«Trump e Mamdani? Potrebbero andare a nozze»

La vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni a sindaco di New York, è una sorta di fulmine e a ciel sereno nella politica americana. «Trentatré anni, Mamdani è di origini indiane e ugandesi (il padre è un accademico, la madre è la famosa regista Mira Nair, Leone d’oro a Venezia nel 2001 per il film «Saalam Bombay!»), musulmano, nessuna esperienza politica significativa», premette la scrittrice e giornalista Luciana Grosso specializzata in politica europea e statunitense. Autrice di un libro profetico «Mamdani, un socialista a New York» (Castelvecchi, 136 pagine) ha ipotizzato l’ascesa del giovane politico che è riuscito a battere «Andrew Cuomo, uno dei nomi più potenti e controversi della politica americana, sostenuto dall’intero establishment democratico e a conquistare il Comune di New York con un arrembaggio che ha squilibrato la politica americana».
Grosso, è una vittoria clamorosa per un outsider?
«Certo. Mamdani incarna la nuova sinistra americana, quella dei Democratic Socialists of America, che rifiuta i compromessi del centrismo e promette diritti sociali uguali per tutti; ma soprattutto arriva in un momento cruciale: con Donald Trump alla Casa Bianca per il secondo mandato e un Partito Democratico in crisi d’identità, incapace di offrire una leadership credibile, New York diventa un laboratorio politico e Mamdani è un chimico promettente».
Ma che cosa significa per New York, un sindaco musulmano?
«La questione religiosa, è un fatto che Mamdani non ha cavalcato più di tanto. L’ha dichiarata, è praticante, frequenta le moschee, ma si è tenuto molto lontano dalle battaglie culturali. Il fatto di essere un musulmano immigrato (lui è arrivato negli Stati Uniti quando aveva sette anni), gli ha permesso il lusso di ignorare tutte le battaglie culturali che hanno lacerato l’opinione pubblica negli ultimi anni, e di concentrarsi su di un programma con delle misure specifiche».
Come ha fatto Mamdani ad arrivare alla poltrona? Chi ha sostenuto questo giovane che a vent'anni faceva il cantante rap e si faceva chiamare Mr. Cardamore?
«Le ragioni per cui i newyorchesi l’hanno votato è la sua credibilità che, per quanto paradossale possa sembrare, si è alimentata della sua inesperienza. Questo è stato il suo punto di forza: ha trasformato la sua incompetenza in una scommessa che valeva la pena di fare. L’hanno sostenuto tutti, perché lui dopo aver vinto a sorpresa le primarie lo scorso giugno, ha dialogato con tutti i gruppi di influenza di New York: dai sindacati agli imprenditori, al personale sanitario fondamentale in quell’area e agli insegnanti. S’è speso con tutti i centri di potere newyorkesi. Cuomo ha avuto le briciole del consenso dei gruppi importanti di New York, ma ha ottenuto il classico sostegno di buona parte della dirigenza del partito democratico».
La sconfitta di Cuomo è anche la sconfitta della vecchia guardia dei democratici che al momento sembrano in balia di parecchia confusione?
«Il partito democratico come spesso gli succede è riuscito in un doppio miracolo: vincere e perdere le elezioni nello stesso tempo. Da una parte le ha vinte perché Mamdani era il candidato Dem ufficiale; dall’altra vincendo le elezioni, Mamdani ha compiuto una rottamazione della classe dirigente del partito che s’è sentita defraudata, quasi offesa dal fatto che abbia vinto senza di loro. Ciò avvierà un ulteriore scontro all’interno perché bisognerà vedere se la dirigenza storica si arroccherà su una posizione di difesa di se stessa anche a discapito dei risultati, oppure se troverà una conciliazione con la parte più a sinistra del partito. Che ha un seguito limitato ma è l’unica parte che cresce ed ha una fortissima capacità di mobilitazione».
Perché a New York, città santuario, il «sistema del partito democratico» s’è inceppato?
«Il partito democratico s’è rotto, perché la dirigenza non voleva la vittoria di Mamdani. Durante la notte elettorale, Hillary Clinton ha invitato ad andare a votare in New Jersey, Virginia e California, ma non ha menzionato New York. E ha commentato la vittoria di Mamdani con parecchio ritardo. Il partito democratico s’è inceppato in una lotta interna, ed è indispensabile che facciano un’analisi della vittoria di Mamdani per mettersi d’accordo fra loro».
Trump come sta reagendo a questa invasione «comunista» nel campo liberal? Lo preoccupa avere un sindaco come Mamdani?
«Trump potrebbe beneficiare tantissimo dall’elezione di Mamdani e andare a nozze con il comunista che spaventa il centro e Times Square. Mamdani, veloce e abile nella comunicazione è capace di toccare temi che Trump non sa intuire, e potrebbe metterlo in difficoltà. Ma Trump che sa benissimo come colpire persone come Kamala Harris e altre, anche se di fronte a Mamdani si trova spiazzato, sa volgere sempre a suo vantaggio le situazioni critiche».
La vittoria politica di Mamdani potrebbe pesare alle elezioni per la conquista della Casa Bianca?
«Da qui alle presidenziali manca parecchio tempo, e questa vittoria imprevista potrebbe pesare a patto che il partito democratico sappia sfruttarla a suo vantaggio. Potrebbe essere controproducente solo se, per una questione di lotte intestine, i democratici anziché accettarla e sfruttarla, operino per soffocarla».