«Tutto è cominciato in Ticino»
Da ragazzina portava a spasso la sua anatra. Erano gli anni del Dopoguerra. «Venivo giudicata una bambina e poi una ragazza molto stravagante. Ma ero anche molto brava a scuola e così mi perdonavano molte bizzarrie. E poi ero popolarissima tra le mie coetanee, pronte a coalizzarsi per difendermi in ogni occasione», racconta a La Domenica Bianca Pitzorno che a ottobre ha dato alle stampe il suo ultimo libro A chi smeraldi e a chi rane, edito da Bompiani, una appassionata autobiografia scritta con toni umoristici, molto personali, oltre che ricca di dettagli curiosi, attraverso gli animali che hanno segnato la sua vita.
Il titolo del libro Pitzorno l’ha cavato via da una frase pronunciata da una zia che era andata a trovarla quando era studentessa universitaria (a Cagliari). Lei le aveva fatto vedere la foto di una cugina che a un matrimonio aveva sfoggiato una collana di smeraldi, ma la zia aveva notato anche un barattolo sistemato in casa con dentro tre raganelle, che lei aveva battezzato Griselda, Greta e Allegra. Da lì la frase, di un’ironia secca: «A chi smeraldi e a chi rane».
Ma in fin dei conti - ed è quello che si scopre dallo «zoo» popolato da tartarughe, agnelli, rospi, pipistrelli, pappagalli, tratteggiati nelle pagine del libro - gli animali ci ricordano luoghi, età, eventi. «I periodi della vita di ciascuno - aggiunge la scrittrice - sono scanditi dalle esperienze vissute, dagli incontri, dai rapporti con gli altri. Nel libro precedente «Donna con libro», avevo raccontato le tappe della mia vita attraverso le esperienze di lettura. Qui le racconto attraverso i miei rapporti con gli animali». Rapporti che diventano souvenir personali, come quelli con i gatti che ha avuto a casa, o anche con altri animali, dalle vipere alle galline africane, che ha incontrato invece nei suoi viaggi all’estero.
Un rapporto di complicità
Il rapporto tra l’uomo e l’animale è anche un rapporto di complicità. Leggendo il libro si intuisce che Pitzorno ama molto i gatti come il grande scrittore argentino Osvaldo Soriano. «Sì, mi piacciono molto - conferma - per la loro indipendenza ma anche per la loro capacità di affezionarsi, contrariamente a quanto si dice e cioè che il gatto si affeziona ai luoghi e alle comodità e non alle persone». I gatti più famosi che hanno accompagnato Bianca Pitzorno sono tre. Il primo è Minouche, arrivato nel periodo del liceo, che rimase chiuso in cantina per giorni e giorni. Piccolo dettaglio: quella cantina era piena di salami. Poi quando lasciò la casa di famiglia di Sassari per l’università Minouche restò nella casa dei genitori dove in seguito morì di vecchiaia. Il secondo è Zucchero, che in realtà non era suo, ma di una sua amica (Ornella) e lei lo ospitò per un periodo. Zucchero era un gatto strano, appena vedeva un altro animale nello schermo della tv in salotto, si lanciava contro l’immagine pensando fosse reale. In quel periodo Bianca Pitzorno aveva l’hobby della fotografia e stampava a casa. Così un giorno Zucchero leccò una vaschetta con gli acidi. Panico totale. Poi il gatto, che appariva tranquillo, fece due gocce di pipì sul parquet «liberandosi» dell’acido. Risultato: pavimento bruciato. La terza è una gatta, Prunilde, molto intelligente: sapeva pure rispondere al telefono. E quando Pitzorno si sedeva a tavola a mangiare anche lei voleva «piatto e bicchiere, naturalmente senza posate».
Ha fatto conoscere Plath e Grossman
Nella storia personale e professionale di Piztorno c’è un legame anche con il Ticino. Perché questa scrittrice, che ha 81 anni e dal 1970 a oggi ha scritto più di sessanta opere di saggistica e narrativa (tradotti in diverse lingue), venduto oltre due milioni di copie e tradotto in italiano - facendoli conoscere - autori stranieri come Sylvia Plath e David Grossman, ha esordito qui, tra Locarno e Lugano. «Durante gli anni universitari, dal 1962 al 1968, frequentavo un corso di storia del cinema tenuto dal professor Pio Baldelli. Fu lui - precisa Pitzorno - che mi segnalò agli organizzatori del Festival di Locarno come componente della «Giuria dei Giovani». In tale veste frequentai Locarno per quattro anni prima della laurea, e fu là che conobbi tanti ragazzi e ragazze che avrei ritrovato adulti a lavorare nel mondo dello spettacolo. Conobbi, e strinsi amicizia, anche col professor Bixio Candolfi, che successivamente sarebbe diventato direttore dell’allora RTSI».
Poi, dopo la laurea, l’arrivo a Milano. La Milano di allora, quella che non c’è più. «Era il 68 e ripresi i contatti con gli amici ticinesi. Fu grazie a una segnalazione proprio di Bixio Candolfi che nel 1970 partecipai al concorso delle Edizioni Svizzere della Gioventù il cui premio era la pubblicazione di un piccolo libro. Fu la mia prima pubblicazione, si intitolava «Il grande raduno dei cow boy». Poi sono arrivate le collaborazioni con la radiotelevisione svizzera». E in mezzo anche una specializzazione alla Scuola superiore delle comunicazioni.
Più che la televisione, la radio
A questo punto nasce spontanea la domanda: come giudica la televisione di oggi e cosa guarda Bianca Pitzorno? «Ho molta nostalgia degli anni in cui lavoravo alla RTSI con Bixio Candolfi, Mimma Pagnamenta, Maristella Polli, Igea Bottani e molti altri carissimi amici. Ma è passato tanto tempo. Oggi - fa notare la scrittrice - la televisione è cambiata, sia la RSI che la Rai, e anch’io sono diventata di gusti più difficili. Guardo pochissimo la televisione, di solito antichi film «storici» e un po’ di notiziari. Ma preferisco di gran lunga ascoltare la radio, anche perché mentre ascolto mi posso dedicare ai lavori manuali che amo molto». Tanto che da piccola, ha confessato, voleva fare il falegname. Poi ha preso un’altra strada.
La passione per i romanzi storici
Bianca Pitzorno, che è sempre stata una donna indipendente e non si è mai sposata, ha lavorato anche alla Rai italiana, (dove ha collaborato a trasmissioni molto popolari con grandi autori come Raffaele Crovi e Cino Tortorella, il famoso Mago Zurlì). ha poi scritto libri fantastici, storie legate a personaggi storici, romanzi. Cosa le è piaciuto di più? «Probabilmente la scrittura di romanzi storici, con tutta la ricerca a monte che richiedono. Non dimentico mai che di prima formazione sono un’archeologa». A proposito di formazione: ha scritto molto di Sardegna, la terra dove è nata. Sassari è la città dell’infanzia e del Liceo, Cagliari quella dell’Università (con la laurea in lettere classiche): cosa le ha lasciato la Sardegna e le due città dove ha vissuto? «Mi hanno fatto conoscere, specie Sassari, la vita e la particolare società delle piccole città di provincia, con i loro pregi e difetti. Ma dei miei 81 anni, più di 50 li ho vissuti a Milano, che è la mia vera città del cuore».