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Ucraini addio? «Fateli lavorare»

Perplessità sull'abolizione dello statuto S – Per Maya Budkova «è prematuro pensare a un rientro con la guerra in corso»
Il destino dei profughi ucraini giunti in Svizzera è ancora incerto. ©CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
08.10.2023 11:00

Troppo presto per sapere se saranno 70mila gli ucraini a tornare in patria. E prematuro pensare anche di abolire lo statuto S. Maya Budkova, direttrice generale dell’associazione Amicizia dei Popoli - associazione nata un anno fa per aiutare i profughi ucraini in fuga dalla guerra - storce un po’ il naso di fronte al piano e alle previsioni del Consiglio federale che riguardano i suoi connnazionali. Che, secondo appunto il programma di rientro, in 70mila dovrebbero lasciare la Svizzera dopo il 4 marzo 2024 o al più tardi nel 2025, indipendentemente dal conflitto in corso. Storce un po’ il naso perché per tutti tornare non è possibile. «Come fanno a tornare in Ucraina, quando continuano bombardare? Giovedì una pioggia di missili russi si è abbattuta su negozio a Kharkiv, facendo 49 morti», precisa. Pensare a un ritorno oggi insomma, secondo Budkova appare quantomeno azzardato. Giacché il conflitto è in corso e non si sa quanto ancora durerà.

Eppure... eppure il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP), come è emerso mercoledì scorso, ha incaricato la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) di esaminare assieme ai Cantoni le questioni giuridiche, organizzative e processuali legate a un’eventuale futura abrogazione dello statuto di protezione S. Statuto che l’anno scorso è stato attivato - era il 12 marzo 2022 - proprio per facilitare l’accoglienza dei profughi ucraini. Scappati in massa inSvizzera, così come in altre nazioni europee, per sfuggire dalle bombe e dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin.

«Se la guerra fosse finita allora...»

Fare previsioni oggi su quanti ucraini tornerebbero nel 2024 o nel 2025, secondo Budkova, appare insomma un azzardo. Non tanto perché non tornerebbero. Quanto perché la guerra è ancora in corso. «Se non fosse così, se il conflitto, detto altrimenti fosse finito - sottolinea - sono invece sicura che sarebbe almeno il 70% di chi è arrivato a lasciare la Svizzera». La direttrice generale dell’associazione non parla a caso. È da quando è scoppiata la guerra e sono iniziati ad arrivare i primi profughi che frequenta, aiuta, consiglia i suoi connazionali. Sa quanti sono. Sa cosa fanno. Cosa vogliono. Come si trovano.

Ed è proprio per questo che si dice convinta che oggi bisognerebbe insistere di più sull’integrazione. I programmi di rientro insomma vanno bene. Anche se le tempistiche lasciano forse un po’ a desiderare. Ma forse, anzi, di sicuro occorrerebbe concentrarsi di più e meglio sull’oggi. Come? «Sono dell’idea che in Ticino bisognerebbe fare di più per indirizzare gli ucraini verso il mondo del lavoro. Ormai chi è scappato dalla guerra è qui da un anno e mezzo. Un buon 30-35% di loro potrebbe tranquillamente trovare un impiego», sottolinea. Invece a parte «quei pochissimi che hanno un impiego e alcuni che vorrebbero un lavoro e non lo trovano - prosegue - la maggioranza che, ripeto, potrebbe essere impiegabile, non ha nulla da fare». Certo, «esistono anche dei «furbetti» che lavorano in nero e che hanno un lavoro in Ucraina che svolgono in Svizzera da remoto», specifica Budkova ma sono veramente una piccola minoranza.

«Troppo comodi»

A un anno e mezzo dal loro arrivo, piuttosto che pensare di respingerli - la procedura immaginata dal Consiglio federale ricalcherebbe quella per il rimpatrio dei richiedenti asilo - occorrebbe insomma mettere in atto, secondo Budkova, un cambio di passo nella politica dell’accoglienza così da mettere in moto un’evoluzione positiva per il mercato del lavoro. «In Italia i profughi ucraini non ricevono gli aiuti che ricevono invece in Svizzera - chiarisce la direttrice generale dell’associazione - hanno solo delle piccole agevolazioni per il pagamento dell’affitto. Da qui il fatto che quasi tutti lavorano. Anche perché non possono fare altrimenti. Personalmente non ne conosco uno che non abbia un’occupazione».

Budkova sa di toccare un argomento delicato. Anche perché è cosciente che potrebbe urtare la sensibilità dei suoi connazionali. «Ma bisogna dirlo, bisogna essere sinceri. Qui la stragrande maggioranza dei profughi ha la vita molto comoda. Non mi riferisco agli anziani. Gli aiuti nei loro confronti sono giusti. Ma tutti gli altri non pagano l’affitto, non pagano la cassa malati, ricevono 500 franchi a testa e se hanno un bambino beneficiano di altri 300 franchi. Capisco che vadano aiutati, ma forse così facendo si commette un’ingiustizia nei confronti della popolazione ticinese».

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