«Un ricordo da brividi? La terza stella, ci hanno applaudito per dieci minuti»

È lo Chef del ristorante El Celler de Can Roca, a Girona in Spagna, acclamato per due volte (2013 e 2015) come miglior ristorante del mondo da The World’s 50 Best Restaurant, che gestisce dal 1986 con i suoi due fratelli, Josep, il sommelier e Jordi il pasticcere. Joan Roca è alla guida d’una squadra vincente per una cucina d’autore con 3 stelle Michelin dal 2009. La sua cucina si ispira concettualmente alla tradizione mediterranea incentrata sul prodotto, ereditata dagli insegnamenti della madre, reinterpretata con uno stile moderno e creativo e in totale libertà.
Eccellente qualità delle materie prime uniti a tanta ricerca e l’innovazione tecnica sono alla base della sua proposta.
Chef, quando inizia la sua avventura in cucina?
«Avevo solo 10 anni quando decido che voglio diventare uno chef. Vengo da una famiglia di ristoratori da tre generazioni. Subito dopo il diploma ho iniziato a lavorare e insieme ai miei fratelli Josep e Jordi, abbiamo deciso di aprire un ristorante».
Quand’era?
«Nel 1986 inauguriamo il Celler di Can Roca, un locale raffinato di fianco a quello di famiglia. L’intento era quello di servire cucina catalana ma presto la sperimentazione ha preso piede e siamo arrivati a servire in tavola piatti unici».
Tre fratelli. Ognuno ha il suo ruolo.
«Proprio così. Io mi occupo della cucina, a Jordi spetta il compito di deliziare i clienti con dessert dal sapore inusuale, mentre Josep è il sommelier a capo della cantina con oltre 50 mila etichette ».
Un formaggio ticinese - la piora - è entrato nella sua cucina. Com’è avvenuto questo incontro?
«Il direttore del Hotel Splendide Royal Giovanni Rossi e lo Chef Domenico Ruberto prima di ospitarci per la serata organizzata da San Pellegrino Sapori Ticino, sono venuti a trovarci a El Celler de Can Roca. E come dono hanno portato questo formaggio ticinese che io personalmente non conoscevo. Lo trovo meraviglioso il suo gusto ci ha travolti. Per il momento abbiamo preparato alcuni piatti, combinandolo con una confettura di limone e anche con un infuso di genziana…Creeremo un connubio di sapori ».
Troveremo qualche piatto con questo formaggio nei menu del suo ristorante?
«Perché no. È molto probabile. Perché il suo gusto è davvero particolare, e poi cambia moltissimo con le differenti temperature».
Tanti premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Se dovesse fare un bilancio della sua carriera, esiste un momento che ricorda con molta emozione?
«Certo. Come dimenticarlo. È stato quando abbiamo ricevuto la terza stella Michelin nel 2009. Tutti gli abitanti del quartiere in cui si trova il ristorante (e anche dai quartieri vicini), si sono dati appuntamento alle 8 di sera e hanno applaudito senza sosta per 10 minuti. Questo è stato particolarmente emozionante, perché né io, né i miei fratelli - e nemmeno lo staff - ce lo aspettavamo. Chiaramente quando ottieni un riconoscimento del genere i tuoi colleghi ti chiamano per complimentarsi, la stampa fa eco della notizia. Però non ti aspetti che i tuoi vicini vengano ad applaudirti. Avevamo tutti la pelle d’oca e gli occhi lucidi per l’emozione ».
E i colleghi?
«In Spagna, come in tutti gli altri Paesi c’è sicuramente rivalità tra colleghi, però è una rivalità sana, c’è moltissimo rispetto. Noi ci aiutiamo molto tra di noi, ci appoggiamo, perché tutti sappiamo l’importanza del turismo enogastronomico che può offrire il nostro territorio, e più il livello è alto, più offriamo qualità, meglio è per tutti noi del settore».
Se dovesse scegliere due giovani cuochi talentuosi spagnoli, quali sceglierebbe per qualità differenti?
«È un bella domanda. Sicuramente non facile. Beh… secondo me due chef che sono differenti e hanno molto talento sono David Muñoz e Ricard Camarena. Il primo propone una cucina molto personale, di fusione di elementi contrapposti, e soprattutto molto d’avanguardia. Il secondo propone - anche lui - una linea molto personale, ma più radicata alla tradizione».
Non vuole sbilanciarsi molto.
«Ci sono veramente tanti buoni cuochi in Spagna della generazione di Camarena e Muñoz, tra i 30 e i 40 anni. La lista è molto lunga. Quindi non è facile individuarne solo due. Sicuramente però, tra quelli di alto livello, loro due si possono contrapporre per qualità differenti».
In Spagna come in Italia o in Francia c’è una grande tradizione culinaria.
«Esattamente, c’è da dire che fortunatamente siamo in una zona del pianeta dove la tradizione e l’attenzione alla cucina è sempre stata molto alta. Penso che oggigiorno siamo nel momento più alto della storia per lo sperimentalismo e la ricerca che sta dietro alla proposta culinaria. Ci siamo spinti oltre i limiti».
Al giorno d’oggi i clienti quando vanno a mangiare in un ristorante stellato pretendono sempre di più. Non si tratta solo di assaporare delle pietanze uniche e squisite. Ma di una vera e propria esperienza a tutto tondo. A cosa si è ispirato affinché l’esperienza nel suo ristorante sia indimenticabile?
«Vero. Oggi sempre più chi sceglie di andare a mangiare in un ristorante di alto livello arriva con una grande aspettativa. Soprattutto se un ristorante ha ottenuto grandi riconoscimenti o premi. Penso che l’unico modo per soddisfare l’aspettativa sia lavorare sodo con l’eccellenza, puntare sempre al massimo risultato».
E la squadra?
«Fondamentale. Avere un team talentuoso e soprattutto che sa essere magnetico nei confronti del talento è la base. E per questo è importante alimentare il talento della propria brigata, per evitare che questi talenti decidano di andarsene perché si sentono le ali tarpate. A tale riguardo ritengo sia essenziale parlare delle condizioni di lavoro. Ascoltare le emozioni dei propri dipendenti, comprenderli. È per questo che noi abbiamo in team anche una psicologa. Essere felici e appagati sul posto di lavoro è fondamentale, perché in questo modo si trasmette accoglienza e serenità ai nostri ospiti. In cucina poi - il mio regno - sperimentiamo continuamente nuovi piatti, cercandodi offrire l’esperienza migliore al nostro cliente. Pensi che ci sono 3 persone che si dedicano solo ed esclusivamente alla ricerca e alla sperimentazione ».
Come si fanno a conciliare tutti questi aspetti?
«Ovviamente è stato sempre più difficile man mano che l’azienda è cresciuta. Ma per far sì che tutto vada bene ognuno deve avere ben in mente il proprio ruolo».
E quanto è importante il legame familiare all’interno della vostra attività?
«Fondamentale. Ed è anche il vero significato che sta dietro al Celler de Can Roca, se non fossimo stati noi tre, non avrebbe avuto lo stesso spirito. E all’interno di questo spirito vogliamo anche lanciare un messaggio: è possibile puntare al massimo ed essere uno tra i migliori ristoranti del mondo rimanendo una famiglia, restando nella normalità quotidiana. E in tutto ciò, valorizzare i valori familiari come l’accoglienza, la generosità, e l’unione».