«Bit-cosa?!?» ha esclamato la mercante-casara della bancarella dei formaggi della Val di Blenio alla nostra proposta di pagamento. «Si può pagare con Twint, ma preferisco i contanti per non avere commissioni», ha aggiunto. E alla stessa maniera non è stato possibile acquistare le verdure biologiche. Lì accanto, neanche l’esigenza di servizi postali è stata soddisfatta: il Gigante giallo non offre questo servizio. Non è neanche stato possibile acquistare riviste e quotidiani. «Magari in futuro li accetteremo», rispondevano alcuni.
A questo punto cominciavano a emergere due tipi di «no» dai commercianti luganesi. Il classico «no con punto esclamativo», che dimostrava chiusura o sospetto verso la moneta alternativa, e il «purtroppo no», in cui il «purtroppo» assomigliava più a gentile «menavia» del negoziante piuttosto che a un avverbio che veicolasse la sincera amarezza di non poter accettare i «soldi magici di internet».
A metà settimana inoltrata eravamo ormai noi a utilizzare il POS al posto dei commercianti. Perché se in generale le transazioni in Bitcoin erano veloci, a rallentarci era la carente dimestichezza degli esercenti con il dispositivo blu. «Sono mesi che non lo uso», ci siamo sentiti rispondere. Oppure: «Facciamo 4 o 5 transazioni all’anno».
La mostra di Hodler
«Quest’estate sono diverse le persone che hanno pagato in Bitcoin, ma tutti turisti», hanno invece detto al LAC al momento del pagamento per una visita al museo, perché si sa che non solo di pane vive l’uomo. Pane che, a dirla tutta, non eravamo ancora riusciti ad acquistare (ci riusciremo finalmente solo verso la fine della settimana, fuori dalle vie del centro). Ironia della sorte: la mostra di Hodler era appena stata smantellata. È ironico perché il termine «Hodler» è proprio quello che viene utilizzato, nel gergo delle criptovalute, per descrivere una persona che non spende i propri Bitcoin perché preferisce mantenerli immobili convinto che in futuro varranno sempre di più, in altre parole che crede nella retorica dell’«oro digitale» piuttosto che in quella del «contante digitale». Noi in questi giorni rientriamo nel secondo gruppo, e spendere la criptovaluta ci ha permesso di visitare la mostra permanente del MASI tuffandoci nella cultura rurale prealpina dipinta da Luigi Rossi, Pietro Anastasio, Giacometti padre e Luigi Chialiva. Altro che Hodler.
Non solo Plan B
La settimana l’abbiamo chiusa tirando le somme mentre sorseggiavano un aperitivo pagato in criptovaluta. Lugano è davvero la Bitcoin city? Così così. Perché i clienti possono sì pagare con questa valuta alternativa, ma facendo fatica a reperire i beni di prima necessità. In generale, poi, i commercianti non hanno mostrato un interesse particolare per le caratteristiche di questa moneta nativa di internet. Ne è la prova il fatto che tutti quelli che abbiamo visitato convertono subito l’incasso in franchi. Alcuni esercenti fra i vicoli, però, ci credono più di altri, anche senza per forza aver aderito al progetto Plan B cittadino. In via Nassa un’orologeria aveva l’adesivo di Bitcoin sulla porta, ma non quello fornito dalla città. «Li accettiamo perché ci è stato chiesto da alcuni clienti - ancora pochi -e vogliamo offrire questa possibilità», ci hanno spiegato. Ma si sono organizzati per conto loro. Sempre in centro c’è anche un ufficio cambi che permette di acquistare o vendere Bitcoin con una commissione dell’8%. E anche qui fuori dal circuito Plan B. E come funziona? «Ci lasci il tuo telefono per un’ora e facciamo la transazione».
Non abbiamo osato.