Scienza

Sulla scia dello squalo bianco, nel «Serengeti» degli oceani

Un gruppo di studiosi sta esplorando la baia di Monterey, in California, con un metodo innovativo - Che è diventato un piccolo film
Gloria Sala
09.11.2025 17:02

I surfisti della California centrale, quella dell’ iconica spiaggia di Carmel, sono consapevoli che la loro sfida non è solo contro le onde possenti dell’ Oceano Pacifico. L’altro fattore di rischio è la presenza del predatore alla testa della catena alimentare planetaria del mare, il grande squalo bianco. La baia di Monterey ha rivelato di essere un grande ecosistema resiliente, che accoglie assembramenti delle più grandi specie di pesci e mammiferi marini. Una corrente creata dai venti del nord, che rimescolano la circolazione dell’ oceano, fa risalire in una colonna ascendente le acque di profondità più fredde e ricche di nutrienti . L’«upwelling», così è chiamato il fenomeno, porta in superficie nuvole di plancton, che attirano balene e sardine. I banchi di acciughe a loro volta diventano un ristorante per tonni e altri pesci, come per le colonie di foche ed elefanti marini che popolano coste e isolotti. La baia è infatti una delle mete preferite sulla rotta degli squali bianchi per l’ alta concentrazione delle loro prede.

Il grande progetto

Il Serengeti blu, così è denominata da quando è riconosciuta dagli Stati Uniti come santuario nazionale protetto. Un team di scienziati di varie università della West Coast ha lanciato il Monterey White Stark Project, un programma interdisciplinare che coinvolge ricercatori della prestigiosa Università di Stanford, del centro per la Blue Economy dell’Istituto di Studi Internazionali Middlebury e delle università di Santa Cruz e dello Stato di Washington. Il 22 ottobre scorso è uscito il film di 14 minuti, disponibile su YouTube (montereybaywhitesharks.org), un documentario che divulga il progetto al grande pubblico, spiegando con quali strumenti tecnologici all’avanguardia viene realizzato. Il laboratorio della Dr. Barbara Block di Stanford studia i grandi predatori. Nel 2016 ero presente all’ assegnazione dei Peter Benchley Ocean Awards, nella suggestiva cornice dell’Acquario di Monterey, quando la scienziata ha ricevuto il premio di eccellenza nella scienza per avere creato una mappatura delle rotte dei tonni pinna blu e fondato il Centro di ricerca per la loro conservazione.

Un team di giovani ricercatori

Ora il suo lavoro si focalizza sugli squali bianchi. Per capire lo spazio del loro habitat e proteggerli, ha cercato di trovare un modo per seguirli. La fortuna del suo team di giovani ricercatori è la distanza dalla base di Pacific Grove. Un’ora di navigazione nel santuario marino della baia e sono già nell’area di incontro con gli squali. Dalla barca gettano un’esca, in genere un pezzo di balena o di elefante marino, e i triangoli delle pinne dorsali spuntano dalle onde spumeggianti e si avvicinano. A differenza dei mammiferi marini, che salgono in superficie per respirare, gli squali sono pesci e dotati di branchie non hanno bisogno di aria, quindi rimangono sott’acqua. Pur essendo di grandi dimensioni è difficile vederli bene. Le famose pinne dorsali, che ci inquietano o ci elettrizzano al loro avvistamento, sono la loro carta d’identità. Quando gli squali si accostano alla barca per divorare l’esca, le pinne vengono fotoidentificate e sui frammenti del loro tessuto viene eseguita una biopsia per rintracciare il genere e il DNA dell’animale.

Una spedizione durata un mese

Nel corso degli anni oltre ai codici sono stati dati loro dei nomi, come al maschio Kilimanjaro o alla femmina Gigi. Le pinne vengono taggate con un sensore elettronico collegato a un satellite che geolocalizza i movimenti degli squali. Si è scoperto che nella stagione di primavera-estate fanno regolarmente rotta verso il cosiddetto «White Shark Café», il loro punto di ritrovo nel Pacifico, situato a metà strada tra le Hawaii e la Baja California. Gli scienziati l’ hanno seguita e osservato quel tratto di oceano in una spedizione durata un mese. Nella baia di Monterey è stato disposto inoltre un sistema di sorveglianza di boe, con sensori e idrofoni capaci di captare il passaggio degli animali e intercettare il codice della loro tag elettronica, anche oltre i 500 metri di distanza. Metodo che consente di identificare quale squalo sta nuotando lÌ intorno senza interagire con l’ animale. Il laboratorio utilizza anche strumenti oceanografici per calcolare i modelli in base alle variabili ambientali, come temperatura, correnti, pressione e luce. Intelligenza artificiale e droni sono le nuove tecnologie che consentono di controllare la popolazione della baia, che attualmente ospita circa 300 squali bianchi.

Indagini con l’aiuto di navi da pesca

Le ricognizioni con i droni sono molto efficaci anche nello studio delle prede terrestri, come i pinnipedi, effettuate tramite una collaborazione con l’Università di California di Santa Cruz, dove l’équipe del Dr. Daniel Costa si interfaccia con il lavoro della Hopkins Marine Station di Stanford. L’incognita riguarda la protezione degli squali quando escono dal santuario della baia e interagiscono con le navi da pesca internazionali nell’alto mare. Questo è un tema critico che riguarda l’implementazione del trattato delle Nazioni Unite appena ratificato da 60 Stati, che li obbliga al rispetto della legalità della pesca nelle acque esterne alla giurisdizione nazionale, per conservare la biodiversità dell’ oceano profondo.

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